ZACCARA, Antonio
da Teramo, detto (Antonius de Teramo, Çachara de Teramo, Magister Çacherias chantor domini nostri pape, Zacar). – Nacque a Teramo verosimilmente prima del 1365.
Solo in tempi recenti le diverse grafie del nome sono state ricondotte a una sola identità, grazie anche ad alcuni dettagli somatici nel ritratto contenuto nel cosiddetto codice Squarcialupi della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze (Med. Pal. 87, c. 175v), coerenti con la descrizione offerta dal perduto obituario della cattedrale di Teramo, il quattrocentesco Necrologio aprutino: «fuit statura corporis parva, et in manibus et pedibus non nisi decem digitos habuit, et tamen eleganter scribebat» (Nádas, 1986, pp. 168-172). Tali deformità chiariscono l’origine stessa del soprannome, variante fonetica – con la vocale finale indistinta, secondo l’uso medio-adriatico – di zàccaro, ossia ‘cosa di poco conto’ (cfr. anche Pirrotta, 1971, p. 166).
La prima menzione di Antonio – già qualificato come magister, titolo conseguito in genere non prima del compimento del venticinquesimo anno di età – è in un contratto del 5 gennaio 1390 con l’ospedale romano di S. Spirito in Sassia: «magistro Antonio Berardi Andree de Teramo, alias dicto vulgariter Zacchara, optimo, perito et famoso camtore, scriptore et miniatore» è richiesto d’insegnare per tre anni musica ai frati e ai fanciulli ivi residenti, cantare nei divini uffici e realizzare un antifonario «magno, notato et scripto optima littera» per l’ingente somma di cento fiorini d’oro, da lui contestualmente versati per l’acquisto di una casa nel rione Ponte presso la parrocchia di S. Maria di Monte Giordano (Esposito, 1983, pp. 446-449), lungo l’attuale via dei Coronari. Benché sorprenda che una persona con gravi malformazioni (Zimei - Ventura, 2017), specie agli arti superiori, potesse svolgere complesse attività grafiche, è proprio ciò a suggerire ch’egli sia nato in una famiglia dedita alla miniatura, arte che a Teramo era a quel tempo assai coltivata: in quest’ottica è verosimile che, prima di maturare nuove abilità, egli sia giunto a Roma molto giovane, insieme con i suoi parenti, per partecipare, con tante altre botteghe, alla ricostituzione del disperso patrimonio librario della S. Sede all’indomani del ritorno da Avignone (Zimei, 2017, pp. 193-195).
Il 1° febbraio 1391 Zaccara venne nominato da Bonifacio IX scriptor litterarum apostolicarum, ruolo documentato fino al 1407 e comprovato da numerose bolle firmate «A. de Teramo» (Ziino, 1979, pp. 317-319), talora sopravvissute in originale (Di Bacco - Nádas, in Antonio Zacara..., 2004, p. 36; Pasqualetti, 2017, pp. 46, 53). Dal decreto si apprende altresì che egli era un laico, era sposato, e, soprattutto, era divenuto membro della cappella musicale pontificia (Ziino, 1979, pp. 311 s.), nuovo traguardo di una carriera che, oltre a implicare un’effettiva versatilità, potrebbe aver tratto vantaggio dalla presenza in curia di vari influenti teramani: in primis Giacomo Paladini, residente in quegli anni proprio a S. Spirito (Di Bacco - Nádas, in Antonio Zacara..., 2004, p. 45) e registratore dei brevi fino alla nomina episcopale (ottobre 1391) che lo portò a guidare importanti diocesi tra cui Firenze (1401-10).
Le prime composizioni di Zaccara pervenute sono alcuni movimenti di messa databili all’ultimo decennio del Trecento, ove il cantus si sdoppia quando le altre parti tacciono (Bent, in Antonio Zacara..., 2004), tecnica di sua probabile invenzione (Di Bacco - Nádas, 1998, p. 81) recepita da autori come Johannes Ciconia, allora a Roma presso il cardinale Philippe d’Alençon, e Micołaj Radomski, giunto dalla Polonia in occasione del giubileo straordinario del 1390. Allo stesso periodo risale anche la coppia Gloria ‘Micinella’ - Credo ‘Cursor’, destinata forse alla potente famiglia Micinelli, residente a Trastevere ma titolare di patronati a S. Maria di Monte Giordano e nella vicina S. Angelo «de Reniczo», sede del collegio dei cursores papali (Di Bacco - Nádas, 1994, pp. 28-31).
