CONTARINI, Zaccaria
Nacque in una data non accertabile, probabilmente nel secondo decennio del 1300, dal patrizio veneziano Nicolò, del ramo dei Contarini detto di S. Cassiano, parrocchia di residenza della famiglia.
Il padre, nipote del doge lacopo e procuratore di S. Marco deultra, era noto per aver dato compimento all'edificazione dell'ospedale di S. Giovanni Battista a Murano. Fra i sei fratelli maschi dei C. si ricordano principalmente Donato, abate dei monastero di S. Niccolò di Lido e Piero, segnalato nelle genealogie per il suo valore militare.
Solo ad un secentesco elogio si è in grado di far risalire la notizia, ripresa più volte dalla letteratura, di quella che dovette essere la vicenda di maggior rilievo nel periodo di formazione giovanile del C.: l'aver studiato il diritto per ben sette anni all'università di Parigi, "fiorentissimo totius Europae gymnasio" e l'aver fatto parte del locale Collegio dei giure consulti. Un apprendistato culturale, quindi, di non poco conto (e proprio a lui il padre Nicolò lascerà nel suo testamento redatto il 6 sett. 1359, insieme con i suoi oggetti più cari, tutti i suoi libri), che il giovane avrà ben presto occasione di metter a profitto nella vita politica cittadina.
Frequenti, pur se episodiche, tracce documentane segnalano, a partire all'incirca dalla metà del secolo, la presenza del C. in vari consigli e uffici della Repubblica. Più improbabile nell'attribuzione al C., pèrché forse troppo precoce in rapporto al cursushonorum del magistrato veneziano (ma le genealogie non riferiscono per quegli anni di alcun omonimo), la carica di avogador di Comun già nel 1347; più certe quelle di giudice di Petizion nel 1351 e, ripetutamente, di senatore.
Numerosissime anche le commàssioni, insediate dal Senato o dal Maggior Consiglio su particolari problemi di volta in volta emergenti, a cui il C. fu chiamato a partecipare quale savio. Nell'impossibilità di elencarle analiticamente merita segnalare fra le altre, perché indicative dell'apporto del C. all'elaborazione del dibattito civile nella Venezia del tempo, quella eletta in Maggior Consiglio il 18luglio 1352, nel fervore di aggiornamento giuridico seguente all'opera legislativa del doge Andrea Dandolo, con l'incarico di esaminare statuti, consigli e consuetudini riguardanti norme di diritto successorio "reducendoli in uno compendio"; o quella che nel novembre e dicembre 1361 lavorò - su incarico dei Senato e nello spirito della parte di esso più favorevole ad una linea di politica economica protezionistica - per studiare il ripristino del già soppresso Officium de navigantibus, magistrato istituito fin dal 1324 per controllare e limitare la concorrenza commerciale al grande capitale cittadino.
Ma il ruolo che il C. ebbe principalmente a svolgere nelle tormentate vicende politiche della seconda metà del Trecento, quando il ripetuto saldarsi dei numerosi nemici della Repubblica in un unico fronte parve più volte ridurla allo stremo, fu quello dei diplomatico. È questa la veste in cui soprattutto piacque ai panegiristi posteriori celebrarlo: evocandone le ben sessantatré ambascerie, descrivendo le più famose ed importanti, paragonando con dovuto tributo retorico le virtù del C. a quelle di Ulisse o di Cicerone.
La prima ambasceria documentata è quella a Pietro IV d'Aragona nel 1343: ne fa fede un atto steso in Avignone il 7 agosto di quell'anno, relativo al Pagamento di 18.000 fiorini dovuti da Venezia a quel sovrano per l'armamento di sei galee. Alcuni anni più tardi, nell'aprile del 1349, il C. ricevette "sindicato" per sollecitare dall'Impero bizantino la restituzione del prestito di 30.000 ducati contratto nel 1343, 0 almeno il pagamento dei relativi interessi, fu poi presente, il 19 novembre successivo, quale ambasciatore e delegato del doge alla ratifica in palazzo ducale della rinnovata tregua quinquennale fra Venezia e Costantinopoli in funzione antigenovese, stipulata dallo stesso C., bailo a Bisanzio il 9 settembre.
