ZACCARIA di Martino
ZACCARIA di Martino. – Nacque forse a Bologna poco dopo il 1207. Il padre Martino, originario della massa ove alla fine del secolo XII il Comune di Bologna fece sorgere Castel San Pietro, svolgeva l’attività di tabernarius, consona a una città che ospitava tanti studenti; ebbe almeno tre figli (della cui madre si ignora il nome): Beltramino, Pasqualino e Zaccaria.
Zaccaria fu avviato alla professione di notaio alla scuola del docente più rinomato, Ranieri da Perugia, del quale dovette riscuotere l’apprezzamento: fu infatti tra quelli di cui Ranieri redasse il privilegio di notariato, concessogli dal conte di Panico. La successiva verifica della preparazione professionale da parte dei giudici del podestà consentì nel 1232 l’iscrizione di Çacharias filius Martini tabernarii nel Liber notariorum del Comune. Fu così abilitato a esercitare in città e nel distretto, e integrato nella società dei notai.
Zaccaria risiedeva con i fratelli nel quartiere di Porta Stiera, in cappella di S. Prospero, contigua alla scuola di Ranieri. Ebbe diversi figli. Sono attestati Giovanni e Martino, nati tra il 1238 e il 1240 (che seguirono il padre nella professione e furono nominati notai rispettivamente nel 1263 e nel 1265), quindi Pietro, Parlantino e altri due più giovani. Ignoto è il nome della loro madre.
Della sua attività di notaio restano documenti negli archivi di alcuni conventi a partire dal 1250. Rivelano l’adesione al modulo di Ranieri: aperti dal signum notarii, seguito da invocazione, data, luogo, testimoni e, al termine, la sottoscrizione, simile anche graficamente a quella di Ranieri. Ai dati identificativi riportati nel Liber notariorum Zaccaria aggiunse la provenienza del padre: de massa Sancti Petri. Il testo si segnala per l’espressione sempre nitida e accurata e per una particolare attenzione alle clausole di garanzia. Le testimonianze della sua attività di notaio si intensificano dopo il 1265 con la registrazione degli atti nell’ufficio dei Memoriali: sono tutti atti per privati e in alcuni agisce il giurista Guglielmo Rombodevino.
Scarsi furono gli impegni pubblici di Zaccaria. Resta traccia della sua presenza in una commissione numericamente piuttosto ampia, creata nel 1259 dalle società popolari per decidere gli interventi atti a favorire l’approvvigionamento della città. Intensa e continua fu invece l’attività di docente, che nello stesso 1259 gli consentì di presentare all’esame di notariato due gruppi di allievi. Il Liber notariorum lo qualifica magister e artis notarie doctor; ma la sua scuola, rispetto a quelle di Salatiele e di Rolandino de’ Passeggeri, mostra un seguito piuttosto limitato.
All’inizio del 1265 fu incaricato di riprendere e completare la copia autentica del Liber notariorum tenuta dalla società dei notai. L’esecuzione di Zaccaria, attenta ai dati di identificazione di coloro che avevano titolo di notaio, rivela l’esigenza di verificare la professionalità dei soci e si inquadra nella ricerca, allora in atto, di un nuovo equilibrio nel rapporto della società con il Comune.
L’ente pubblico tendeva, da un lato, a ridurre l’intervento dei consoli della società nell’esame degli aspiranti al notariato e, dall’altro, coinvolgeva gli stessi consoli nelle procedure di controllo delle liste dei banditi; il tutto nel contesto della progressiva secessione dei giudici dalla società e dell’istituzione dell’ufficio dei Memoriali, che creava un pesante strumento di controllo dell’attività dei notai.
In questo frangente Zaccaria fu eletto al vertice della società: fu console nel gennaio del 1266 e per un semestre presiedette con i sette colleghi agli esami di notariato. Proseguì intanto l’attività di docente, affiancata dalla elaborazione di un proprio testo di ars notariae e seguitò anche l’attività notarile, attestata fino al 1273.
Il 12 gennaio 1274 il suo nome apriva l’elenco di centocinquantasei notai cancellati dalla matricola della società dei notai per ordine del capitano del Popolo. Si trattava di quindici giudici, tra cui lo stesso Zaccaria, che peraltro non aveva mai esibito tale titolo, e di altri venti cancellati perché nobili; inoltre una quarantina vennero estromessi perché colpevoli di reati infamanti (tra essi Martino, il figlio di Zaccaria) e i rimanenti perché abitanti nel contado.
