YIDDISH
. Con la progressiva diaspora dalla Palestina le comunità ebraiche si trasferirono in diversi paesi, esprimendo forme linguistiche e culturali originali, sorte da una complessa interazione tra il patrimonio lessicale e spirituale ebraico-aramaico e la cultura e la lingua dei paesi ospiti.
L'ebraismo europeo si divise in due grandi gruppi linguistico-culturali distinti: quello sefardita, incentrato sulla rigogliosa collettività ebraica della penisola iberica, e quello aschenazita, basato sugl'insediamenti nell'Europa centrale e orientale: ashkenaz indicava in ebraico la Germania.
Ai primi stanziamenti ebraici all'epoca della penetrazione romana seguirono poi, sempre più cospicui, gruppi di commercianti e artigiani - specie lungo il Reno, la Mosella, il Meno e il Danubio - che fondarono le prospere comunità di Worms, Spira, Colonia e Magonza. Il contatto con le popolazioni tedesche dette luogo a un processo di assimilazione linguistica, che tuttavia restò imperfetto poiché le comunità aschenazite mantennero nel loro lessico, oltre all'ingente nomenclatura religiosa, cerimoniale e giuridica (ambiti culturali omogenei per l'ebraismo medievale), significativi elementi romanzi, ravvivati dai continui contatti con le collettività ebraiche francesi e dell'Alta Italia.
Il distacco e l'isolamento dei gruppi israeliticì cominciarono a profilarsi sempre più nitidamente fino a divenire il "destino" dell'ebraismo con le iniziali manifestazioni popolari di antisemitismo a partire dalla prima crociata nel 1096, culminate nei massacri del 1348, l'anno terribile della peste nera, che segnò un massiccio spostamento degli ebrei verso l'Europa orientale, ancora non contaminata dall'antisemitismo.
In questi nuovi territori a maggioranza slava - come la Boemia, la Polonia, l'Ucraina, la Bielorussia e la Russia - o ungherese, rumena o nei paesi baltici lo y. si caratterizzò sempre più specificamente al livello lessicale, morfologico e sintattico come lingua sostanzialmente affine ai dialetti tedeschi centro-meridionali con influenze mutuate dalle lingue dei paesi ospiti, con residui romanzi e con un'imponente presenza della terminologia ebraica, che agiva in maniera assai elastica, dilatandosi a seconda della cultura del parlante e dell'argomento trattato.
Per secoli lo y. manifestò la sua natura anfibia, lasciandosi arricchire e plasmare da nuovi apporti tedeschi, che contrassegnarono - dall'inizio dell'illuminismo in poi - la modernizzazione della cultura aschenazita e la sua apertura ai problemi e alle tematiche del pensiero e della scienza moderna, filtrati soprattutto attraverso la mediazione tedesca, come pure lasciandosi permeare dall'ebraico, la "lingua sacra", verso cui si mantenne, almeno fino a questo secolo, un costante rapporto privilegiato, nutrito con affettuosa venerazione dalla coscienza della propria diversità religiosa e culturale. Nei confronti dell'ebraismo, infatti, lo y. svolse per secoli una funzione ancillare, limitandosi al ruolo subalterno di lingua degl'incolti e cioè soprattutto dei poveri e delle donne, sicché per secoli l'idioma dei ghetti aschenaziti fu indicato sprezzantemente come il "gergo", oppure il waiber-taitsch, ovvero il "tedesco" nel senso del "volgare delle donne", o ancora come il mame-loshn, "lingua di mamma", espressione più intima, ma sempre dettata da un apprezzamento riduttivo per le sue capacità di idioma culturale a tutti gli effetti. La stessa denominazione yiddish è significativamente assai tarda: con tale aggettivo s'indicavano negli Stati Uniti gli emigrati ebrei orientali e la loro strana lingua, mentre i filologi avevano usato generalmente l'espressione jüdisch-deutsch (judæo-german, judéo-allemand) per accentuarne la dipendenza dal tedesco, di cui veniva considerata una sgradevole corruzione da parte degl'ignoranti abitatori dei ghetti, che l'utilizzavano nei loro commerci o per capire i testi delle loro preghiere.
