'Arafāt, Yāsir
Uomo politico palestinese, nato al Cairo (secondo alcune fonti a Gerusalemme) il 24 agosto 1929 e morto a Clamart (Parigi) l'11 novembre 2004. Trascorse la giovinezza a Gerusalemme; dopo la costituzione dello Stato di Israele (1948) si trasferì al Cairo, dove si laureò in ingegneria. Già militante nei gruppi armati dei fedayn, fu tra i fondatori del gruppo combattente al-Fatāh (1959). Nel 1969 divenne presidente dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), sorta nel 1964 dalla fusione di una parte di al-Fatāh con altri gruppi armati; nel 1974 l'OLP guidata da ̔A. otteneva il riconoscimento da parte della Lega araba quale unico e legittimo organismo rappresentante il popolo palestinese, e nello stesso anno era accolta, in qualità di osservatore, all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Gli anni 1971-1982 videro ̔A. in Libano, dove dopo il 1975 fu impegnato nella guerra civile con la struttura logistica e militare dell'OLP. Abbandonata Beirut, assediata da Israele, nel 1982 si rifugiò a Tunisi, ove trasferì il quartier generale dell'OLP. Nel 1988 (a un anno dall'inizio della prima intifāḍa) l'OLP proclamò simbolicamente ad Algeri lo Stato indipendente di Palestina, di cui un anno dopo ̔A. sarebbe divenuto presidente; quindi ̔A. riconobbe de facto Israele e accettò le condizioni imposte dagli Stati Uniti per l'avvio di una trattativa di pace. Nel 1989 dichiarava 'caduco' lo statuto dell'OLP e, con esso, la lotta armata quale unica via per ottenere la liberazione della Palestina. Nel 1991, il sostegno offerto a Ṣ. Ḥusayn durante la guerra del Golfo gli guadagnò critiche da parte della comunità internazionale e la sospensione degli aiuti finanziari delle monarchie arabe. ̔A. recuperò tuttavia prestigio grazie a un accordo di reciproco riconoscimento ufficiale tra OLP e Israele (detto accordo di Oslo), firmato con Y. Rabin a Washington (sett. 1993). In virtù di tale accordo, che gli valse il premio Nobel per la pace, nel luglio 1994 poté tornare in Palestina e costituire l'Autorità nazionale palestinese (ANP, inizialmente con giurisdizione su parti della Striscia di Gaza e su Gerico), di cui due anni dopo fu eletto presidente.
Anche durante il governo di B. Netanyahu, leader della destra israeliana, ̔A. riuscì a portare avanti i negoziati, ottenendo il trasferimento di Hebron sotto il controllo palestinese. Nell'ottobre 1998, a Washington, siglò con Netanyahu un ulteriore accordo (Wye River Memorandum), solo parzialmente applicato a causa dell'ostruzionismo della destra israeliana. Un altro fu firmato a Šarm al-Šayẖ, nel settembre 1999, tra ̔A. e il nuovo premier israeliano, E. Barak, mentre il summit di Camp David (luglio 2000), nel quale ̔A. rifiutò recisamente l'offerta di Barak, portò a una frattura tra le due parti. Nel settembre 2000 fu lanciata la seconda intifāḍa (o intifāḍa di al-Aqṣā) e il processo di pace subì una drastica battuta d'arresto. La sua complessa rete di relazioni con Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita e altri Stati arabi e la sua spiccata abilità ad adattarsi alle mutevoli situazioni tattiche e politiche garantirono ad ̔A. la sopravvivenza politica, ma non ne impedirono la progressiva emarginazione, dovuta anche all'ambiguità dei suoi rapporti con le frange estremiste, che dava adito a giudizi controversi. L'intensificarsi degli attacchi terroristici di Ḥamās e del Ǧihād islamico, compiuti con attentati suicidi, testimoniava per alcuni la perdita da parte di ̔A. del controllo sui gruppi estremisti, per altri la sua connivenza o il suo sostegno alle loro attività. Nel dicembre 2001 ̔A. impose gli arresti allo sceicco A. Yassin, leader di Ḥamās, e ad altri membri dell'organizzazione, suscitandone la violenta reazione. La credibilità e l'autorità di ̔A. declinavano anche nella comunità palestinese, a vantaggio di Ḥamās e del Ǧihād islamico, che ormai trovavano ampi consensi anche all'interno di al-Fatāh. Tra gennaio e marzo 2002 una serie di attacchi terroristici provocò la morte di 135 israeliani, e A. Sharon additò ̔A. come nemico di Israele e interlocutore inaffidabile nei negoziati di pace. A questa dichiarazione fece seguito una durissima offensiva israeliana in Cisgiordania, durante la quale il quartier generale palestinese di Ramallāh (dove ̔A. era confinato dal dic. 2001) fu bombardato; ̔A. rimase prigioniero fino al 3 maggio. Nello stesso mese il governo israeliano addusse prove del sostegno finanziario da parte di ̔A. alla Brigata dei martiri di al-AqṢā, sorta in seno ad al-Fatāh e responsabile di numerosi attentati. Ulteriori argomenti alla delegittimazione politica e morale di ̔A. furono portati dalle accuse di corruzione e di gestione a fini personali di ingenti somme di denaro provenienti da fondi pubblici palestinesi. Dopo l'esautorazione di ̔A. da interlocutore nel processo di pace, l'investitura di Abū Māzin (̔Abbās Maḥmūd al-̔Aqqād) a primo ministro palestinese (apr. 2003) fu salutata con ottimismo dagli Stati Uniti e Israele, in vista di una ripresa dei negoziati. Tuttavia l'intero mandato del premier fu segnato da aspri conflitti con ̔A. per la spartizione dei poteri, e l'intensificarsi di queste tensioni portarono Abū Māzin a rassegnare le dimissioni (sett. 2003). Infine, ̔A. fu duramente contestato dalla comunità palestinese per la nomina di sua nipote Musa a responsabile della sicurezza dell'ANP (luglio 2004). Alla fine di ottobre 2004 ̔A. fu ricoverato all'ospedale Percy, alle porte di Parigi, ove morì dopo due settimane; il riserbo tenuto durante la sua degenza alimentò diverse speculazioni sulla causa del decesso. I funerali furono celebrati al Cairo e la salma fu sepolta a Ramallah.
B. Rubin, J. Colp Rubin, Yasir Arafat. A political biography, London 2003 (trad. it. Arafat. L'uomo che non volle la pace, Milano 2005); A. Kapeliouk, Arafat, l'irréductible, Paris 2004 (trad. it. Milano 2004); B. al-Hassan, S. al-Hout, M. Naufal, Yasser Arafat: premiers bilans critiques, in Revue d'études palestiniennes, 2005, 96, pp. 3-58.