Ferreri, Zaccaria
Scrittore (Vicenza 1479 - Roma 1524). Prima benedettino, poi certosino, partecipò attivamente al concilio di Pisa nel 1511, incorrendo nella scomunica. Ingraziatosi il nuovo papa, Leone X, il F., liberato ovviamente dal peso della scomunica, fu nunzio in Russia, Prussia, Polonia.
La sua personalità di letterato, già studiata dal Tiraboschi, fu oggetto di accurata indagine da parte del Morsolin, che sottolineò la presenza nell'opera del F. d'influssi danteschi. Lo studio di D. appare evidente soprattutto nel Lugdunense somnium o più semplicemente Somnium (1513), poemetto in 1030 esametri latini composto a Lione e dedicato al cardinal Soderini. In esso il F. immagina di essere rapito in sogno nel cielo tolemaico e di essere guidato da D. in persona, ormai in veste di venerando vecchio, a visitare i diversi cieli, da cui guarda alle inquiete vicende contemporanee.
Nella scelta di D. come guida e modello si mescolano adulazione - per aver messo in primo piano la maggior gloria poetica di Firenze in un'opera dedicata al cardinal Soderini e in cui si fanno le lodi di Leone X - e l'ideologia, in quanto attraverso le parole dell'Alighieri il F. può avanzare le sue richieste di riforma interna della Chiesa e giustificare in questo senso la sua attività a Pisa. Naturalmente il F. si preoccupa di smussare le punte della teoria politica dantesca, facendo dire a D., ad esempio, di aver dovuto soffrire una pena prima di entrare nell'Empireo, perché aveva sbagliato " Monarcheam dicens fore Caesaris unam, et Terrenum imperium nil dependere latino a Patre, qui toto Christi vice praesidet orbi ".
D., insomma, è nell'opera del F. un'occasione ideologica più che stilistica: ne è la riprova la materialità stessa della ripresa latina di alcune espressioni dantesche. Le interrogazioni dantesche del tipo dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra (Pg VII 21), o dimmi se son dannati, e in qual vico (XXII 99) sono rese nel Somnium con " De quibus es superis et qua statione potiris "; larghe espressioni colloquiali come Ma dimmi, e come amico mi perdona / se troppa sicurtà m'allarga il freno (Pg XXII 19-20) si restringono in " Parce precor, si te fidentius alloquar ".
Bibl. - B. Morsolin, Un latinista del Cinquecento imitatore di D., in " Atti R. Ist. Veneto Scienze Lettere Arti " V (1893-94) 1429-1446.