E in verità, dalla prima testimonianza del 1272-73 (un verso d'augurio in un libro di preghiere ebraiche) fino alle glosse, commenti, traduzioni e repertori biblici e in genere religiosi, lo y. veniva impiegato per agevolare la conoscenza della tradizione, la cui effettiva padronanza restava, tuttavia, ancorata alla "lingua sacra". Ma accanto a questa esile fioritura ai margini della grandiosa esegesi rabbinica si svilupparono tendenze mondane, che però non riuscirono a imporsi come l'espressione poetica ormai naturale agli aschenaziti, sicché le testimonianze scritte fino all'Ottocento sono scarse e spesso tramandate in modo avventuroso. Tra le più notevoli c'è il Dokus-Horant, un adattamento ebraico del poema germanico di Kudrun, ritrovato fortunosamente nel cimitero di Fostat presso il Cairo in una Geniza, ovvero una specie di tomba, dove gli ebrei deponevano i loro scritti ormai non più utilizzabili, ma che per rispetto non venivano distrutti. Così nel 1896 fu scoperto il frammento di pochi fogli risalenti al 1382-83. Il motivo originario della saga germanica aveva subìto un significativo adattamento al gusto e alla sensibilità culturale ebraica.
Altre composizioni "profane" si erano tramandate indirettamente in opere più tarde dal Cinquecento in poi o in rifacimenti popolari stampati nel Seicento. Molto amate erano le riscritture y. dei poemi germanici, o di storie d'ispirazione cavalleresca, ma ambientate all'interno dei motivi e dei temi biblici, come il Sefer Shmuel di M. Esrim Wearba, un autore esperto di letteratura rabbinica, che esponeva la storia di David, utilizzando la strofe nibelungica e arricchendo la materia narrata di elementi biblici con imprestiti germanici, fornendo così un esempio originale di spregiudicato sincretismo, che preannunciava le caratteristiche specifiche dello y. con le sue sorprendenti amalgame e contaminazioni culturali sussunte entro l'aura spirituale, potentemente individualizzante, dell'ebraismo aschenazita.
Dal 1500 cominciarono a circolare libri stampati y., che venivano venduti in tutta l'area dell'ebraismo aschenazita, da Amsterdam a Parigi, da Copenaghen a Venezia. Gli empori editoriali più famosi - Amsterdam, Cracovia, Praga, Venezia - diventavano anche centri di attrazione culturale; fra essi emergeva sempre più nettamente la supremazia di Amsterdam, la capitale culturale della tolleranza, dove avvenne l'incontro tra gli esuli sefarditi dalla Spagna e dal Portogallo e i rifugiati aschenaziti, che già dal Seicento sperimentavano la crudeltà dei pogrom, tra cui particolarmente feroce e cruento quello del 1648 da parte dei cosacchi. La recrudescenza dell'intolleranza religiosa riproponeva all'ebraismo la fedeltà alla tradizione, promovendo una fioritura di letteratura religiosa, con caratteristiche differenziate da quella medievale, privilegiando con la devotio moderna, la pubblicistica di edificazione morale e di gnomica sacra, nonché i trattati ritualistici sempre più ossessivi nel calare i rigidi precetti kosher nelle scansioni quotidiane.
Dalle varie espressioni letterarie, ancorate ai moduli religiosi o morali, si distinguevano le vivacissime memorie di Glückel von Hameln (1645-1724), un'intelligente e vigorosa donna ebrea, che dopo una vita intensa di incontri, commerci, letture, viaggi lasciava le sue Zichronos ai suoi dodici figli quale testimonianza diretta, immediata di un'esperienza esemplare in un'epoca particolarmente fitta di avvenimenti sconvolgenti per l'ebraismo aschenazita, travolto in quegli anni da febbrili ansie di messianismo palingenetico.
