YUNGANG
YUNGANG. - Complesso di santuarî rupestri situato nella parte settentrionale dell'odierna provincia cinese dello Shanxi, 16 km a O della città di Datong. Le grotte che lo compongono sono scavate sulle pendici meridionali di un rilievo conosciuto come Monte Wuzhou, lungo una direttrice O-E che si estende per c.a 1 km parallela alla riva Ν del fiume Wuzhou. Insieme a Dunhuang e Longmen è un sito di fondamentale importanza per seguire gli inizî della tradizione scultorea di ispirazione buddhista sotto le dinastie settentrionali.
L'area di Y., secondo la numerazione più recente, adottata dal 1987, comprenderebbe 45 grotte e 207 cavità minori numerate. Questa nuova numerazione sostituisce i due sistemi usati finora, quello di S. Mizuno e T. Nagahiro e quello stabilito dalle autorità cinesi nel 1964. Le grotte da 1 a 20, tuttavia, sono indicate con gli stessi numeri in tutti e tre i sistemi. La conformazione naturale della parete di roccia le divide in tre sezioni: orientale (grotte 1-4), centrale (5-13) e occidentale (14-45). Grazie a una serie di ricognizioni archeologiche e lavori di restauro effettuati a partire dagli anni '50 ci si è potuti rendere conto della conformazione di alcune delle strutture in legno che facevano da complemento esterno alle cavità scavate nella pietra arenaria. In effetti, nella maggior parte dei casi i santuarî erano costituiti da una combinazione di questi due elementi, con le statue che riempivano ambienti chiusi a cui si doveva accedere in condizioni di scarsa illuminazione. Esse, quindi, in origine non erano concepite per essere viste da lontano.
Buona parte del complesso fu realizzata nella seconda metà del V sec. d.C., sotto la dinastia Tuoba dei Wei Settentrionali (386-533 d.C.), che all'epoca ebbero per circa un secolo la loro capitale a Pingcheng, appunto nei pressi dell'odierna Datong. L'attività di costruzione si concentra, in particolare, nell'arco di poco più di un trentennio, da circa il 460 d.C., sotto gli imperatori Wencheng Di (452-465 d.C.) e Xiaowen Di (471-499 d.C.). Dopo il trasferimento della capitale a Luoyang nel 494, essa continua alacremente anche nella prima metà del VI secolo. La data più tarda testimoniata in un'iscrizione dedicatoria è il 524 d.C. Dopo l'epoca dei Tang (618- 906 d.C.), a cui risale qualche sporadico esemplare scultoreo, i santuarî furono sottoposti nel corso dei secoli a ripetuti interventi di restauro.
La più completa documentazione fotografica del sito è il risultato di una ricognizione effettuata tra il 1938 e il 1944 da una squadra guidata da T. Nagahiro e S. Mizuno dell'Università di Kyoto. Nel dopoguerra gli studiosi cinesi lo hanno continuato a studiare anche dal punto di vista archeologico, fornendo ulteriori contributi alla sua conoscenza. Tuttavia, le opinioni degli esperti rimangono discordi sui dettagli relativi alla datazione delle singole grotte, al loro contenuto iconografico e all'evoluzione degli stili.
L'esiguo numero di iscrizioni dedicatorie rimaste rende il problema della datazione particolarmente complesso. T. Nagahiro e Su Bai, pur dissentendo nei particolari, hanno elaborato, soprattutto sulla base di fattori stilistici, un modello di periodizzazione delle grotte Wei che distingue tre fasi, presupponendo un'attività di costruzione ininterrotta a partire da circa il 460 d.C. Uno spartiacque accettato quasi da tutti sembra essere il 494 d.C., data del trasferimento della capitale, ma il passaggio dal primo al secondo periodo non può essere delimitato con altrettanta chiarezza. D'altronde, in molti casi la decorazione e la costruzione stessa di una determinata grotta iniziata in un periodo continuarono anche in quello successivo.