Tramutatasi infine l'ostilità con Genova in guerra aperta, il C. prestò di nuovo la sua opera di diplomatico presso il re Pietro d'Aragona, ora il maggiore alleato di Venezia. Fra la fine del 1352, Per tutto il 1353 e quindi ancora nel 1354 (anno in cui va registrata anche una missione all'imperatore Carlo IV, alleato dal marzo delle forze antigenovesi, per caldeggiame la venuta in Italia), il C. affiancò da Barcellona il poderoso sforzo militare che Venezia stava affrontando sul mare: seguì e sollecitò più volte l'armamento e l'invio delle galee pattuite per la flotta della lega; a remunerazione del loro allestimento eseguì personalmente a Valenza il 13 settembre e il 13 nov. 1353 delicate ed articolate operazioni di pagamento; impetrò ed ottenne da Pietro IV maggior ngore nei confronti dei carcerati genovesi che a Maiorca e a Valenza venivano adibiti a costruir nuove galee; ottenne, infine, il 25 apr. 1354, con la mediazione del vescovo di Barcellona, il consenso dello stesso re ad una proposta genovese per una triplice permuta di prigionieri.
Ritornato in patria, nel novembre 1355 il C. fu inviato a Padova nel tentativo di recuperare i beni colà posseduti dal doge Marin Faliero, da poco giustiziato; ancora a Padova l'anno seguente, dovette dirimere il contrasto insorto con Chioggia sulle saline poste ai confini tra le due città. Risale sempre al 1356 un episodio, spesso ricordato dalla storiografia posteriore, in cui il C. compare come uomo d'arme. Era infatti podestà a Conegliano, con Fantino Dandolo in qualità di provveditore, quando Ludovico re d'Ungheria, forte dì più alleanze (i conti di Gorizia, il patriarca di Aquileia e, occultamente, i Carraresì), discese in nuova guerra contro Venezia. Provenendo dal Friuli alla testa di un grosso esercito, Ludovico conquistò la città dì Sacile e, sulla strada di Treviso, costrinse alla resa anche Conegliano. Benché attenuata, soprattutto nei più tardivi resoconti, dalla strenuità del breve tentativo di resistenza e dalla crudeltà del nemico, pesante fu la condanna dei Maggior Consiglio ai due rettori, preceduta dall'arresto per entrambi nelle carceri "inferiori". Soprattutto per il C., privato degli "offici e benefici in città e fuori eccettuata la partecipazione ai consigli" e obbligato al pagamento di 200 ducati, l'episodio dovette segnare un notevole scacco militare e politico, probabilmente l'unico di tale gravità nella suoi carriera pubblica.
Non ne risultò interrotta, peraltro, l'attività politica del C. il quale, come consueto fra il giovane patriziato veneziano, si dedicava contemporaneamente anche al commercio: risulta, infatti, che il 2 giugno 1358 egli ottenne l'appalto, per 100 lire di "grossi", della costruzione, arrnamento e dei percorso di linea di una delle sei galee "ad viagiuni Flandrie", il convoglio che da Venezia periodicamente raggiungeva attraverso Gibilterra i mercati occidentali, fino alle coste inglesi.
A partire circa dal 1359 l'impegno civile del C. si connota di un più continuato carattere residenziale: lo stanno ad attestare l'intensificarsi, soprattutto dal '59 al '63, delle designazioni alle commissioni senatoriali più varie e frequenti incarichi, come quello di consigliere ducale nel 1362-63 e nel 1365 (vacante il dogado per la morte di Lorenzo Celsi) e di avogador di Comun nel 1364. Non furono, comunque, escluse nuove missioni diplomatiche di diversa importanza. In molte di esse - in quegli anni come nei successivi - la funzione dell'"oratore" veneziano è spesso quella del mediatore, a nome della sua Repubblica, nelle altrui controversie: così in Lombardia nel 1361 per trattar la pace fra Galeazzo Visconti e il marchese del Monferrato; così ancora a Genova nel 1364 per smussare le divergenze in corso fra quella repubblica e il re di Cipro.
In altri casi è affidata al C. preminentemente la tutela dei minacciati interessi veneziani o l'attenuazione di incipienti situazioni di conflittualità che comvolgono direttamente il Comune Veneciarum. Di tal genere è la missione milanese svolta con Pietro Soranzo nell'anno 1364 per ottenere la liberazione dei familiari di Luchin del Verme, per ritorsione incarcerati dopo che quegli, combattendo per i Veneziani a Candia, aveva ucciso un parente del Visconti schierato con i ribelli dell'isola; o il reclamo sempre ai Carraresi nel settembre 1369 per le usurpazioni - preannunci della guerra futura - da questi compiute nei territori di Chioggia, Treviso e Valmareno. Ancora a Padova sarà inviato nel 1376 con Federico Comer a contestare il passaggio concesso da quella città nel suo territorio al duca d'Austria.
Con Genova in particolare, nonostante i recenti trattati, la tensione permaneva alta: i danni alle galee veneziane in Mar Nero per i quali il C. protesta con Simon Boccanegra nel settembre del '62 ottenendone promessa di punizione per i colpevoli, erano spia della dura concorrenza tra le due repubbliche in Oriente e della comune mira sulla "chiave dello stretto", l'isola di Tenedo.