Tale movimento trovava nella figura del nuovo "messia" Sabbatai Zewi il suo emblema mitico capace di mobilitare le masse diseredate degli ebrei, rompendo il fatalismo e la rassegnazione tradizionale per lasciare poi, con il fallimento, ancora più disperazione e miseria, che divenivano sempre più estese anche a causa del rivoluzionamento dei mercati e delle culture, su cui si basava la relativa stabilità socio-economica dell'Europa orientale.
La rinascita dalla crisi spirituale, che aveva sconvolto gl'incerti equilibri in una furia distruttiva, fu gradualmente promossa da due potenti fattori della spiritualità aschenazita moderna in consonanza - sia pure sfasata - con l'evoluzione della cultura europea: l'illuminismo e il chassidismo.
Quest'ultimo si ricollegava alle tensioni mistiche del sabbatianesimo, ma le assumeva come nostalgia metastorica tesa alla realizzazione interiore, intessuta nell'ascesi purificatrice e nella semplice e ingenua dedizione al mistero ineffabile dell'unione col divino, svolgendo, inoltre, un ruolo di decisiva importanza nella formazione della letteratura y. moderna, esaltando il dialogo diretto tra il fedele e il "suo" Dio, recitato nella lingua del cuore, ovvero per gli aschenaziti in yiddish. S'iniziava, così, una delle più vivaci esperienze della spiritualità del moderno ebraismo, che fecondò l'intera possibilità creativa della poesia y., rivendicando alla lingua dei pii chassidim, allo y., per la prima volta, con la stupenda produzione di preghiere, canti e apologhi mistici (la cui sconcertante profondità svelava le discrete e pur robustissime radici cabalistiche), un ambito espressivo religioso di pari dignità alla lingua sacra. L'altra matrice culturale della letteratura y. moderna e contemporanea è la Haskala, l'illuminismo ebraico, promosso da M. Mendelssohn (1729-1786), amico di Lessing e filosofo della tolleranza, che si distinse come stilista raffinato, appassionato propugnatore dell'emancipazione degli ebrei. Coerente a questo ideale egli favorì l'assimilazione culturale degli ebrei tedeschi, esaltando la laicità cosmopolitica della nuova cultura. La sua posizione verso lo y. fu di sprezzante rifiuto: il "gergo" umiliava nella separatezza linguistica le comunità ebraiche, che egli spronò, con successo, ad aggiornare la loro identità linguistico-culturale, aderendo al tedesco: venne, così, a scomparire lo y. occidentale. Nei paesi orientali il processo fu assai diverso: gl'illuministi, i Maskilim, pur sdegnando lo y., se ne servirono per farsi rapidamente comprendere da un numero sempre maggiore di lettori. Se si pensa che la quasi totalità degli ebrei frequentava il kheder, una specie di scuola elementare, dove imparava a leggere e a scrivere (ovviamente in ebraico, da ciò deriva che lo y. ancor oggi si scrive con l'alfabeto ebraico), si comprende l'incidenza della nuova cultura, che accentuava gli aspetti di elevazione morale e di emancipazione sociale dell'illuminismo, mutuando dalla Popularphilosophie tedesca la sua concezione di cultura come servizio al graduale rischiaramento intellettuale ed etico della comunità: un ideale, questo, che entusiasmò numerosi giovani intellettuali, spesso formatisi in Occidente, che tornarono nei loro villaggi con generosi progetti di ammodernamento. Ma nonostante il continuo incremento della pubblicistica e della scena y., che rivelavano un mercato prontissimo a recepire, lo y. si affermava con lentezza a causa delle forti resistenze della tradizione colta ebraica, nonché delle perplessità degli scrittori "moderni", che avevano aderito alle idealità illuministiche prima e socialistiche poi, credendo nella soluzione del problema ebraico con il graduale progresso della scienza e della civiltà o con l'utopica instaurazione di una società senza classi e quindi senza distinzioni economiche, nazionali, etniche e religiose. Tali speranze subirono un significativo arresto con gli atroci pogrom, che si scatenarono in Russia a partire dagli anni Ottanta.
