Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Yves Klein, tra i fondatori nella prima metà degli anni Sessanta del movimento dei nouveaux réalistes, è una figura centrale e originale nel panorama artistico europeo del secondo dopoguerra. L’aspetto più rilevante del suo lavoro, caratterizzato soprattutto dall’uso di grandi tele monocrome, è quello di avere sviluppato una ricerca fortemente concettuale capace di trasmettere l’idea di immaterialità.
Musica monotona e pittura monocroma
Nato a Nizza, figlio di pittori ma autodidatta, Yves Klein tra il 1944 e il 1946 frequenta l’École Nationale de la Marine Marchand e l’École Nationale des Langues Orientales. Dal 1947 comincia a interessarsi alle culture orientali ed esoteriche: dall’alchimia dei Rosacroce al buddhismo, dalle arti marziali giapponesi alla teosofia.
A questo periodo risalgono le sue prime produzioni tra cui l’opera musicale sperimentale Sinfonia monotona e le impronte monotipo (una particolare tecnica che si basa sull’uso di mani e piedi). Nel 1949 svolge il servizio militare in Germania, e subito dopo parte per l’Inghilterra insieme al poeta Claude Pascal. Nel 1951 torna a Parigi per poi partire di nuovo nel settembre 1952 alla volta del Giappone, dove tiene a Tokyo una mostra dei suoi primi lavori monocromi.
Nonostante il rifiuto, da parte della commissione esaminatrice, di un’opera presentata nel 1955 al Salon des Réalités Nouvelles, Klein si rafforza nella convinzione di continuare a indirizzare la propria ricerca artistica verso il colore puro: “Per me ogni sfumatura di colore è, in un certo senso, un individuo, una creatura vivente dello stesso tipo del colore primario, ma con un carattere e un’anima sua propria. Ci sono molte sfumature – delicate, aggressive, sublimi, volgari, serene”.
L’obiettivo dichiarato dall’artista, dunque, è quello di porre l’occhio dello spettatore di fronte a uno spazio pittorico libero, nel quale non fosse possibile trovare punti fissi o figure, ma soltanto la forza ipnotica del colore puro: “Avvertire l’anima, senza spiegazioni, senza parole e dipingere questa sensazione – questo è credo ciò che mi ha portato alla pittura monocroma”.
Nel periodo che va dalla seconda metà degli anni Cinquanta fino al 1962, anno della sua morte, si concentra la più importante, intensa e diversificata produzione dell’artista francese. Dopo vari esperimenti, giunge nel 1956 al brevetto dell’IKB (International Klein Blu), un intenso blu oltremare (definito da Klein “l’espressione più perfetta del blu”) che diventerà filo conduttore di gran parte della sua opera. Inoltre il suo lavoro inizierà a imporsi all’attenzione del pubblico e della critica con la mostra Epoca blu del 1957 alla Galleria Apollinaire di Milano e altre esposizioni a Parigi, Düsseldorf e Londra.
Tra il 1957 e il 1959 Klein realizza due grandi pannelli blu di 20 metri per il nuovo edificio del Teatro dell’Opera di Gelsenkirchen, nei quali alle superfici monocrome sono aggiunte delle spugne, considerate da Klein come perfetto elemento naturale simboleggiante l’alternanza delle fasi d’inspirazione ed espirazione. “Un giorno notai la bellezza del blu in una spugna; questo strumento di lavoro divenne per me materia prima d’un sol colpo. La straordinaria capacità delle spugne di assorbire qualsiasi liquido mi affascinò”.
