ZACCARIA da Lunigiana
ZACCARIA da Lunigiana (Zaccaria da Bagnone, Zaccaria da Fivizzano). – Nacque da ser Francesco da Bagnone a Fivizzano, in Lunigiana, in data imprecisata. Nulla è noto riguardo alla madre.
Il 13 gennaio 1505 doveva essere ancora in giovane età, quando prese l’abito domenicano nel convento osservante di S. Marco a Firenze, mutando il proprio nome di battesimo (Giovanni) in Zaccaria. Il 16 gennaio dell’anno seguente fece la sua professione solenne. Zaccaria non conobbe dunque direttamente Girolamo Savonarola, ma la memoria del religioso ferrarese era ancora viva tanto tra le mura di S. Marco quanto tra vari conterranei e confratelli del frate lunense, come frate Stefano da Codiponte. Non disponiamo di notizie sulla sua formazione, salvo che nell’ottobre del 1513 fu inviato a Bologna per completare gli studi teologici. Dalle due opere a noi giunte si può dedurre comunque una buona formazione scolastica e omiletica.
Stando alle liste capitolari risulta residente presso il convento di S. Romano a Lucca nel 1509 e nel 1518, mentre la sua presenza a Firenze, a S. Marco, è attestata nell’ottobre del 1509, nel maggio e ottobre dell’anno seguente, nell’agosto del 1511, nel dicembre del 1512 e nel giugno del 1517.
Tra il 1515 e il 1517 si era intanto raccolto un ampio gruppo di pressione che intendeva rinnovare e sancire la condanna per eresia di Savonarola. La strategia del fronte antisavonaroliano prevedeva di associare il frate ad altri profeti radicali da questi più o meno direttamente influenzati come Pietro Bernardo, Francesco da Meleto e il monaco Teodoro. Preparavano la strada alla condanna, sul piano giuridico, un breve promulgato nell’aprile del 1515 da Leone X, il divieto della predicazione profetica da parte dell’XI sessione del Concilio Lateranense V (19 dicembre 1516) e l’esame delle dottrine del frate di cui era incaricato dal papa il sinodo fiorentino del 1516-17. In tale occasione, tra il finire del 1516 e il 1517, per difendere Savonarola dalle accuse presero la penna alcuni ferventi piagnoni: Luca Bettini, Lorenzo Macciagnini e, appunto, Zaccaria.
La prima opera di Zaccaria a noi nota, la Pulcherrima quaestio utrum frater Hieronymus Savonarola Ferrariensis sit haereticus (edita criticamente in Vasoli, 1996, pp. 73-100), è tradita da tre codici: Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2053; Firenze, Biblioteca nazionale, Conv. Soppr., J.I.46; Lucca, Biblioteca statale, 2566. Nel codice lucchese (posteriore al 1530) al primo articolo ne segue un secondo, volto a confutare l’accusa di scisma.
Partendo dalla definizione teologica e canonistica di eresia, la quaestio propone una risposta puntuale alle accuse formulate contro Savonarola, appoggiandosi alle autorità di s. Tommaso d’Aquino, di Antonino Pierozzi e del cardinale Caetano (Tommaso De Vio), nonché su un’ampia conoscenza del diritto canonico. Secondo Zaccaria eretiche non possono definirsi né la dottrina di Savonarola, che non contraddice in alcun modo i sacramenti, la Sacra Scrittura e i buoni costumi, né le sue profezie sul flagello che minacciava l’Italia, la riforma della Chiesa, la prossima conversione degli infedeli e il ruolo escatologico di Firenze come città eletta. Se anche nella dottrina e nelle profezie del frate vi era qualche errore, oltre tutto, lo stesso Savonarola aveva dichiarato di sottoporsi all’obbedienza e correzione della Chiesa. Richiamare questo punto serve all’apologeta per rispondere alle tre principali obiezioni degli avversari di Savonarola, che sottolineavano il suo rifiuto di obbedire alla scomunica infertagli da Alessandro VI, le dure invettive contro la Chiesa di Roma e l’appello ai sovrani cristiani perché promuovessero un concilio che avrebbe dovuto dichiarare indegno e deporre il papa. Attraverso una serie di argomentazioni sottili e a tratti spregiudicate (laddove per esempio è citato un giudizio negativo dello stesso Leone X nei confronti di Alessandro VI), Zaccaria scagiona Savonarola anche da queste accuse, richiamando la necessità di obbedire a Dio prima che agli uomini, la durezza tipica del linguaggio profetico e la distinzione tra un concilio ‘perfetto’ in assoluto (perché realizzato con il consenso del papa) e uno ‘perfetto’ solo secondo le condizioni presenti della Chiesa (che potevano prevedere anche un papa corrotto e indegno del suo ufficio).