Tuttavia anche all'interno delle tendenze socialistiche, che si coagularono nel Bund, una sorta di autonoma sezione ebraica della socialdemocrazia russa, si giocò la carta dello y., rivalutato come la lingua degli oppressi, del proletariato ebraico, delle classi subalterne, cui era impedito di fatto l'accesso all'ebraico, che i progressisti, per altro, ritenevano ormai in via di estinzione: una previsione smentita dalla sorprendente rinascita dell'ebraico, imposta dal movimento sionista, che riuscì a ricreare dai testi biblici e dalle esegesi teologiche la lingua del futuro stato d'Israele.
Ma alla metà del secolo scorso queste opposte tendenze - socialismo e sionismo - erano ancora solo fermenti vivaci, che lievitavano l'ebraismo orientale, suscitando una vigorosa ripresa di studi e di dibattiti, di cui si avvalse anche lo yiddish. In quegli anni venne fondata la prima rivista culturale y., Kol Mevasser, di A. Tzederboim, dove apparvero le prime novelle di Mendele Mokher Sforim, il fondatore della letteratura y. moderna, che trasformò il suo nome Sholem Jakob Broyde Abramovitch in "Mendele il libraio". Nacque nel 1835 a Kapulye presso Minsk e morì a Odessa nel 1917; ebbe un'infanzia movimentata, ricca di spostamenti, d'incontri, di lunghi soggiorni solitari ai margini delle foreste ucraine, che riuscì poi a rappresentare nelle sue opere, innovando, anche così, la letteratura y., che si teneva preferibilmente nei limiti cittadini dei ghetti. Egli iniziò la sua carriera pubblicistica con saggi pedagogici, scegliendo l'ebraico, che per altro non smise mai di usare anche dopo che la sua fama si era consolidata come quella del preminente scrittore yiddish. La sua vena poetica era essenzialmente satirica, eccellendo egli nella raffigurazione realistica con partecipe attenzione alla vita sentimentale e alla sottile dinamica affettiva del povero ebreo, sprezzato e sfruttato, rinchiuso nello shtetl senza prospettive né soluzioni.
Eppure per Mendele il bilancio non si chiudeva sulle cifre nere, poiché nella sua ineffabilità la poesia coglieva quella spirituale ricchezza umana, sedimentata in secoli di paziente rassegnazione, di pacate considerazioni sulla natura sfuggente della felicità, con una saggezza ironica e antiretorica, che non si affidava a ideologie né alle utopie del giorno, preferendo gli ardui cammini della realizzazione morale, cui già alludeva la legge mosaica. Con le sue opere l'autore tentò di opporsi anche alle sopraffazioni dei notabili ebraici sulla maggioranza dei loro correligionari spesso incolti e ridotti a vivere in condizioni di disumana ingiustizia. Lo scrittore non risparmiò neppure il malgoverno e la corruzione dello stato zarista, anche se restò, pure dopo i pogrom del 1905-06, a Odessa, dove riceveva gli scrittori più giovani, incoraggiandoli e guidandoli come il patriarca riconosciuto della nuova letteratura.
L'altro grande autore y. fu S. Aleichem, pseudonimo di Shalom Rabinovitch (1859-1916), che significa "la pace sia con voi", il tradizionale saluto ebraico. Egli viaggiò moltissimo, diffondendo la cultura y. nelle comunità aschenazite d'Europa e d'America. Anche lui ebbe un'esistenza movimentata con diversi tentativi commerciali miseramente falliti, sicché alla fine si dedicò unicamente alla letteratura, riuscendo a creare figure poetiche di struggente, ironico umorismo come Menakhem Mendel, Motl Peyse, Tevye il lattaio: personaggi singolari, innocenti, ingenuamente maliziosi, robustamente vitali eppur incapaci in fondo di adeguarsi a un mondo duro e feroce. Essi abitavano la cittadina immaginaria di Kasrilevke, un microcosmo della grandezza e miseria dell'ebraismo orientale. Forse proprio Tevye der Milkhiger (I parte, 1894; II parte, 1911), con le sue caotiche visioni e illuminanti meditazioni durante lunghe cavalcate nei boschi ucraini, riassumeva l'intuizione di uno spazio libero tra realtà e allucinazione, nel quale si collocava la cifra poetica più matura dello scrittore, che visse con palpitante umanità l'aggravarsi della situazione mondiale: morì a New York di crepacuore per le notizie sulla guerra e sulle efferatezze di tutti i belligeranti del fronte orientale nei confronti degli ebrei.