Le più antiche sarebbero le grotte 16-20, situate nella sezione occidentale. Queste sono comunemente identificate con le grotte di cui, secondo le fonti storiche (Weishu), avrebbe caldeggiato la costruzione Tanyao, eminente prelato buddhista che in quegli anni godeva di indiscussa autorità in quanto investito dalla corte della suprema carica religiosa. La loro costruzione viene fatta risalire a un arco di anni grosso modo compreso tra il 460 e il 470 d.C. Esse sarebbero direttamente legate alla casa imperiale, nella persona dell'imperatore Wencheng Di, il quale, allora ventenne, accolse la richiesta del religioso. Le sculture colossali ivi contenute avrebbero dovuto rappresentare, secondo una identificazione popolare sotto i Wei, i Buddha nelle vesti dei sovrani, a partire dal fondatore della dinastia, Daowu Di, fino a Wencheng Di stesso. L'opera, oltre ad accrescere il prestigio dinastico e assicurare la protezione magica del regno, aveva sicuramente anche un contenuto espiatorio delle violente misure persecutorie adottate da Taiwu Di (446-452 d.C.) contro le comunità buddhiste. Le cinque «grotte di Tanyao» mostrano una sostanziale unità stilistica (a parte, forse, la 16, di solito considerata leggermente più tarda) e un progetto iconografico che sembrerebbe collegarle l'una all'altra secondo una precisa logica interna. Il modulo centrale sarebbe costituito dalla grotta 18, nella quale non a caso è raffigurato Śākyamuni/Vairocana come il principio cosmico dal quale emanerebbe la variegata molteplicità delle sue manifestazioni.
La fase successiva, che si vuole arrivi fino al 494 d.C., sembra coincidere con un allargamento della base sociale dei donatori dei santuarî. Costoro, attratti da un sito di antico prestigio riconsacrato dalla sanzione degli imperatori, dedicavano grotte sia come individui che in gruppi.
Qui ancora troviamo santuarî di dimensioni notevoli (5-13). Rappresentative di una fase leggermente successiva sono forse le coppie di grotte 7-8 e 9-10, dalla caratteristica pianta con anticamera, in cui ancora è presente un influsso stilistico occidentale nelle rappresentazioni di Buddha, Bodhisattva e divinità indiane e illustrazioni scultoree della vita o delle vite del Buddha.
Le grotte del lato O risalgono infine al periodo più tardo e sono tuttora le meno studiate. La grandiosità caratteristica dei cinque santuarî imperiali viene in esse definitivamente abbandonata, visto che per la maggior parte si tratta di nicchie di dimensioni ridotte, nelle quali compare spesso il motivo iconografico ispirato al «Sūtra del Loto» dei Buddha Śākyamuni e Prabhūtaratna, scene dalle vite del Buddha, Vimalakīrti e Mañjuśrī. Spicca tra esse la grotta 38, a base rettangolare, decorata con scene della vita del Buddha e, sul soffitto, con le figure di musici celesti impegnati a ricavare armonie dai più svariati strumenti, con una ricchezza fantasmagorica che sembra evocare una visione estatica.