Alla ormai consumata esperienza diplomatica del C. il governo veneziano consegna ancora alcuni incarichi diplomatici solo apparentemente di rappresentanza, gravidi in realtà di delicati risvolti politici. È il caso della delegazione condotta con altri undici patrizi in Friuli per incontrarvi l'imperatore Carlo IV nella sua venuta in Italia nel 1368 contro i Visconti; o dell'ambasceria di condoglianza al marchese Nicolò d'Este per la morte del fratello, assolta con Daniele Comer nell'agosto del '70. È il caso soprattutto della solenne missione ad Urbano V nel 1367 quando, avendo il pontefice deciso il ritorno da Avignone alla sede romana, Venezia inviò cinque galee a Marsiglia per scortarlo in Italia. Lungo il tragitto fino a Genova e di Il a Corneto (od. Tarquinia) sulla costa laziale, ove il transito per mare ebbe termine il 4 di giugno, il C. viaggiò sulla galea del papa, che ben dimostrò in successive lettere a Venezia di aver gradito sia il capitano e i sopracomiti delle galee sia i "nobili e prudenti ambasciatori". I rapporti fra Venezia e il Papato erano stati in realtà, in quel torno d'anni, non poco turbati dalla controversa questione delle "decime dei morti", che già in passato - e in particolare dopo la grande mortalità seguita alla peste del 1348 - aveva visto contrapposti l'episcopato castellano e la Repubblica., Appellatosi il vescovo Paolo Foscari allo stesso pontefice Urbano V, il C., di nuovo insieme con Daniele Comer, ebbe nel settembre 1367 il compito di tutelare presso la Curia papale le ragioni dei suo governo. Con nuovo "sindicato" tre mesi più tardi i due ambasciatori furono ulteriormente incaricati - essendo nel frattempo pervenuto il caso al giudizio della Rota - di raccomanda e al papa la deposizione dei vescovo veneziano. Fino al 1377 si protrarranno le pendenze relative alla questione delle "decime": sarà ancora il C. (già a Roma dal 29 aprile per congratularsi con Gregorio XI del definitivo ritorno della sede papale e per interporre opera di pace nella guerra allora in corso fra la S. Sede e Firenze) a ricevere l'11 giugno la nomma a procuratore del doge per concludere definitivamente l'annoso conflitto giurisdizionale.
A tale corso d'anni di intensa attività diplomatica si può assegnare anche la Partecipazione del C. ad un episodio, probabilmente del 1366, che getta nuova luce sulle sue frequentazioni culturali e ne arricchisce di ulteriori notazioni la fisionomia intellettuale. Una giossa coeva ad un codice marciano trecentesco del De sui ipsius et multorum ignorantia (Mss. Lat., cl. VI, 86 [= 2593]), proveniente dalla biblioteca dei SS. Giovanni e Paolo, permette di identificare i nomi - e quello dei C. è fra essi - dei quattro amici "aristotelici" da cui Francesco Petrarca ebbe a subire nel suo soggiorno veneziano un singolare "processo", così come egli stesso narra nelle prime pagine di quell'opera. Condividevano i quattro la serenità delle conversazioni che si tenevano nella residenza alle due torri, ma presto sopravvenne - racconta il poeta - lo scontro dottrinale, fino alla formulazione di unanime, solenne verdetto: esser il Petrarca "sine litteris, virum bonum", un ignorante, benché onesto. Agli stessi accusatori venne quindi ritorta, con diverse gradazioni, l'accusa di illetterati: benché tutti "studiosi et lucubratores magni", il primo nulla sa di lettere, il secondo poco, il terzo non molto, il quarto invero non poco. La nota e rivelatrice associa il C. al terzo e mentre per il primo viene fatto il nome di altro nobile veneziano, Leonardo Dandolo, quindi dei mercante Tommaso, Talenti e infine dei medico Guido da Reggio. La foga della polemica petrarchesca non aiuta a cogliere la reale portata delle tesi degli "irreligiosi" avversari, fra cui il Contarini. La critica stessa ha progressivamente affinato le sue valutazioni: dalle prime designazioni di averroismo, in rapporto alla vicina scuola padovana, a quelle di un aristotelismo inteso come studio della filosofia naturale legato all'ambiente medico e dell'università bolognese (ed ecco le più note figure del Talenti, colto possessore di una ricca biblioteca scientifica e di Guido, medico, storico efilosofo). Nel variegato quadro del preumanesimo veneziano tale aristotelismo fisico-razionale, dal Petraca evidentemente sentito quale contrapposto alla propria cultura morale e letteraria, non è da escludere abbia accolto adesioni, in nome dell'amore per la logica e la dialettica, anche in un patriziato dotato - come nel caso del C. - di studi giuridici ed impegnato, grazie all'esercizio di spiccate capacità retoriche, nel servizio civile alla propria città.