Il terzo grande del classicìsmo è I. L. Peretz (1851-1915), discendente da una colta famiglia di origine sefardita, ma ormai trapiantata in Polonia. Ebbe la possibilità di compiere studi approfonditi sotto la guida del primo suocero, il noto matematico G. J. Lichtenfeld. Conseguì poi la laurea in giurisprudenza, trasferendosi a Varsavia, che divenne la sua patria letteraria. Accusato di essere socialista, venne privato del permesso di esercitare la professione. si dedicò quindi alla letteratura y., che fino allora aveva trascurato, preferendo di pubblicare in ebraico. Iniziava collaborando a un'antologia poetica curata da S. Aleichem, da cui però si differenziava per una vivace propensione per le tradizioni mistiche del chassidismo, che rievocò suggestivamente nelle sue opere. Forse proprio perché sicuro di una formazione essenzialmente laica, Peretz riusciva a riconsiderare profondamente il ricco patrimonio simbolico dell'ebraismo orientale. La sua maggiore distanza culturale gli consentiva di riflettere senza pregiudizi né pregiudiziali - che ancora condizionavano le opere di Mendele e di S. Aleichem - sulla religiosità aschenazita, reinterpretandola alla luce della profonda richiesta di sicurezza interiore espressa dall'ebraismo ormai travolto dalla violenza antisemita, ma ancora di più dai processi di rapida, violenta proletarizzazione e d'inurbamento selvaggio oltre che dall'esodo che portò milioni di ebrei dai loro insediamenti secolari nell'Europa orientale in tutti i cinque continenti, ma soprattutto negli Stati Uniti. Peretz, che si dimostrava sensibile alle tematiche dell'emancipazione sociale e del riscatto morale e culturale delle masse ebraiche di Varsavia, rifuggiva, tuttavia, dalle prospettive della violenza rivoluzionaria, di cui avvertiva l'insidiosa carica distruttiva, intuendo la grandezza spirituale dell'umile impegno quotidiano, del coraggio necessario per operare scelte morali scevre dalle chiusure intellettualistiche e preconcette. Il suo scrivere tornava a essere quello favoloso degli apologhi chassidici di tenue nostalgia nella pienezza sentimentale magistralmente fissata in modalità poetiche spesso inventate dalla sua sensibilità epica e lirica. Con la sua opera sperimentava i temi e i toni più diversificati: dalla satira al realismo, dall'idillio all'ironia. Come gli altri due grandi poeti y., la sua produzione superava i dieci volumi tra romanzi, novelle, drammi, poesie e saggi critici; l'espressione più compiuta del suo messaggio artistico era attestata dal poema Di goldene Keit ("La catena aurea") del 1909, in cui riviveva il simbolo della tradizione spirituale cabalistica e chassidica per interpretare i presentimenti angosciosi, le speranze messianiche e la lezione di umiltà e di paziente fermezza interiore, cui seppe giungere l'ebraismo orientale alla vigilia della sua età oscura.