Non meno rilevante è il linguaggio delle sue opere profane, caratterizzate da un forte taglio autoreferenziale e da un’interdipendenza fra testo e musica spesso così stringente da oltrepassare ogni convenzione metrico-formale (Zimei, 2017, pp. 195 s.). Nel suo catalogo, ricco sinora di 25 ballate, un madrigale, una caccia, un mottetto e una ballade, domina uno spiccato gusto per la polisemia, realizzata con vasto campionario di simboli, enigmi, citazioni, allegorie: tale densità espressiva costituiva d’altronde uno strumento ideale nella propaganda politico-religiosa di una Chiesa lacerata dallo scisma e dalle accuse incrociate delle contrapposte obbedienze, spesso improntate a quel millenarismo militante che aveva proprio in Paladini uno dei principali ideologi (ibid., p. 200). Di questa temperie Zaccara divenne acuto interprete e testimone. Le sue composizioni non si limitano peraltro a riflettere l’evoluzione della crisi, ma ne collegano le tappe al suo vissuto personale: è il caso del madrigale Plorans ploravi, ov’egli passa in rassegna vari luoghi biblici sul tema del pianto per commemorare il proprio figlio Giacomo, morto «ne la sua puericia» durante una sommossa anticuriale (Zimei, in Antonio Zacara..., 2004, pp. 237-239), o della ballata Rosetta che non canbi may colore, che esalta la coerenza di un personaggio evocato per antifrasi con il nome di un colorante vegetale noto in miniatura per la sua instabilità (Zimei, 2013, pp. 262 s.).
In un’altra ballata, Deus deorum Pluto, egli sarcasticamente ringrazia una parade di creature infernali dichiarandosi servo «de Cacus Radamanto», in realtà anagramma di ‘D. Antonius Çacara’: dunque è ormai servo di se stesso (Zimei, 2011, p. 216; cfr. anche Gozzi, in Antonio Zacara..., 2004, p. 144). Ciò presuppone che nel maggio 1408 a Lucca avesse aderito alla secessione di nove cardinali di Gregorio XII che diede poi vita al Concilio di Pisa, celebrato sotto l’egida di Firenze: proprio in quest’ultima città, allora sotto l’episcopato di Paladini, Zaccara dovette anzi trovare iniziale riparo in quel momento d’incertezza professionale, come si evince dalla recezione locale di alcune sue opere (Zimei, 2013, pp. 261-264; Janke - Nádas, 2015). Accreditatosi quindi presso la nuova curia di obbedienza ‘pisana’ per ottenere un incarico, fu tuttavia costretto per alcuni anni a una vita itinerante, scandita da una serie di importanti ballate sul tema della Fortuna: tra queste Dyme, Fortuna, incentrata sulla delusione per una promessa sfumata a causa dell’improvvisa scomparsa del nuovo papa Alessandro V, morto a Bologna il 3 maggio 1410 mentre era in procinto di riconquistare Roma (Ziino, 1994); vicenda alla base anche di Un fior gentil m’apparse («[...] e tosto sparse»), costruita su un complesso gioco di cifre figurate a celare il nome della ninfa Amarilli di virgiliana memoria, identificata nei Commentarii di Servio come la personificazione di Roma (Zimei, 2017, p. 198).
Con l’elezione di Giovanni XXIII (al secolo Baldassarre Cossa), le aspettative di Zaccara si fecero più concrete: in D’amor languire egli non esitò infatti a invocare la Fortuna, sinora nemica, per tornare a «spriçar come ranochia / quando el gran becho l’al’ comença a spandere», dove il papa regnante è assimilato all’omonimo evangelista attraverso l’aquila del tetramorfo (Zimei, in Antonio Zacara..., 2004, p. 243). Frattanto l’8 dicembre 1410 Zaccara era in Padova per celebrare, con la ballata trilingue Je suy nauvrés tan fort, o dous amy, la laurea «in scientia iuris civilis» di Simone de Lellis, altro teramano illustre di orbita pontificia. Per l’occasione nei registri egli si dichiara «presbitero», segno che dopo la perdita del figlio – e chiaramente anche della moglie – aveva scelto la vita ecclesiastica (Zimei, 2011, pp. 224 s.). Nell’aprile successivo Cossa prese finalmente possesso della S. Sede e Zaccara ne fu il nuovo magister capelle: la nomina, forse sollecitata da una ballade dall’impressionante difficoltà ritmica, Sumite, karissimi, concepita come un rebus sulla parola «reconmendatione», ebbe tra i suoi effetti la composizione di Le temps verrà, manifesto del poi fallito Concilio di Roma (Marchi - Di Mascia, 2001, p. 14), e di alcune coppie di Gloria-Credo su propri temi di ballata, ritenute fra i primi esempi di ‘messa-parodia’ (Strohm, 1993). Ma il nuovo incarico svanì presto: l’8 giugno 1413, per sfuggire all’assedio di Ladislao di Durazzo, il papa decise di allontanarsi da Roma e non vi fece più ritorno, proseguendo poi verso il Concilio di Costanza. Zaccara, ingenuamente rimasto in città, tempo dopo sfogò il suo disincanto in un’ultima ballata contro la Fortuna, Deducto sei, annunciando nei versi finali che non gli restava che tornare in patria (Zimei, in Antonio Zacara..., 2004, pp. 244 s.).
Quest’epilogo, specie se agevolato dall’offerta di un posto in cattedrale, non solo ne spiegherebbe l’inclusione nel Necrologio aprutino, ma anche il fatto che nel 1463 il vescovo teramano Giovanni Antonio Campano, in una lettera a Jacopo Ammannati Piccolomini, parli di allievi di Zaccara ancora in vita, a riprova di una fama duratura e in linea con la diffusione europea delle sue musiche.