La levata di scudi filosavonaroliana raggiunse il proprio obiettivo e la condanna fu scongiurata. Negli anni seguenti Zaccaria continuò a muoversi tra i conventi toscani: nel maggio e nel settembre del 1522 era a S. Domenico di Fiesole, nel 1524 di nuovo a Firenze, dove sul finire di luglio fece parte – insieme al vicario arcivescovile Giovanni de Statis, all’agostiniano Jacopo da Montefalco e al confratello Cosimo Tornabuoni – della commissione giudicatrice degli aretini Donato di Angelo Sandri e Angelo del Gallo, accusati di eresia luterana. L’anno seguente, sempre a Firenze, comparve tra i testimoni del testamento di Pierfrancesco di Lorenzo de’ Medici (rogato dal notaio piagnone ser Lorenzo Violi il 28 agosto).
Nel 1526 fu eletto priore del convento di S. Spirito a Siena, dove nel 1528, di ritorno dal capitolo provinciale, l’opposizione di alcuni confratelli gli impedì di rientrare. L’incidente fu presto risolto, ma Zaccaria fu trasferito presso il convento della Ss. Annunziata (o di S. Domenico) a San Gimignano, dove fu eletto priore nel 1528, prima di spostarsi nuovamente a Lucca. Qui, in quello stesso anno, fu eletto priore di S. Romano.
Di lì a poco fu chiamato a Firenze, dove con prediche e processioni solenni, insieme al confratello Benedetto da Foiano, fu tra i principali animatori della resistenza repubblicana contro le truppe spagnole e imperiali che, giunte in aiuto di Clemente VII, assediavano la città.
Nel settembre del 1529 il priore di S. Marco Niccolò Michelozzi, intimidito da Giovanni Baldi de’ Tebaldi, vietò a Zaccaria di continuare a predicare. Per intervento diretto della Signoria il divieto fu ritirato e Baldi de’ Tebaldi condannato in contumacia all’esilio.
Una prospettiva critica, seppur diversa, sulle concrete conseguenze di tale predicazione fu espressa comunque anche in seguito da chi, come Donato Giannotti o Benedetto Varchi, sottolineò che la certezza nella vittoria finale, tanto più salda quanto più drammatica diventava man mano la situazione fiorentina, aveva fatto sì che il governo e i cittadini trascurassero scelte pratiche importanti.
Della predicazione fiorentina di Zaccaria sopravvive il testo di un solo sermone, tenuto in S. Reparata il 10 gennaio 1530, raccolto «da uno amico» e stampato di lì a breve in un’edizione oggi rarissima.
Dopo un incipit ricco di distinzioni e che tradisce l’abitudine del frate all’insegnamento scolastico, la predica si concentra sulla questione «se la città di Firenze ha andar male in questi pericoli, o no» (Predica..., a cura di C. Gargiolli, in Il Propugnatore, XII (1879), pp. 417-443, in partic. p. 427). Alle ragioni dei sapienti del mondo e dei ‘paurosi’ – ovvero i profeti apocalittici che minacciano la città – il predicatore oppone quelle dei ‘semplici’, fedeli alla vera profezia di Savonarola (fondata sulla Sacra Scrittura, la dottrina dei santi e l’ordine della provvidenza divina): Dio non avrebbe mai abbandonato Firenze e i suoi giusti. La città aveva ancora forze sufficienti e avrebbe potuto resistere, confidando in Dio e liberandosi dal peccato. Le grandi tribolazioni erano segno del resto della prossimità della renovatio: una renovatio anzitutto spirituale e morale, ma anche sociale e politica, che si sarebbe poi propagata all’intera cristianità.
Il frate propone quindi tre conclusioni: che Firenze «in tutto non andrà male [...], benché [...] Dio la triterà forte per la sua ingratitudine e incredulità» (ibid., p. 436); che i cattivi saranno puniti; che i buoni saranno salvati. Chiude infine la predica un invito alla riforma, a togliere il vizio – «maxime le biasteme, li giuochi, le sodomie, le oppressioni dei poveri, le usure et simili che corrompono la città» (p. 440) – e a convertirsi alla ‘semplicità’ evangelica.