La società ne usciva più coesa, in sintonia con l’azione promossa da Rolandino per indurre le società popolari a sostenere la fazione guelfa geremea, impegnata in scontri sempre più accesi con la avversa fazione lambertazza. E fu guerra civile, conclusa ai primi di giugno quando i Lambertazzi, soverchiati militarmente, abbandonarono in massa la città; i loro fautori rimasti furono censiti e assoggettati a una colletta a sostegno dell’azione dei vincitori.
Nella lista della cappella di S. Prospero redatta nel luglio del 1274 compaiono i nomi di Zaccaria e del figlio Martino, poi cancellato: bandito per infamia, si era già allontanato. Nell’agosto del 1274 furono emesse le sentenze di bando dei Lambertazzi fuggiti e stilate le prime liste di quelli rimasti; a dicembre fu completato (a opera di una commissione delle società popolari ispirata da Rolandino) anche un elenco di sospetti loro fautori. Questa capillare schedatura dei Lambertazzi, veri e presunti, consentì nella primavera del 1275 l’adozione di provvedimenti punitivi, graduati sulla loro stimata pericolosità: dal bando a quattro condizioni di confino.
Mentre i due fratelli di Zaccaria (Beltramino e Pasqualino) e i loro figli furono dapprima inseriti tra i sospetti e poi cancellati e riabilitati, tre figli di Zaccaria, Martino, Pietro e Parlantino, furono banditi e Zaccaria stesso con altri due figli, di poco più di quattordici anni, furono obbligati al confino di seconda condizione (fuori dal contado, ad almeno 10 miglia dalla città). Ma agli inizi del 1281 un controllo verificò che Zaccaria e i figli si erano allontanati dal luogo di confino; convocati a discolparsi non si presentarono. I figli, forse per l’età, sembra abbiano evitato conseguenze, ma Zaccaria fu bandito e i suoi beni confiscati: una sentenza particolarmente severa, poiché la sua età, almeno settanta anni, rendeva solitamente inapplicabile tale pena.
Le successive liste dei Lambertazzi non recano nuove tracce della vicenda di Zaccaria, né registrano (come avvenne per l’altro maestro di ars notariae, Salatiele, parimenti schedato come lambertazzo e confinato) la notizia della sua morte, che avvenne verosimilmente nel 1283 o poco prima. In quell’anno infatti il notaio Cavaçochus de Albergatis, autorizzato dal podestà, pubblicava due documenti, traendoli dai registri di imbreviature di Zaccaria, che all’epoca era dunque presumibilmente scomparso.
Costretto ad abbandonare la città all’inizio del 1275, sembra dunque che Zaccaria vi lasciasse i registri di imbreviature, ma dovette recare con sé l’opera cui per anni aveva lavorato, una Summa artis notarie.
L’opera, giunta a noi in un codice della Biblioteca nazionale di Parigi (Lat. 4595), ne è una copia, eseguita forse a Urbino intorno al 1281. Il luogo e la data sono nella formula del primo documento, ma sono un’eccezione. Gli altri luoghi citati nella Summa si trovano infatti all’interno della città di Bologna e del suo distretto; così i nomi dei titolari di cariche, presenti per lo più negli anni 1260-65.
L’edizione integrale del codice (Summa, a cura di R. Ferrara, 1993) consente ora di valutare correttamente la figura e l’opera di Zaccaria nel quadro della scuola di ars notariae attiva nello Studio di Bologna nella seconda metà del secolo XIII. La Summa è un’opera sostanzialmente nuova, ma con due modelli chiaramente ammessi, anzi rivendicati. Riprende, quasi alla lettera, il proemio della Summa Codicis di Azzone. Ne conserva la coscienza del valore dell’opera scritta, pur nel rispetto di coloro che prima di lui avevano insegnato, come il magister Rainerius Perusinus, da poco scomparso, al quale (doctor meus) Zaccaria si sente sempre legato. Ricorda anche due maestri, allora ben attivi, Salatiele e Rolandino, alludendo, con estrema misura peraltro, ai difetti delle rispettive opere, cui la sua intendeva ovviare.