Nel 1369 il C. ricevette un nuovo incarico militare dall'esito ben più felice dei precedente del 1356: inviato a Trieste quale provveditore, all'assedio di quella città ribellatasi al dominio veneziano, ne ricevette il 28 novembre la resa; assieme col capitano generale in Istria Paolo Loredan e con altri magistrati; vi tornerà quindi in successive missioni, contribuendo da Venezia quale savio all'Istria alla ricostruzione postbellica con l'allestimento delle fortificazioni a San Giusto e ad altro castello sul mare.
Allo scoppio dell'ultimo, più duro conflitto con Genova, la guerra di Chioggia, il C. venne inviato in Ungheria con il compito, tanto arduo quanto vitale per le sorti della sua città in quel frangente, di staccare dalla lega antiveneziana il re Ludovico.
Preceduto dal francescano Ludovico Donà, futuro generale dell'Ordine e cardinale, il C. giunse il 12 giugno. del 1376 a Buda assieme con GiAcorno Priuli, compagno di altra missione in Ungheria nel 1373, e con il segretario Desiderato Lucio, più tardi cancellier grande. Il registro delle lettere, inviate a Venezia nei dodici giorni della loro permanenza alla corte ungherese, permette di ricostruire i tentativi messi in atto dagli ambasciatori veneti per indurre l'interlocutore alla pace. Ne emerge per converso la resistenza di quest'ultimo, fomentata ripetutamente dagli ambasciatori padovani e genovesi presenti alla sua corte, talmente sicuri della vittoria - annotava il C. nella sua epistola da Oresnar - da abbandonarsi ad orgogliosi progetti sulla città laganare, quali la costruzione di una fortezza a S. Marco, di un castello a Cannaregioe, da qui, di una avveniristica "viam per quam... possit iri in terrani firmam et de terra firma redire". Già all'arrivo della legazione il sovrano s'era negato al colloquio, e altrettanto la regina e i baroni: solo con gli "auditori" il C. aveva potuto conferire. Considerato infine, dopo faticosi nuovi colloqui, impossibile raggiungere un accordo per l'esosità delle richieste ungheresi, la trattativa - ai limiti della rottura - fu spostata all'inizio di agosto a Sacile e quindi nella vicina Treviso, ove il confronto continuò, ancora per due mesi e senza migliori risultati, con il nipote del re Carlo di Durazzo.
Al ritorno a Venezia il C., nonostante la malattia ad una gamba da cui era stato colpito durante la permanenza a Treviso e che gli aveva reso particolarmente pesanti le ultime trattative, è ancora vivacemente presente nel dibattito senatorio: eletto più volte fra i savi alla Guerra, porta il suo nome la proposta approvata il lo dic. 1379 di ammettere al Maggior Consiglio, e quindi alla nobiltà, le trenta famiglie che più avessero aiutato la patria nello sforzo che essa stava sostenendo contro il nemico.
Quando infine nella primavera del 1381 Amedeo conte di Savoia prese l'iniziativa di convocare la conferenza che ponesse termine al conflitto, il C. venne scelto a guidare la delegazione veneziana a Torino. LA componevano, con il C., il procuratore Michele Morosini, che sarà doge l'anno seguente, e Giovanni Gradenigo: certamente i più abili diplomatici di quella generazione di Veneziani, per una trattativa non facile e dagli esiti inizialmente poco prevedibili. Restò famosa al proposito la concisa apostrofe con la quale il C. si narra rompesse l'empasse iniziale dei lavori, accettando di domandar pace all'avversario, ma rivendicando al contempo per Venezia vittoria e onore.
Quale fosse, a guerra terminata, il peso dell'autorità pubblica del C., sono vari indizi a suggerirlo. Innanzitutto le ripetute nomme alle commissioni di savi che dovevano provvedere alle opere di ricostruzione e alresecuzione delle clausole di pace; quindi l'invio il 10 marzo 1382 per l'ultima, forse la più difficile, ambasceria a Torino, ove riuscì a scongiurare il riaccendersi della guerra, dissociando la volontà della sua città da quella del bailo veneziano a Tenedo, Zanachi Mudazzo, "inobediente et ribello", rifiutatosi di consegnare l'isola al rappresentante di Amedeo VI.