Dal punto di vista stilistico, risalta a Y. il contrasto tra l'austerità delle «grotte di Tanyao», imparentate con l'arte scultorea di ascendenza occidentale testimoniata a Dunhuang e al Binglin Si, e l'esuberanza del resto. Si tratta, in sostanza, di due registri stilistici, uno non cinese e l'altro cinese la cui presenza è stata spiegata in varî modi. Per alcuni (Su e Nagahiro) ciò sarebbe l'indice di una sinizzazione progressiva e parallela all'adozione della cultura cinese da parte dei Wei. Essi costituirebbero due fasi cronologicamente successive, per cui, p.es., le vesti dei Buddha scolpiti sarebbero cambiate dopo l'adozione dell'abbigliamento cinese a corte a partire dal 486 d.C. Questa trasformazione stilistica si riscontrerebbe in modo tipico, p.es., nella grotta 6. Altri, invece, tendono a sottolineare la presenza contemporanea delle due tradizioni stilistiche fin da un periodo relativamente antico. Gli aspetti «cinesi», in questo caso, sarebbero dovuti all'influenza delle forme elaborate dalla cultura artistica della Cina meridionale, ritenuta più avanzata (Yoshimura e Soper), oppure il risultato di «esperimenti» stilistici tentati a livello locale (Caswell). Tutto questo, peraltro, viene anche spiegato con l'attività di squadre di artigiani di diversa provenienza (Yoshimura), portati a Pincheng dalla politica di deportazioni di massa cui avevano fatto ricorso i Wei a più riprese.
Bibl.: S. Mizuno, T. Nagahiro, Yun-kang: The Buddhist Cave-Temples of the Fifth Century A.D. in North China, 16 voll., Kyoto 1951-1956; A. Soper, South Chinese Influence on the Buddhist Art of the Six Dynasties Period, in Bulletin of the Museum of Far Eastern Antiquities, XXXII, 1960, pp. 47-112; id., Imperial Cave-Chapels of the Northern Dynasties: Donors, Beneficiaries, Dates, in ArtAs, XXVIII, 1966, 4, pp. 241-270; Su Bai, Yungang shiku fenqi shilun («Tentativo di periodizzazione delle grotte di Yungang»), in Kaogu xuebao, 1978, 1, pp. 25-38; Ch. Sato, The Character of Yϋn-kang Buddhism. A Look at the Emergence of a State-Supported Religion in China under the Northern Wei, in Memoirs of the Research Department of the Tōyō Bunko, XXXVI, 1978, pp. 39-83; T. Nagahiro, Shuku Haku shi no Unkō sekkutsu bunki ron wo hakusu («Confutazione della periodizzazione delle grotte di Yungang di Su Bai»), in Tōhōgaku, LX, 1980, pp. 30-44; id., Unkō sekkutsu no nazo («Il mistero delle grotte di Yungang»), in Bukkyō geijutsu, CXXXIV, 1981, pp. 11-42; Ding Mingyi, Guanyu Yungang shiku fenqi de jige wenti («Su alcuni problemi relativi alla periodizzazione delle grotte di Yungang»), in Shijie zongjiao yanjiu, 1981, 4, pp. 79-91; Su Bai, Dajin xijing wuzhoushan chongxiu dashikusi bei de faxian yu yanjiu («La scoperta della ‘’Stele commemorativa della ricostruzione dei grandi templi rupestri del Monte Wuzhou, nella Capitale Occidentale, sotto i Grandi Jin'’ e uno studio di essa»), in Beijing daxue xuebao - zhexue shehui kexue ban, 1982, 2, pp. 29-49; L. A. Juliano, New Discoveries at the Yungang Caves, in Ν. Shatzman Steinhard (ed.), Chinese Traditional Architecture, New York 1984, pp. 80-89; J. C. Huntington, The Iconography and Iconology of the 'Tan Yao' Caves at Yungang, in Oriental Art, XXXII, 1986, 2, pp. 142-160; J. O. Caswell, Written and Unwritten. A New History of the Buddhist Caves at Yϋnkang, Vancouver 1988; AA.VV., Unkō sekkutsu («Le grotte di Yungang»), Tokyo 1989-1990; R. Yoshimura, Unkō sekkutsu hennenron, Shuku Haku - Nagahiro gakusetsu hihan («La periodizzazione delle grotte di Yungang: critica alle teorie di Su Bai e Nagahiro»), in Kokka, 1140, 1990, pp. 13-29; id., Donyō gokutsu zōei shidai («Le circostanze della costruzione delle cinque grotte di Tanyao»), in Bukkyō geijutsu., 212, 1994, pp. 11-36.