Peretz svolgeva anche una funzione di mentore delle nuove leve intellettuali, con lui Varsavia divenne la capitale culturale dell'ebraismo aschenazita. La sua casa veniva frequentata dagl'intellettuali più consapevoli della crisi e delle possibilità spirituali, che quella stessa situazione drammatica riusciva a esprimere. Lo scrittore promoveva appassionate discussioni e vivaci iniziative culturali. Alla sua scuola si creò una generazione di autori, che determinarono lo sviluppo della letteratura yiddish. Se con Peretz, infatti, si esaurì la fase costitutiva del classicismo, i suoi allievi nella diaspora americana o nell'ultimo approdo in Israele trasmettevano con una devozione, che con il passar del tempo assunse l'aura del mito, le forme poetiche, gl'interrogativi concettuali, l'eredità letteraria, il mestiere di scrittore nella sua specifica espressione y., connotata profondamente dall'esperienza creativa di Peretz.
Tra i suoi discepoli si ritrovano i principali autori della letteratura y. di questo secolo: D. Pinski (1872-1959), H. D. Nomberg (1874-1927), A. Reisen (1876-1953), I. M. Weissenberg (1881-1938), Peretz Hirshbein (1880-1948), il poeta Yehoash (1872-1927), Menachem Boraisha (1888-1949).
Il più famoso allievo fu S. Ash (1880-1957), una personalità intellettuale vivacissima, che riuscì a imporre all'attenzione del pubblico colto internazionale la letteratura y., rompendo pregiudizi ancora diffusi. La sua attività aveva del prodigioso, estendendosi quasi per sei decenni con sessanta opere, specialmente romanzi e drammi. Nel 1955 si trasferì in Israele, seguendo l'esempio di Pinski e di un altro eminente scrittore y., Leivick Halper (1888-1962), noto con lo pseudonimo di H. Leivick, ebreo russo, che scontò per le sue convinzioni socialistiche una dura deportazione in Siberia, da cui evase con una mirabolante fuga, riparando a New York. La sua opera più matura fu Der Golem, del 1920, che riscosse un successo mondiale per la capacità di cogliere poeticamente il simbolo più inquietante dei processi di disgregazione spirituale, insiti nella civiltà delle macchine. Le sue vicende erano esemplari per le travagliate sorti di tanti ebrei sradicati e umiliati nelle prigioni zariste, sfruttati nelle fabbriche di Varsavia o di New York, che divenne il centro della cultura y. di questo secolo, cui approdarono tutti gli scrittori formatisi alla scuola di Peretz.
La vita intellettuale degli autori emigrati negli Stati Uniti era estremamente vivace, affidata a una stampa di larghissima diffusione e a riviste letterarie di notevole impegno culturale, come Yugendz, fondata dal gruppo Di Yunge, caratterizzati da una riflessione sul valore autonomo della poesia, che era stata fino allora considerata subalterna alla missione civilizzatrice ed educatrice o all'impegno sociale, che voleva il poeta vate della rivoluzione sociale.
Fra i giovani si distinse J. Opatoshu (1886-1954), lirico delicato e romanziere dallo stile elegante e raffinato per quanto robustamente radicato nella cultura e nella storia israelita.
Mentre i giovani sostenevano una poetica neoimpressionistica con vistose contaminazioni mistiche o socialistiche, più coerentemente centrato sull'autonomia della poesia si dimostrò il gruppo di scrittori che nel 1919 fondarono la rivista poetica In Zikh ("In Sè", 1920-40), i cui esponenti trovarono la conferma del loro rifiuto della politica dalla crisi industriale alla fine degli anni Venti, dall'ascesa del nazismo e dello stalinismo, che fugò le tante speranze in una palingenesi rivoluzionaria della società. Eppure numerosi intellettuali ebrei avevano aderito entusiasticamente alla fondazione dello stato sovietico, che avrebbe risolto la questione ebraica.
E infatti all'inizio si studiarono soluzioni originali, riservando agli ebrei il Birobidžan, un paludoso territorio siberiano sull'Amur al confine con la Cina, che ebbe nello y. la sua lingua nazionale quale risposta "socialista" al progetto sionistico di tornare in Palestina. Tuttavia le comunità ebraiche più cospicue furono quelle di Minsk, di Mosca e soprattutto di Kiev, che fu la capitale letteraria della cultura y. d'ispirazione sovietica. Due furono le personalità poetiche di autentica capacità poetica: D. Bergelson (1884-1952) e P. Kaganovicz (1884-1950), detto Der Nister ("Il misterioso").