Alla morte dei doge Andrea Contarini - la cui orazione funebre fu pronunciata dal figlio del C., Antonio, futuro vescovo di Adria e arcivescovo di Candia - il C. venne eletto fra i cinque "correttori sopra la promissione del doge futuro"; nelle votazioni che porteranno al dogado di Michele Morosini il 10 giugno 1382, il SUO nome compare nella rosa finale dei quarantuno elettori, mentre ritorna per ben quattro volte nelle "ballottazioni" intermedie alla nuova elezione, di Il a pochi mesi, di Antonio Venier.
Più ricchi particolari sugli schieramenti che precedettero la prima di tali elezioni - alla quale pareva designato inizialmente lo stesso Carlo Zeno, l'ardimentoso protagonista di molte recenti imprese belliche - sono forniti dal biografo e nipote di quest'ultimo, il vescovo Iacopo, che non esita ad imputare al C. la variazione di orientamento del corpo elettorale. Si voglia credere o meno all'autenticità letterale del lungo, cattivante discorso tenuto al proposito dal C. al Senato; si voglia realmente attribuirlo a sincero interesse per le sorti della Repubblica, cui sarebbe stato di grave detrimento, dogando Carlo Zeno, la perdita di tanto uomo d'armi (tale la linea dell'argomentazione), o a più bassa emulazione con lo Zeno all'apice della fama, la figura del C. appare nell'episodio come quella dì uno dei principali protagonisti della vita politica cittadina.
Le cariche di consigliere ducale, di avogador di Comun e di savio del Consiglio nell'84, quelle - di meno sicura attribuzione - di podestà di Chioggia nello stesso anno, di membro della Quarantia e dei venti della zonta al Senato nel 1187, scandiscono gli ultimi anni di vita pubblica del Contarini.
Il 26 marzo 1396 egli aveva redatto di propria mano il suo testamento, chiamando a dargli autenticità il notaio Bongiovanni Brisari., che era stato già cancelliere della delegazione veneziana al congresso di Torino nel 1381. Esecutori testamentari vi sono designati, accanto alla moglie Simona e ai nipoti Bernardo e Giovanni, i tre figli maschi: il vescovo Antonio, Luca, sopracomito della galea su cui il doge Andrea Contarini si era imbarcato nel 1379 uscendo alla riconquista di Chioggia, e Ludovico, che divenne anche egli illustre per aver partecipato valorosamente a numerose imprese belliche. Di un quarto figlio defunto, Franceschino, si ricordano le due figlie: Chatarucia, per la quale viene predisposta una dote di 1.600 ducati e Franceschina, monaca al convento di S. Maria della Celestia. Altri lasciti vengono dal C. destinati alle proprie figlie sposate, Beatrice Quefini, Isabetta Soranzo e Franceschina Zane. Il testamento fa cenno ancora ad altri personaggi dell'ambiente familiare del C.: due nipoti, Chiara Falier (probabilmente della casata della moglie Simona) e Maria Contarini, entrambe monache a S. Chiara; una Chiara, nutrice del figlio Antonio e due serve, Lucia e Lorenza, che vengono affrancate. Quanto alla moglie, che dovette sopravvivergli per almeno un ventennio dato che il suo testamento porta la data del 1406, il C. provvede lasciandole, come di consueto, "vitto e vestiario" e una somma di 15 ducati l'anno per l'affitto di un'abitazione, qualora ella non avesse voluto risiedere in altra casa di proprietà dei marito. Per il resto, eredi di tutto il patrimonio di beni mobili e immobili, imprestiti e diritti (che in occasione del prestito forzoso del 1379 erano stati valutati in 10.000 ducati) il C. designa i tre figli Antonio, Luca e Ludovico, non senza prevedere, come d'uso in atti del genere, una serie di clausole a favore delle figlie e dei nipoti in caso di mancanza di una discendenza maschile. Emerge ancora dal testamento il mondo della pietà privata del C., quando egli ricorda, chiedendo di esservi sepolto e beneficandolo di 400 lire, il convento dei minori di S. Maria Gloriosa dei Frari e il frate Giovanni Bon, suo confessore; i monasteri di S. Andrea, S. Chiara e S. Gerolamo a Venezia, di S. Mattia a Murano. la Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista di cui era confratello e i due ospedali legati alla famiglia dei Contarini, quello di S. Giovanni Battista di Murano e quello di S. Giobbe.