Morì prima del 17 settembre 1416 (Di Bacco - Nádas, 1994, p. 28).
Fonti e Bibl.: N. Pirrotta, «Zacharus musicus», in Quadrivium, XII (1971), pp. 153-175; A. Ziino, «Magister Antonius dictus Zacharias de Teramo»: alcune date e molte ipotesi, in Rivista italiana di musicologia, XIV (1979), pp. 311-348; A. Esposito, «Magistro Zaccara» e l’antifonario dell’Ospedale di S. Spirito in Sassia, in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento. Atti del 2° Seminario… 1982, a cura di M. Miglio, Città del Vaticano 1983, pp. 334-342, 446-449; J. Nádas, Further notes on Magister Antonius dictus Zacharias de Teramo, in Studi musicali, XV (1986), pp. 167-182; K. von Fischer, Bemerkungen zur Überlieferung und zum Stil der geistlichen Werke des Antonius dictus Zacharias de Teramo, in Musica disciplina, XLI (1987), pp. 161-182; R. Strohm, The rise of European music, 1380–1500, Cambridge 1993, pp. 100 s.; G. Di Bacco - J. Nádas, Verso uno ‘stile internazionale’ della musica nelle cappelle papali e cardinalizie durante il Grande Scisma (1378-1417): il caso di Johannes Ciconia da Liège, in Collectanea I, a cura di A. Roth, Città del Vaticano 1994, pp. 7-74; A. Ziino, Studio introduttivo, in Il Codice T.III.2. Torino, Biblioteca nazionale universitaria, a cura di A. Ziino, Lucca 1994, pp. 9-65 (in partic. pp. 47-49); M. Caraci Vela, Una nuova attribuzione a Zacara da un trattato musicale del primo Quattrocento, in Acta musicologica, LXIX (1997), pp. 182-185; G. Di Bacco - J. Nádas, The papal chapels and Italian sources of polyphony during the Great Schism, in Papal music and musicians in late medieval and renaissance Rome, a cura di R. Sherr, Oxford 1998, ad ind.; D. Fallows, Zacara da Teramo, Antonio, in The new Grove dictionary of music and musicians, XXVII, London.New York 2001, pp. 701-706; L. Marchi - E. Di Mascia, «Le temps verrà tamtoust aprés»: una proposta di attribuzione ad Antonio Zacara da Teramo, in Studi musicali, XXX (2001), pp. 3-32; Antonio Zacara da Teramo e il suo tempo, a cura di F. Zimei, Lucca 2004 (in partic. G. Di Bacco - J. Nádas, Zacara e i suoi colleghi italiani nella cappella papale, pp. 33-54; M. Bent, ‘Divisi’ and ‘a versi’ in early fifteenth-century mass movements, pp. 91-133; M. Gozzi, Zacara nel ‘Codex Mancini’: considerazioni sulla notazione e nuove attribuzioni, pp. 135-167; F. Zimei, Variazioni sul tema della Fortuna, pp. 229-245; G. D’Agostino, Le ballate di Zacara, pp. 247-277; P. Memelsdorff, ‘Vilage’: fortuna e filiazione di un Credo di Zacara, pp. 301-335); L. Marchi, Zacara da Teramo, Antonio, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XVII, Kassel 2007, coll. 1281-1285; F. Zimei, Note sul soggiorno padovano di Zacara, in I frammenti musicali padovani tra Santa Giustina e la diffusione della musica in Europa. Atti della Giornata di studio… 2006, a cura di F. Facchin - P. Gnan, Padova 2011, pp. 215-228; Id., Sulle tracce di Zacara a Firenze, in Beyond 50 years of ars nova studies at Certaldo (1959-2009). Atti del Convegno internazionale di studi, Certaldo… 2009, a cura di M. Gozzi - A. Ziino - F. Zimei, Lucca 2013, pp. 255-264; A. Janke - J. Nádas, New insights into the Florentine transmission of the songs of Antonio Zacara da Teramo, in Studi musicali, n.s., VI (2015), pp. 197-214; C. Pasqualetti, Novità sul Pontificale Calderini e sulle vicende della miniatura fra l’Aquila e l’Urbe negli anni del Grande Scisma (con una traccia su Zacara da Teramo «scriptore et miniatore»), in Prospettiva, 2017, n. 165-166, pp. 32-59; F. Zimei, Zacara and his oeuvre in the schismatic context, in Europäische Musikkultur im Kontext des Konstanzer Konzils, a cura di S. Morent - S. Leopold - J. Steinheuer, Ostfildern 2017, pp. 193-204; F. Zimei - L. Ventura, A pathographic profile of the composer Antonio Zacara da Teramo (ante 1365-1416), in Pathologica, CIX (2017), pp. 430 s.; A Janke - F. Zimei, The Atri fragment revisited II: from the manuscript’s context to the tradition of the ballata “Be’ llo sa Dio”, in Liturgical books and music manuscripts with polyphonic settings of the mass in medieval Europe, a cura di O. Huck - A. Janke, Hildesheim 2020, pp. 135-155.