Zaccaria articolò l’opera sulla struttura dell’Ars notariae di Ranieri: una premessa teorica e tre parti dedicate ai contratti, al giudizio e alle disposizioni di ultima volontà. Trasse lo schema della premessa da quella di Ranieri, con riprese fin letterali di testo e glosse, ma ne ampliò il commento con un massiccio rinvio al Corpus iuris. Segue la prima pars, dedicata ai contratti: la sola presente nel codice, con una piccola lacuna finale. Resta quindi il dubbio dell’esistenza di un secondo codice contenente le altre due parti citate in premessa; lo fa supporre il rinvio a un preciso capitolo di una di esse nel testo pervenuto (ibid., p. 269). Anche l’impostazione della parte dedicata ai contratti è ripresa dalla prima parte dell’Ars notariae di Ranieri. Apre con lo schema dei negozi giuridici, suddiviso in cinquantaquattro titoli e illustrati in altrettanti capitoli. Il numero dei titoli è maggiore del modello di Ranieri (trentuno titoli) poiché Zaccaria trattò singolarmente negozi unificati da Ranieri con semplificazioni a volte eccessive.
Recepita, adattandola, la struttura dell’opera dal modello di Ranieri, la successiva elaborazione se ne distacca decisamente. Ranieri aveva esposto nei capitoli le formule dei singoli contratti e le aveva commentate nelle glosse. Zaccaria usa testo e glosse, secondo il modello della Summa Codicis di Azzone: un testo che è alla base della elaborazione compiuta da Zaccaria. Ogni capitolo è svolto come l’argomento di un trattato, ricco di rinvii al Corpus iuris e di parafrasi, definizioni, etimologie, tratte da fonti non solo giuridiche. L’impressione è che Zaccaria «abbia tentato di rendere in tutta l’eterogenea ricchezza del suo contenuto la lectura del maestro nella scuola: consigli pratici e nozioni di grammatica si trovano uniti a casus, distinctiones, notabilia, in una sorta di vastissima, enciclopedica raccolta di nozioni pertinenti l’ars notarie» (Ferrara, 1974-1975, p. 246).
Nella scuola di ars notariae l’opera di Zaccaria «doveva apparire una reale novità, per alcuni aspetti forse eccessiva, se non altro sul piano editoriale [...] Il modello proposto da Zaccaria, ultima Summa bolognese elaborata da un solo maestro, rimase un esperimento isolato, senza seguito, ma non per questo fuori dal suo tempo. Lo svolgimento in forma di tractatus anticipava infatti, senza averla necessariamente orientata, la forma stessa dell’Aurora di Rolandino e più ancora le successive lecture di Pietro Boattieri e Pietro d’Anzola, sviluppate con tecniche analoghe sulla base della preesistente e immodificabile Summa di Rolandino» (Summa, cit., pp. XVI s.).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Bologna, Comune, Curia del podestà, Disco dell’Orso, b. 11, fasc. 4, c. 3; Capitano del popolo, Giudice ai banditi e ribelli, Elenchi di banditi e confinati, vol. 3, reg. 1, cc. 1, 1v, 11, 57v; reg. 2, c. 54v; vol. 4, cc. 14, 18, 88, 92; b. 10, reg. 2, c. 31; reg. 3, c. 6; reg. 13, c. 1; reg. 14, c. 1v; Ufficio dei Memoriali, vol. 1, cc. 35, 37, 103, 123, 131v; vol. 23, c. 4; vol. 24, c. 90; S. Agnese, b. 3/5593, nn. 143, 144; S. Giovanni Battista dei Celestini, b. 4/4488, n. 8; S. Mattia, b. 6/5767, n. 2; Chartularium Studii Bononiensis, V, a cura di G. Zaccagnini, Bologna 1923, p. 194; XV, a cura di R. Ferrara - G. Tamba - M. Zaghini, 1988, pp. 16, 79, 117; Zaccaria di Martino, Summa artis notarie, a cura di R. Ferrara, Bologna 1993.
R. Ferrara, La Summa di maestro Z., in Atti dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, cl. di Scienze morali, LXIII (1974-1975), pp. 189-255; Liber sive matricula notariorum comunis Bononie (1219-1299), a cura di R. Ferrara - V. Valentini, Roma 1980 (in partic. pp. 61, 223, 240, 246-250, 507, 510; R. Ferrara, Introduzione, cit., pp. XXXVI-LV, in partic. pp. XLIV-XLIX); Commissioni notarili. Registro (1233-1289), a cura di G. Tamba, in Studio bolognese e formazione del notariato, Milano 1992, pp. 348, 350; I. Birocchi, Z. di Martino, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), a cura di I. Birocchi et al., II, Bologna 2013, Ipp. 2074 s.