Non tutte queste disposizioni restarono definitive. Un codicillo testamentario del febbraio 1388, diminuendo pur se di non molto alcuni lasciti, ci fa sapere che gli ultimi anni di vita del C. furono rattristati da preoccupazioni finanziarie, da una progressiva, sofferta perdita della salute e da conseguenti costose cure, e soprattutto dalla morte del figlio forse più amato, il vescovo Antonio. Di tale tenore le più tardive testimonianze sulla vita del Contarini. Assente poi il suo nome dai registri di deliberazioni degli organi pubblici veneziani (l'ultima notazione riguarda l'elezione a savio del Consiglio il 30 sett. 1388), si presumé che la morte non sia seguita di molto alla stesura delle ultime volontà. La sua effigie decorò, fra quelle di vari uomini illustri, la sala del Maggior Consiglio fino all'incendio cinquecentesco del palazzo ducale: vicino ad altri membri della sua famiglia il C., "patriae vox, Reipublicac pectus, oculus Senatus", era ritratto "in habito cremesino foderato d'ermellini, sopra l'armi, col cappuccio in testa, per dimostrare la sua sufficienza così neTarmi come ne maneggi".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Miscellanea Codici, I, St. veneta, 18: M. Barbaro-A. Tasca, Arbori de' patritii veneti, II, cc. 434, 443, 446; Ibid., Miscellanea Codici, III, Codd. Soranzo, 31: G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, cc. 785, 786, con svariate inesattezze; Ibid., Segretario alle voci, Misti, reg. 1, cc. 26v, 58v, 65 (notazione di incerta attribuzione a c. 59); reg. II, cc. 1, 3, 28 (id. a cc. 3v, 4v, 6v, 9);reg. III, c. 6v (id. a cc. 45v, 46v); Ibid., Maggior Cons. Deliber., reg. 19, Novella, cc. 17, 45, 94v, 97v, 101rv, 170, 175, 177v, 178, 184; Ibid., Senato, Secreta, reg. "L" (D), cc. 17, 18v, 40v; Ibid., Senato, Deliberazioni miste, reg. 24, c. 43; reg. 25, c. 11; reg. 26, c. 90; reg. 27, cc. 22, 23v, 57v, 90; reg. 28, c. 54; reg. 29, cc. 31, 38, 43v, 50, 72v, 73v, 76v, 77v, 86, 90, 92v, 98v, 100, 102v, 104v, 107v, 108v, 109v, 114rv, 118v; reg. 30, cc. 9v, 38v, 40v, 41, 42v, 45v, 46v, 89, 99, 108v, 145v, 146; reg. 31, cc. 15v, 76, 83v, 114v, 125v, 148v; reg. 32, cc. 13v, 17, 86v, 132, 136, 140, 148; reg. 33, cc. 69, 73v, 76v, 78v, 79, 122v, 128v, 129v, 132v, 136, 136v; reg. 34, cc. 46, 134v, 138v, 142; reg. 35, cc. 52v, 106, 164v; reg. 36, cc. 6, 39v, 68v, 85, 86, 104; reg. 37, cc. 11, 57, 81v, 114; reg. 38, cc. 103v, 111, 129, 130, 138v-139v, 147, 148, 148v, 150v, 151, 153; reg. 39, cc. 8, 8v, 12v, 13, 17v-20, 23, 24, 27v, 28v-29v, 31v, 36v, 60; reg. 40, c. 132v; Ibid., Collegio, Secreti, reg. 1354-1366, cc. 4, 5, 7, 117, 120, 126, 134, 140v; reg. 1363-1366, cc. 105v, 133v; Ibid., Collegio, Notatorio, reg. 1, cc. 37v, 42v; Ibid., Avog. di Comun. Raspe, reg. 3642, c. 41rv; Ibid., Cons. dei dieci, DeliberazioniMiste, reg. 5, c. 41; Ibid., Pacta, reg. 5, cc. 113, 116v, 168v, 177v, 179; Ibid., Commemoriali, reg. V, cc. 6v, 7, 13, 15, 24, 25; reg. VII, cc. 14, 61v, 101, 123, 145, Ibid., Misc. Atti diplomatici e privati, b. 15, n. 532; b. 16, n. 555; b. 19, nn. 638, 639, 639 bis; b. 23, n. 695; b. 24, n. 713; b. 32 bis, n. 723; Ibid., Sindicati, reg. I, cc. 53v, 54, 109, 109v, 114v, 128, 133v, 134, 136v, 146v; Ibid., Misc. Ducali e atti dipl., b. 13, fasc. A, n. 3; Ibid., Misc. Arti diversi manoscritti, b. 134/3; Ibid., Archivio proprio G. Contarini, b. 7. reg. "Vita Andreae Contarini ducis...", cc. 6v, 9, 14v, 19v, 20, 89, 116, 122, 124v; il testamento del C. è Ibid., Notarile, Testamenti, b. 381 (notaio Bongiovanni Brisari), n. 86; quello del padre NicolòIbid., Notarile, Testamenti. n. 729 (notaio Comasini Giovanni