Yijing («Classico dei mutamenti») Opera cinese nota anche come Zhouyi («Mutamenti dei Zhou») e tradizionalmente considerata il portato della vena compositiva dei Quattro saggi, ossia il mitico imperatore Fu Xi, il sovrano Wen dei Zhou, il Duca di Zhou e lo stesso Confucio (➔). Nella sua primissima forma, l’Y. fu un vero e proprio manuale di divinazione, sebbene già dall’epoca di Confucio fosse considerato come un’elevata fonte di sapienza, tanto da essere poi incluso fra i Cinque classici (Wujing), raccolta di testi della tradizione confuciana assurta a canone nel 2° sec. a.C. L’Y. consta di due parti: il «classico» (jing) e il «commentario» (zhuan), composti in differenti periodi, ma considerati un’unica opera sin dalla dinastia Han (secc. 3° a.C
3° d.C.). La parte jing è quella che comprende i 64 esagrammi (gua), così denominati perché formati da sei linee intere o spezzate, intese a rappresentare rispettivamente i principi yang e yin. E proprio dalla combinazione di tali linee che discendono i 64 esagrammi, ognuno recante un nome specifico, costituito prevalentemente da un solo carattere cinese. Ogni esagramma a sua volta è seguito da una breve frase o sentenza (guaci) e poi da sei ulteriori sentenze: una per ogni singola linea (yaoci) dell’esagramma. Questa è la parte del testo spesso menzionata o riferita come Zhouyi e, secondo la critica più recente, non composta dai fondatori della dinastia dei Zhou occidentali (secc. 11°-8° a.C.), ossia il sovrano Wen (forse 11° sec. a.C.) e il Duca di Zhou (forse 11° sec. a.C.), come invece creduto dalla tradizione. È probabile, inoltre, che tale parte del testo non raggiunse la forma definitiva prima del periodo compreso tra la fine della dinastia dei Zhou occidentali e l’inizio di quella dei Zhou orientali (secc. 8°-3° a.C.). Un testo che nel corso del tempo fu riccamente corredato di vari commentari, tanti da raggiungere il numero definitivo di sette, tre dei quali divisi in due parti (shang e xia), e usualmente denominati «Dieci ali» (shi yi). Sebbene ogni testo debba ancora essere datato singolarmente, tale corpus di commentari fu verosimilmente composto tra la metà del 3° e l’inizio del 2° sec. a.C., eccettuato però lo Xugua, da datarsi posteriormente. Sfuggito alla proscrizione dei libri antichi decretata nel 213 a.C. dalla dinastia Qin, perché classificato come opera di divinazione, l’Y. fu trasmesso senza interruzione sino alla dinastia Han, diventando, grazie al concorso di alcuni eruditi dell’Accademia imperiale, opera canonica. Circolò anche fra coloro che animarono le dottrine cosmologiche della Scuola del nuovo testo (Jinwenjia), ma anche tra quelli che si identificarono invece con le idee della Scuola del vecchio testo (Guwenjia), la cui tradizione testuale fu usata da Wang Bi (226-249), autore di un commentario preservatosi nella sua interezza e assunto a fondamento di un secolare lavoro esegetico. L’Y. divenne così una delle opere più influenti nella storia del pensiero cinese, tanto che non stupisce il continuo rinvenimento in scavi archeologici di frammenti o addirittura di copie manoscritte del testo, fra cui sono degne di nota quella completa trovata a Mawangdui (Hunan) nel 1973, e databile alla prima metà del 2° sec. a.C., e quella incompleta conservata attualmente nel Museo di Shanghai e risalente a un’epoca intorno al 300 a.C.