La Repubblica fiorentina, in seguito alla sconfitta di Gavinana, capitolò. A differenza di Benedetto da Foiano, che fu imprigionato e finì i suoi giorni nelle carceri di Castel Sant’Angelo a Roma, Zaccaria riuscì a fuggire travestito da contadino e, passando da Ferrara, si trasferì nel convento veneziano dei Ss. Giovanni e Paolo (S. Zanipolo).
A Venezia, dall’agosto del 1532, fu incaricato dalla Signoria di leggere e commentare la Sacra Scrittura nella chiesa di S. Salvatore e in altre (a discrezione del Consiglio), con salario di 50 ducati l’anno e con grande «satisfatione de li auditori» (M. Sanuto, I diarii, 1496-1533, a cura di R. Fulin et al., LVI, 1901, col. 847). Dal giugno del 1533, l’ufficio fu esteso anche alla chiesa di S. Zanipolo.
In quegli anni i suoi sermoni sulle epistole paoline, esposte in volgare, destarono la preoccupazione del nunzio papale Girolamo Aleandro, che ne riferiva allarmato al segretario di Clemente VII Jacopo Salviati («la dottrina sacra non è subietto da mettere in mani dil vulgo et di persone idiote, massime sappiando che la heresia lutherana è pullulata e cresciuta in Alemagna solo per questa via»: Nunziature di Venezia, a cura di F. Gaeta, I, 1958, p. 104). Le invettive anticuriali e antimedicee del domenicano, apprezzate dalla Signoria veneziana, erano comunque temperate dai violenti attacchi, suggeritigli proprio da Aleandro, all’‘eresia luterana’.
Nel 1534, con l’autorizzazione del Senato, Zaccaria trasformò in cenobio domenicano l’antico monastero benedettino femminile dell’isola di S. Secondo. Nel dicembre dello stesso anno il generale dell’Ordine Jean de Feyner lo nominò vicario della nuova fondazione, che cominciò presto ad attrarre giovani patrizi, interessati all’iniziativa riformatrice. S. Secondo attirò anche le invidie di un ignoto prete, che nel 1539 vi appiccò un incendio. Grazie alle generose elemosine ricevute, fu possibile tuttavia restaurare l’edificio. Zaccaria da Lunigiana fu sostituito da frate Bartolomeo Spina da Pisa, come vicario di S. Secondo, nel 1540.
Morì probabilmente nel 1540 nel convento di Pesaro, di ritorno a Venezia dopo essersi recato in visita da Paolo III, a Roma o a Perugia.
Opere. Predica fatta la domenica fra l’octava della Epiphania dal reverendo P. fra Zacheria da Lunigiana frate di San Marcho in sancta Reparata racholta da uno amico, s.l. né d., ma stampata probabilmente nel 1530 (restano due soli esemplari, entrambi conservati a Roma, presso la Biblioteca Casanatense e la Biblioteca nazionale; sulla stampa cinquecentesca si fonda l’edizione a cura di C. Gargiolli); Pulcherrima quaestio utrum frater Hieronymus Savonarola Ferrariensis eiusdem Ordinis sit haereticus, in Vasoli, 1996, pp. 73-100.
Tuttora irreperibili risultano alcune operette scolastiche di Zaccaria, come il Compendium philosophiae divinae e le 100 quaestiunculae ad Metaphysicam pertinentes. Degna di nota è inoltre l’ipotesi, avanzata da Cesare Vasoli, che egli avesse promosso, negli anni Trenta del Cinquecento, le stampe veneziane delle prediche di Savonarola, basate sugli schemi latini predisposti dal frate che Stefano da Codiponte, confratello e conterraneo di Zaccaria, aveva forse portato con sé nel convento lucchese di S. Romano (in cui Zaccaria risiedette a più riprese). Degli interessi editoriali del domenicano testimonia del resto il fatto che già in data 22 settembre 1525 i frati Zanobi Pieri, priore di S. Marco, e Mariano Ughi erano stati incaricati di esaminare il Compendium philosophiae di Savonarola perché Zaccaria lo potesse pubblicare insieme al proprio Compendium philosophiae divinae, ma senza prefazioni o riferimenti elogiativi nei confronti di Savonarola.
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