Cristiano), n. 99; quello della moglieSimona, Ibid., Notarile, Testamenti, b. 1255 (notaio Zane Pietro), protocollo, c. 88v: Ibid., Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista, reg. 4, c. 9; reg. 5, c. 10v; Ibid., Corporazioni religiose soppresse, S. Maria dei Frari, reg. 11: "Registro rendite", c. XIII (= 63v); Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. XI, 324 (= 7135): J. Morelli, Indice dei codici manoscritti di casa Contarini a S. Trovaso..., cc. 99, 100, 107 s., 112-114, 385-386; Ibid., Mss. It., cl. VII, 169 (= 8186): P. Gradenigo, Ambasciatori vencti, cc. 9 s., 34, 70, 72, 133v. 166-167, 259, 263, 264, 281, 296, 304, 305rv, 315v, 344; Ibid., Mis. It., cl. VII, 150 (= 8965): Discordia per.le decime dei morti con il vescovo et clero di Venetia, cc. 81 (= 212), 87, 88 (= 215, 215v); Ibid., Mss. It., cl. VII, 128a (= 8639): G. Caroldo, Cronaca, cc. 215, 219rv, 229rv, 231, 251v, 256v, 257, 294v, 306, 309, 321, 324v, 327, 329v, 331, 339, 341, 342, 344, 345, 377, 383, 386v, 394, 394v, 407, 415, 436v, 439, 441v, 442, 446v, 447, 448v, 449, 453v; Ibid., Mss. It., cl. VII, 519 (= 8438): N. Trevisan, Cronaca, cc. 112, 125v, 148v; Ibid., Mss. Lat., cl. VI, 86 (= 2593): Petrarchae Francisci De remediis utriusque fortunae, et de sui ipsius et aliorum ignorantia, cc. 224v, 225v; Ibid., Mss. Lat., cl. XIV, 257 (= 4050): Nicolai Barbi Patricii veneti oratio in laudem nobilissimi viri Francisci Contareni..., cc. 68-69v; il copiario dei dispacci inviati durante la missione del 1373 in Ungheria e nel Trevisano è Ibid., Mss. Lat., cl. X, 299 (= 3512): Registrum litterarum dominorum Zacharie Contareno... Registrum litterarum dominorum Nicolai Mauroceno, Zacharie Contareno ... ; Venezia, Bibl. del CivicoMuseo Correr. Cod. Cicogna, 3781: G. Priub, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, cc. 161v, 180v, 181 (con inesattezze); Ibid., Cod. Cicogna, 2326: M. Contarini, Della famiglia de cha' Contarini, cc. 105v-106v; M. Sanuto, Firae ducum Venstorum..., in L. A. Muratori. Rer. Ital. Script., XXIII, Mediolani 1733, coll. 620, 628, 640, 662, 666, 678, 687, 693, 701, 720, 721, 723, 743, 746, 747; G. B. Verci, Storia della marca Trivigiana e Veronese, t. XIII, Venezia 1789, docc. p. 48; t. XV, ibid. 1790, docc. pp. 74. 75, 105; t. XVI, ibid. 1790, docc. p. 9; Raphayni Caresini cancellarii Venetiarum Chronica.... in Rer. Ital. Script., 2 ed., XII, 2, a cura di E. Pastorello, pp. 38, 55, 59-61; I. Zeno, Vita Caroli Zeni, a cura di G. Zonta, ibid., XIX, 6, pp. 75-77; Monumenta Hungariae historica. Acta extera, III, Budapest 1876, pp. 167, 172, 174, 181, 185, 156, 197, 230, 231 s., 234 s., 244 s., 248-250, 268-272, 274, 278, 287 s., 290-292, 306, 314, 457; I libri cominemoriali della Repubblica di Venezia. Rogesti, a cura di R. Predelli, II, Venezia 1878, pp. 215-218, 220; III, Venezia 1883, pp. 7, 45, 75, 87, 99; G. M. Thomas, Diplomatarium Veneto-Levantinum, I, Venetiis 1880, pp. 342, 347; II, Venetiis 1899, pp. 85, 92; N. Jorga, Le testament de Philippe de Méziéres, in Bull. de l'Inst. Pour l'étude de l'Europo sud-orientale, VIII (1921), p. 133 (il testam. originale, ove il C. è ricordato con preziose donazione, è in Archivio di Stato di Venezia, Notarile. Testamenti. Notaro Raffaino da Caresinis, b. 483 n. 33); D. Di Chinazzo, Cronica de la guerra da Veniciani a Zenovesi, a cura di V. Lazzarini, Venezia 1958, pp. 66, 185, 208, 225; A. Lombardo, Le deliberazioni dei Consiglio dei XL della Repubblica di Venezia, II, Venezia 1958, pp. 19 s., 23, 29; F. Thiriet, Régestes des délibérations du Sénat de Venise concernant la Romanie, I, Paris-La Haye 1958, pp. 