Güney, Yilmaz
Nome d'arte di Yilmaz Pütün, regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico turco, di origini curde, nato a Yenişehir (Adana) il 1° aprile 1937 e morto a Parigi il 9 settembre 1984. Come attore di film d'azione si conquistò una grande popolarità negli anni Sessanta per imporsi poi anche come regista e produttore con una trentina di drammi metropolitani e contadini che segnarono la storia del cinema turco, testimoniando la situazione di un Paese sconvolto da due colpi di Stato militari e da profonde trasformazioni sociali. Il suo cinema, votato al realismo e alla critica radicale, ma sempre capace di umorismo e di grandi slanci lirici, fu duramente osteggiato dalle autorità politiche del suo Paese, che inflissero a G., in più riprese, circa cento anni di carcere (in gran parte per reati di opinione), contribuendo involontariamente a trasformarlo in una figura leggendaria. Profondamente orgoglioso delle sue origini, ma estraneo alle rivendicazioni etnico-religiose e alle derive nazionaliste e separatiste, pose al centro della sua opera la specificità curda nella lotta di classe, nello scontro tra i sessi e i poteri e nella dialettica tra individuo e comunità. Con Yol, realizzato in collaborazione con Şerif Gören, ottenne la Palma d'oro al Festival di Cannes del 1982.
Nato in un villaggio curdo dell'Anatolia sud-orientale, seguì la madre nella città di Adana quando i genitori si separarono. Si finanziò gli studi facendo i lavori più disparati (tra cui quello di proiezionista) e manifestò subito una passione per la scrittura. Studiò legge presso l'università di Ankara ed economia presso quella di Istanbul, ma si dedicò ben presto al cinema, inizialmente come sceneggiatore e attore. Debuttò nel 1958, recitando in due film diretti da Atıf Yılmaz su suo soggetto, Alageyik (Il cervo rosso) e Bu vatanin çocukları (Bambini di questa terra), ma nel 1961 fu condannato a diciotto mesi di carcere per la sua militanza politica nel partito comunista turco di matrice marxista-leninista e di orientamento filo-albanese. Uscito di prigione, dove ebbe comunque modo di portare a termine il racconto autobiografico Boynu bükük öldüler (Morirono a testa china), divenne l'attore più popolare del cinema turco ‒ fu soprannominato Çirkin kral, "il re brutto", per la sua bellezza anomala ‒ interpretando una notevole quantità di film, di cui una ventina su suo soggetto. Nel 1966 esordì come regista e due anni dopo fondò la casa di produzione Güney Filmcilik, con cui avrebbe realizzato, in perfetta indipendenza, come sceneggiatore e interprete, regista e produttore, la sua idea di cinema politico, sempre rivolto al grande pubblico ma capace di raccontare le ingiustizie e i bisogni repressi che attraversavano il Paese. In Seyit Han (1968), storia di un uomo che torna dopo molti anni nel villaggio dell'Anatolia dov'era cresciuto, affrontò la piaga sociale dei matrimoni combinati. Le tristi condizioni in cui versava il sottoproletariato cittadino, costretto in una povertà disperante, stanno invece al centro di Umut (1970, Speranza), dove vengono raccontate in chiave metaforica: dopo aver perso il cavallo, unico suo mezzo di sostentamento, il protagonista parte per il deserto alla ricerca di un leggendario tesoro. Sempre più inviso al governo turco, prima di essere nuovamente arrestato con l'accusa di aver appoggiato il Movimento di liberazione del popolo curdo, G. realizzò Ağit (1971, Elegia), film di grande impatto visivo, ambientato nuovamente in Anatolia, dove, braccata dalla polizia e dai cacciatori di taglie, si nasconde una banda di contrabbandieri, e Baba (1971, Papà), paradossale vicenda di un padre che, pur di salvare la propria famiglia dalla miseria, accetta di assumersi la colpa di un assassinio e di passare dieci anni in carcere, finendo poi ucciso dal figlio. Tornato nuovamente in libertà, G. dimostrò di aver conservato intatte combattività politica e creatività artistica con Arkadaş (1974, L'amico), film 'didattico' su una famiglia borghese che entra in crisi in seguito all'arrivo di un ospite inatteso, un militante di sinistra, in visita al suo vecchio compagno di lotte. Nello stesso anno uscì anche Endişe (Ansia), realizzato in collaborazione con Gören, in cui si racconta con uno stile documentaristico la storia di un lavoratore oppresso due volte, dallo sfruttamento capitalistico e dai rapporti feudali tradizionali. Durante la lavorazione di Zavallılar (I poveretti), film portato a termine nel 1975 da Atıf in cui G. torna a interpretare il ruolo del prigioniero, arrivò la terza e più grave condanna: diciotto anni di carcere per l'omicidio, mai provato, di un magistrato durante una rissa scoppiata in un ristorante (più altre numerose condanne per scritti sovversivi). In un primo momento il carcere non bloccò l'attività di G., che pubblicò tre romanzi e scrisse due sceneggiature per altrettanti film diretti da Zeki Ökten: Sürü (1978; Il gregge), premiato come miglior film al Festival di Locarno del 1979, e Düşman (1979, Il nemico). Tuttavia le condizioni di reclusione peggiorarono decisamente in quello stesso anno in seguito al trasferimento di G. in una prigione su un'isola del Mar di Marmara. Ciò rallentò molto il suo lavoro, ma non lo impedì del tutto, tanto che dalla cella diresse il suo penultimo film, Yol, forse il suo capolavoro, guidando le riprese dell'amico Gören (che firmerà la regia), con il beneplacito delle stesse autorità, cui il lavoro venne presentato come un benevolo documentario sulla situazione delle carceri turche. Il risultato del montaggio, curato dallo stesso G., fuggito nel frattempo dal carcere e dal Paese, fu ben diverso: la storia di cinque detenuti che lasciano la prigione per una settimana di permesso, al termine della quale l'intera società turca appare come un immenso carcere, da cui si può solo fuggire. Il film fu accolto trionfalmente al Festival di Cannes del 1982, mentre le autorità turche toglievano la cittadinanza a G., dopo aver aggiunto venti anni di carcere alle sue precedenti condanne, confiscato tutte le sue proprietà e vietato il film, insieme a quasi tutte le sue opere (che resteranno proibite in Turchia fino al 1999). Durante l'esilio, con il sostegno del governo francese, diresse Le mur (1983; La rivolta), ancora un racconto di violenze e prigionia, ambientato questa volta in un carcere minorile e ispirato a un fatto realmente accaduto, la rivolta di Ankara del 1976, di cui furono protagonisti i ragazzi detenuti, ai quali il film è anche dedicato.
Yilmaz Güney, a cura di E. Martini, Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro, Roma 1985; Le cinéma turc, sous la direction de M. Basutçu, Paris 1996, pp. 107-55; P. Biswas, Yilmaz Güney: cinéaste militant, Calcutta 1999.