Altra espressione della ricerca concettuale di Klein, derivata dal convincimento che l’idea d’opera d’arte sia più importante dell’opera d’arte stessa e quindi non sia necessario esporre un oggetto concreto e visibile, è l’esibizione divenuta famosa come Le Vide (Il Vuoto) che si svolge il 28 aprile 1958 alla Galleria Iris Clert di Parigi. La performance consiste nella rimozione di qualsiasi oggetto presente nella galleria, che divenne uno spazio vuoto completamente pitturato di bianco. Le numerose persone che assistono all’evento sono fatte entrare singolarmente o in piccoli gruppi nella stanza vuota: l’intento è quello di dare la possibilità a ogni visitatore di vivere un’esperienza d’arte libera dal punto di vista interpretativo e sensoriale. L’Internationale Klein Blue è riutilizzato per l’occasione servendo dei cocktail colorati di blu al pubblico e nell’illuminazione delle finestre della galleria. L’aspetto rituale dell’evento, invece, è messo in risalto dalla presenza di due guardie repubblicane all’ingresso.
Le Anthropométries
Al giugno del 1958 risale una nuova serie di opere: le Anthropométries. Applicando del colore blu su una modella, e facendo aderire il suo corpo nudo a fogli di carta stesi sul pavimento o a superfici verticali, Klein ottiene le forme del corpo femminile ridotte ad alcuni elementi, il tronco e le cosce. Il risultato è un’immagine antropometrica, vale a dire attinente al canone delle proporzioni umane.
Per Klein le Anthropométries rappresentano non tanto un ritorno all’arte figurativa, ma la possibilità di esprimere una vera energia vitale. Infatti, in tal modo è necessario il coinvolgimento attivo e creativo di più persone, protagoniste di un nuovo rito collettivo.
La première delle Anthropométries dell’Epoca blu, definizione coniata dal critico Pierre Restany, si svolge il 23 febbraio 1960 nell’appartamento di Yves Klein. Il 9 marzo dello stesso anno avviene la prima esposizione presso la Galerie Internationale d’Art Contemporain di Parigi. Un ristretto e selezionato pubblico di artisti e critici assiste all’evento. Vestito con uno smoking nero, Klein dirige un’orchestra di 20 elementi che iniziò a suonare la Sinfonia monotona, 20 minuti di una nota continua seguiti da 20 minuti di silenzio. Contemporaneamente l’artista applica il colore blu sui corpi delle modelle, che diventano così uno strumento guidato a distanza dallo stesso Klein. L’evento termina con una serrata discussione tra l’artista e il pubblico riguardante la funzione mitica e rituale dell’arte.
Sempre nel 1960 realizza il provocatorio Salto nel vuoto, opera in cui l’artista è fotografato mentre si lancia da una finestra a braccia aperte sulla strada. L’immagine risulta particolarmente evocativa della tensione umana verso l’infinito, tema molto attuale in quegli anni caratterizzati dai primi viaggi spaziali.
Come il fuoco, gentile e crudele
A partire dal 1960 elabora una nuova tecnica attraverso l’utilizzo del fuoco, realizzando composizioni ottenute con combustioni superficiali. Tale ricerca, che rappresenta uno dei principali temi degli ultimi anni della sua vita, sarà in seguito approfondita nella trilogia monocroma blu-oro-rosa, dove ogni colore rappresenta uno specifico significato simbolico e uno dei colori caratteristici del cuore della fiamma: “Si dovrebbe essere come il fuoco indomito nella natura, gentili e crudeli; si dovrebbe essere capaci di contraddire se stessi. Allora, e solo allora, si può essere veramente un principio personificato e universale”.
Costante in tutte le ricerche portate avanti da Klein è l’evidenziazione dei limiti della percezione: “Non esistono limiti obiettivi all’espressione artistica, né nel contenuto, né nella forma. L’unica autorità che ho sempre riconosciuto è la voce dell’intimo”.
E per descrivere l’essenza della sua arte, Klein si serve spesso di un’antica storia persiana: “C’era una volta un flautista che un giorno si mise a suonare una nota unica, continua e ininterrotta. Dopo aver così fatto per 20 anni, sua moglie gli fece notare che gli altri flautisti producevano un’ampia gamma di suoni armoniosi e intere melodie, creando una certa varietà. Ma il flautista monotono replicò che non era colpa sua se egli aveva già trovato la nota che tutti gli altri stavano cercando”.