66, 77, 83; P. Giustinian, Venetiarum historia.... a cura di R. Cessi-F. Bennato, Venezia 1964, pp. 239, 248, 318; E. Santeschi, Régestes des arrits civili... des archives du Duc de Crite, Venise 1976, ad Ind.; F. Sansovino, Venetia città nobilissima..., Venetia 1581, p. 131v; B. Bonifacio, Elogia Contarena, Venetiis 1623, pp. 31-33; P. Morosini, Historia della città e Repubblica di Venetia..., Venetia 1637, pp. 323, 324, 352 s., 356; M. A. Sabelfico, Degliistorici delle cose veneziane..., I, Venezia 1718, pp. 327, 388, 431; G. Degli Agostini, Notizie istoricho-critiche intorno la vita e le opere degli scrittori veneziani, I, Venezia 1752, p. 5; M. Foscarini, Della letteratura veneziana..., I, Padova 1752, p. 58; [G. A. Gradenigo], Serie dei podestà di Chiaggia, Venezia 1767, p. 41; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana..., V, 1, Modena 1789, p. 191; E. Cicogna, Delle Inscriz. Veneziane III, Venezia 1830, pp. 364-365; VI, Venezia 1853, p. 102; G. Cappelletti, Le chiese d'Italia..., IX, Venezia 1853, pp. 218, 225; Lettere di F. Petrarca..., a cura di G. Fracassetti, II, Firenze 1864 (con App.: Intorno ai quattro giovani che si fecero giudici del Perrarca a Venezia), pp. 6264 (vi si respinge l'identificazione con il C.); B. Cecchetti. La Repubblica di Venezia e la corte di Roma..., Venezia 11874, p. 123; G. Valentinelli, Codici manoscritti d'opere di F. Petrarca... posseduti dalla Biblioteca Marciana di Venezia..., Venezia 1874, p. 68; A. Budinszky, Die Universitäd Paris und die Fremden an derselben im Mittelalter.... Berlin 1876. p. 206; G. Cesca. Le relazioni tra Trieste e Venezia sino al 1381, Padova 1881, pp. 67, 147; A. Gloria, Monum. dell'Università di Padova..., II, Padova 1888, pp. 127, 153; V. Lazzarini, Marino Faliero. La congiura, in Nuovo Archivio veneto, XIII (1897), pp. 43, 329; A. Segre, Di alcune relaz. tra la Repubblica di Venezia e la S. Sede ai tempi di Urbano V e di Gregorio XI (1367-1378), ibid., n. a., IX (1905), pp. 208, 211; F. C. Hodgson, Venice in the Thirteenth and Fourteenth Centurifs..., London 1910, pp. 521, 535; V. Bellemo, La vita ed i tempi di Benintendi de' Ravagnani, in Nuovo Archivio veneto, n. s., XXIII (1912), pp. 244, 252; XXIV (1913), p. 68; L. Lazzarlini, Paolo de Bernardo e i primordi dell'umanesimo in Venezia, Ginevra 1930, pp. 49, 139; G. Pirchan, Italien und Kaiser Karl IV..., Prag 1930, II, p. 71; R. Cessi, L'"officium de navigantibus" e i sistemi della politica commerciale veneziana nel secolo XIV, in Politica ed economia di Venezia nel Trecento. Saggi, Roma 1952, p. 51; R. Cessi, Le relazioni commerc. tra Venezia e le Fiandre, ibid., p. 159; P. O. Kristeller, Petrarch's "Averroists": a Note on the History of Aristotelianism in Vimice, Padua and Bologna, in Mélanges A. Renaudet, Genève 1952, pp. 61 a., 64; F. Thiriet, Una proposta di lega antiturca tra Venezia, Genova e Bisanzio nel 1363, in Arch. stor. ital., CXIII (1955), p. 327; T. Bertalè, Igioielli della Corona birantina dati in pegno alla Repubblica venera nel sec. XIV..., estr. da Studi in on. di A. Fanfani, II, Milano 1962, pp. 109 s., 114, 160, 166; L. Lazzarini, F. Petrarca e il primo umanesimo a Venezia, in Umanesimo europeo ed umanesimo veneziano, a cura di V. Branca, Firenze 1963, p. 90; S. Romanin, Storiadocum. di Venezia, III, Venezia 1973, pp. 120 s., 145 s., 176, 197 s., 204, 214. 222; L. Lazzarini, Il patriziato veneziano e la cultura umanistica dell'ultimo Trecento, in Archivio venero, CXI (1980), pp. 186; Arch. di Stato di Venezia, Dalla guerra di Chioggia alla pace di Torino. 1377-1381 (catal.), Venezia 1981, pp. 11, 41, 58, 77, 85.