Yol
(Turchia/Francia/Svizzera 1982, colore, 111m); regia: Yılmaz Güney, Şerif Gören; produzione: K.L. Puldi, Edi Hubschmid per Güney/Cactus; sceneggiatura: Yılmaz Güney; fotografia: Erdoğan Engin; montaggio: Yılmaz Güney, Elisabeth Waelchli; musica: Sebastian Argol, Kendal.
Dopo il colpo di stato che nel 1980 ha consegnato la Turchia a una dittatura militare, cinque detenuti in libertà vigilata viaggiano per il paese. Yusuf smarrisce i documenti di identità, e viene presto arrestato. Seyit, giunto a casa, apprende che la moglie Ziné, fuggita in un bordello dopo l'incarcerazione del marito, è ora tenuta in prigionia dai famigliari in una casa in montagna. Costoro la affidano a Seyit perché la uccida, riscattando l'onore perduto. Diviso fra l'odio e la pietà, l'uomo la conduce a piedi su un ghiacciaio, insieme al figlio, e ne provoca la morte per assideramento. Mehmet, responsabile della morte del cognato (autista in una rapina a una gioielleria, scappò abbandonandolo dopo aver udito gli spari della polizia), torna dalla moglie e viene scacciato dai parenti della donna, che però fugge con il marito. Sul treno, dopo che i due coniugi sono scampati a un linciaggio per essersi chiusi insieme nella toilette, la donna viene uccisa dal fratello minore, che giustizia anche Mehmet. Mevlüt, che si ritiene un uomo moderno, va a trovare la fidanzata e le propone di sposarlo, prescrivendole doveri coniugali che implicano una cieca obbedienza al marito. Invece di avere rapporti sessuali con lei, si reca in un bordello. Il curdo Ömer trova il suo paese natale oppresso dall'esercito turco. Suo fratello, militante nelle schiere dei ribelli, viene ucciso: e Ömer, in ottemperanza alle regole della tradizione, diventa il marito della vedova, rinunciando a sposare la donna che silenziosamente gli dichiara il suo amore. Alla scadenza del permesso, si rifiuta di rientrare in galera e sceglie la via della fuga sulle montagne.
Il carcere, in Yol (termine che in turco significa 'strada', ma anche, in senso figurato, il 'cammino della vita'), non è solo il luogo di provenienza dei cinque viaggiatori, ma è anche metafora applicabile all'intera società turca. Non soltanto perché ricorrono nel film riferimenti a violenze perpetrate dalla polizia e dall'esercito sulla popolazione civile; ma anche perché a 'incarcerare' i personaggi sono le rigide prescrizioni e i crudeli codici d'onore di un'antica cultura patriarcale. Rispetto a questo complesso sistema repressivo politico e culturale, Yol coglie svariate reazioni nei protagonisti, così come nelle figure secondarie: dall'inerzia rassegnata con la quale una donna nel villaggio curdo continua ad allattare al seno un bambino, mentre si svolge sotto i suoi occhi un'azione di guerriglia, al sorriso affascinato e masochistico con il quale la fidanzata di Mevlüt apprende da lui i dettami annichilenti della sua futura vita coniugale; dal dissidio intimo di Seyit, che sarà perseguitato dal rimorso dopo la morte di sua moglie, alla ribellione nei confronti della legge maturata da Ömer, che però accetta fatalisticamente gli obblighi coniugali prescritti dalla tradizione.
Molti motivi conferiscono a Yol la dimensione di un affresco (come del resto era intenzione dello stesso Yılmaz Güney che, per raccontare altri aspetti della società turca, prevedeva nel progetto originario un numero maggiore di viaggiatori protagonisti): la gamma di atteggiamenti psicologici che la macchina da presa coglie sui tanti volti ripresi dal film (con una tendenza a indugiare sui primi piani che ad alcuni critici ha ricordato il cinema di Pier Paolo Pasolini); le città e i paesi descritti con un atteggiamento di costante disponibilità a cogliere scorci di reale; gli svariati momenti di vita sociale ritratti (le amicizie e le solidarietà virili; i nuclei familiari e, in particolare, i rapporti fra padri e figli; il sesso; la guerriglia; la folla unita nel linciaggio o che si accalca curiosa alle porte di un bordello…). La nota dello strazio è sottesa a tutte le immagini, anche a quelle che ritraggono bei paesaggi naturali, uomini che corrono a cavallo o uccelli che spaziano nel cielo: segni di una libertà rimpianta o vagheggiata.
Consapevole dell'uniforme clima disforico di Yol, Güney così dichiarava: "In certi film, soprattutto in quelli americani, si arriva a un climax di sentimenti e reazioni che crollano con un'azione risolutiva. Io voglio invece che gli spettatori accumulino queste sensazioni durante tutto il film e si ritrovino per la strada, fuori dal cinema, pieni di angoscia, carichi dei sentimenti e della disperazione dei personaggi. Voglio che vadano a casa e che, da questo momento, vedano la vita e il mondo attraverso questa esperienza". Il processo catartico o liberatorio è posto dall'autore al di fuori del cinema, nella lotta politica, della quale l'arte può solo agevolare le condizioni, plasmando le emozioni e la coscienza del popolo. Il film fu concepito da Güney all'interno di un carcere turco, dove scontava diciannove anni di reclusione con l'accusa di aver ucciso un giudice (totalizzò complessivamente condanne per circa cento anni di carcere, soprattutto per i suoi scritti e i suoi libri, considerati filo-comunisti). Basato su una dettagliatissima sceneggiatura e sulle indicazioni di regia di Güney, Yol fu dapprima affidato dall'autore a un regista che egli licenziò dopo dieci giorni, giudicando inservibili le sue riprese, poi a Şerif Gören, già suo assistente. Approfittando di una licenza di libera uscita, Güney fuggì (come il personaggio di Ömer, del quale condivideva l'origine curda) e in Svizzera curò personalmente il montaggio del film. Presentato nel 1982 al Festival di Cannes, ottenne la Palma d'oro, ex aequo con Missing (Missing ‒ Scomparso) di Constantin Costa-Gavras. Messo al bando in Turchia nel 1982, insieme a tutta l'opera cinematografica, letteraria e giornalistica dell'autore, compresi gli oltre cento film ai quali egli aveva partecipato come attore, Yol poté riapparire nelle sale turche solo nel 1999, in un'edizione restaurata dalla Fondazione Güney, riscuotendo interesse e favore soprattutto presso il pubblico giovanile.
Interpreti e personaggi: Tarık Akan (Seyit Ali), Şerif Sezer (Ziné), Halil Ergün (Mehmet Salih), Necmettin çobanoǧlu (Ömer), Semra Uçar (Gülbahar), Hikmet çelik (Mevlüt), Sevda Aktolga (Meral), Tuncay Akça (Yusuf), Hale Akınlı (Seyran), Turgut Savaş (Zafer), Hikmet Taşdemir (Şevket), Engin çelik (Mirza), Osman Bardakçi (Berber Elim), Enver Güney (Cindé), Erdoǧan Seren (Abdullah).
M. Martin, La voie, in "La revue du cinéma", n. 374, juillet-août 1982.
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Yilmaz Güney, a cura di E. Martini, Roma 1986.