Il primo fu un intellettuale inquieto, che debuttò nella narrazione impressionistica per aderire gradualmente alle concezioni della letteratura come testimonianza sociale, strumento di emancipazione delle masse dei proletari ebrei. Come la maggioranza degli scrittori israeliti si trovò a sperimentare ben presto il contrasto tra la tradizione così fittamente intessuta di motivi religiosi e messianici e la poetica ufficiale del realismo socialista. Lo scontro, già maturo negli anni Trenta, fu sospeso dalla guerra per esplodere subito dopo la fondazione dello stato d'Israele nel 1948. L'anno successivo Bergelson, con Der Nister e numerosi altri intellettuali ebrei, furono arrestati per essere trucidati nella notte del 12 agosto 1952. La loro tardiva riabilitazione non giovò alla ripresa della cultura y., ormai stravolta da decenni di accanite persecuzioni.
L'opera di Der Nister era connotata da una profonda religiosità, che nella riscoperta dei derelitti, quali incarnazioni del divino, poteva presentare un'apertura verso gl'ideali socialistici. Ma le affinità erano troppo labili per consentire a questo "inattuale" poeta di continuare prima a scrivere poi a vivere.
Anche Vilna, finché restò la capitale della repubblica lituana, fu un vivacissimo centro y., che però, travolto dalla barbarie nazista, non si ricostituì più. Lo stesso prestigioso istituto di ricerca YIVO, che si propone di dirigere e unificare le tendenze linguistiche e culturali dello y., registrandone la storia e l'evoluzione, si trasferì definitivamente a New York, dove continua la sua intensa attività di studio e di promozione culturale. Il principale esponente della poesia y. lituana, A. Sutzkever (1913), è oggi il più attivo organizzatore della cultura y. in Israele, dove prosegue, insieme con la sua infaticabile opera a sostegno di tutte le iniziative letterarie y., a comporre versi di sapore surrealistico, che sono tra le più valide espressioni della nuova poesia y. d'Israele.
Una particolare esperienza poetica della letteratura y. degli anni Quaranta è quella detta dell'"Olocausto": una letteratura del dolore e della morte, una drammatica rievocazione dello sterminio, una ricerca del senso della tragedia, una composta testimonianza, che ispirò canti di struggente intensità lirica. Questo singolare genere di letteratura documentale superò in pochi anni i cinquecento volumi, i cosiddetti Yizkhor-Bicher, i libri delle rimembranze, spesso austere elencazioni di morti, distruzioni, sopraffazioni, atrocità efferate, maestose e solenni denunce, palpitanti per un mondo che non è più, ma che pur era riuscito a essere una piccola civiltà con vivace cultura e intensa vita artistica, che resero la Varsavia tra le due guerre uno dei centri intellettuali più interessanti di questo secolo.
Una collocazione autonoma era quella di Alter Kacyzne (1885-1941) all'interno delle correnti letterarie y. del primo dopoguerra. Egli fu attivo in Lituania, in Ucraina e soprattutto in Polonia, distinguendosi per la sua sicura vocazione lirica, testimoniata dallo splendido idillio drammatico Kranke Perln ("Perle malate") del 1922. Il poeta si era già profilato come uno dei più maturi e originali autori y. quando la morte per mano di fascisti ucraini lo colse ancora nel pieno delle sue avventurose ricerche e sperimentazioni letterarie, che restano a testimonianza di un temperamento poetico di straordinaria originalità.
Un'esperienza intellettuale altrettanto vivace nella Varsavia del primo dopoguerra era quella della scapigliatura y. del gruppo della Khaliastre, ovvero la "banda", come fu sdegnosamente soprannominato dagli avversari, irritati dalle provocazioni espressionistiche dei giovani scrittori, tra i quali era il grande romanziere realista I. Y. Singer (1893-1944), discendente da una famiglia rabbinica, che, dopo aver rotto con la tradizione, aveva scelto con entusiasmo l'attività di libero scrittore con simpatie libertarie e socialistiche, che lo fecero aderire alla rivoluzione sovietica in un movimentato soggiorno a Kiev, da dove tornò ben presto deluso per i sentimenti antisemiti dei bolscevichi. Singer venne allora scoperto dal più importante organizzatore culturale della stampa y. di New York, A. Cahen (1860-1951), fondatore del principale quotidiano y., Forvertz, che si assicurò la collaborazione dello scrittore prima da Varsavia e poi a New York.
Prima di emigrare negli Stati Uniti pubblicò, nel 1932, il suo primo romanzo di grande respiro epico, Yoshe Kalb, una conturbante storia di oscure passioni e di una luminosa ascesi purificatrice, che riviveva l'aura favolosa dell'universo chassidico, filtrato nell'amara esperienza umana dell'autore, che nel 1936 con Di Brider Ashkenazi ("I fratelli A.") - dai critici ravvicinato ai Buddenbrook manniani - raffigurava con potente realismo narrativo e con una vigorosa concentrazione epica, padroneggiando un immenso magma poetico, la genesi, il trionfo e la rovina di una famiglia e dell'intera comunità ebraica di Łódź, che era poi l'emblema dell'ebraismo orientale nel presentimento della tragedia ormai vicina.
Il gusto realistico, fortemente pervaso di tonalità naturalistiche, insieme con le agghiaccianti aperture al mondo magico e con l'affettuosa rivisitazione dell'infanzia era anche il suggestivo campo poetico di I. B. Singer (v.), fratello minore di Israel, che riassumeva nella sua opera i motivi e i temi dell'intera poesia y. di questo secolo, presentendo di essere uno degli ultimi protagonisti di un ciclo culturale quasi millenario, ormai giunto a una svolta definitiva. Per I. B. Singer lo y., da "gergo" proletario, da rozzo idioma dei derelitti, si rarefaceva a lingua magica di demoni, spiriti, dibukim e di santi rabbini. Lo y. si sublima, nella sua poesia più originale, in linguaggio arcano di incantesimi e di enigmi mistici, la cui inquietante e angosciosa bellezza si trasforma in una surreale visione sempre più staccata e remota, mentre i semi di questa grande stagione culturale cominciano a rifiorire rigogliosamente nella letteratura degli Stati Uniti, impensabile senza il contributo creativo dei figli degli emigrati aschenaziti.
Bibl.: L. Wiener, The history of Yiddish Literature in the 19th century, New York 1899; M. I. Pines, Histoire de la littérature judéo-allemande, Parigi 1911; M. Erik, Di Geshikhte fun der yidisher Literatur, Varsavia 1928; Zalman Reisen, Lexikon fun der yidisher Literatur, 4 voll., Vilna 1928; Zalman Zylbercweig, Lexikon fun yidishen Teater, 5 voll., New York 1931-1967; S. Niger-J. Shatzky, Lexikon fun der nayer yidisher Literatur, 7 voll., ivi 1956-1968; S. Landmann, Jiddisch. Das Abentteuer einer Sprache, Olten-Friburgo i. B. 1962; C. Madison, Yiddish Literature. Its scope and major writers, New York 1968; L. Rosten, The joys of yiddish, ivi 1968; I. Howe-E. Greenberg, Voices from the Yiddish. Essays, memoirs, diaries, The University of Michigan 1972; S. Liptzin, A history of yiddish Literature, Middle Village, N. Y. 1972; O. F. Best, Mameloschen. Jiddisch - Eine Sprache und ihre Literatur, Francoforte s. M. 1973; J. Bin-Nun, Jiddisch und die deutschen Mundarten, Tubinga 1973; H. Dinse, Die Entwicklung des jiddischen Schrifttums im deutschen Sprachgebiet, Stoccarda 1973; H. Dinse-S. Liptzin, Einführung in die jiddische Literatur, ivi 1978.