TREVISAN, Zaccaria
senior. – Nacque a Venezia nel 1370 da Giovanni Trevisan.
La famiglia, originaria di Aquileia, era emigrata dapprima a Treviso e di lì a Venezia, dove venne innalzata al rango del patriziato per l’aiuto apportato in campo militare alla Repubblica dal nonno di Zaccaria, Paolo, abitante in S. Stae. Nel corso della guerra di Chioggia (1378-81) Paolo ebbe a offrire «alla Signoria ducati 400 per la paga di un mese di 50 ballestrieri a ducati 8 e inoltre si esibiva di pagare per un altro mese 150 uomini da imprestidi fino a guerra finita offrendo anche le proprie persone» (Gothein, 1942, p. 8).
Zaccaria si laureò a Bologna in diritto canonico e civile, distinguendosi assai presto per notevoli doti caratteriali, cultura e carisma; presso la stessa Università divenne professore di diritto canonico prima del 1394, anno in cui Pellegrino Zambeccari, cancelliere della città di Bologna, a nome dei rettori dell’Ateneo lo raccomandò caldamente a papa Bonifacio IX con una lettera in cui, indicandolo come «provectum in iure canonico, in quo defixa sunt omnia genera meritorum et cuncta pollent ornamenta virtutum» (Zambeccari, 1929, ep. CXXXVI), lo propose candidato per la successione di Giovanni Sobieslaw di Moravia (1352-94) al patriarcato di Aquileia. Il pontefice tuttavia ebbe a preferirgli Antonio Gaetani, arcidiacono anch’egli di Bologna.
Nel 1394 sposò Caterina, figlia di Giovanni Marcello, appartenente a una delle famiglie più nobili in Venezia. Da lei ebbe cinque figli: Giovanni, Daniele, Andrea, Elisabetta e Zaccaria (v. la voce in questo Dizionario), nato pochi mesi dopo la scomparsa del padre e come lui in seguito uomo di governo della Repubblica.
Terminato l’insegnamento a Bologna nel 1397 intraprese la carriera amministrativa trasferendosi a Firenze, dove esercitò le funzioni di podestà sino al 1398: ebbe pertanto modo di stringere amicizia con Leonardo Bruni e Coluccio Salutati, allora cancelliere della Repubblica fiorentina. Apprezzato per la competenza e l’equilibrio con cui rivestì l’ufficio a Firenze, si trasferì a Roma su richiesta di Bonifacio IX, che da poco vi aveva ristabilito la S. Sede, per assumere la carica di senatore il 1° luglio 1399. Anche in tale veste diede prova di capacità e coraggio, sventando una congiura ai danni del pontefice ordita l’anno seguente da Niccolò Colonna di Palestrina, dirigendo in prima persona la difesa armata di Roma e del pontefice. Costui per riconoscenza ebbe ad assegnargli in data 1° febbraio 1400 la corresponsione di 500 fiorini d’oro da aggiungersi alla sua ordinaria retribuzione, denari che avrebbe dovuto elargirgli il marchese d’Este in qualità di tributario nei confronti del papa per l’investitura di Ferrara.
Compì un’ultima ambasceria presso la Repubblica fiorentina il 7 maggio 1400 su incarico di Bonifacio IX e nel medesimo anno passò al servizio del governo veneziano che lo inviò nelle vesti d’ambasciatore a Ferrara. Qui il marchese Niccolò III d’Este subiva il ricatto da parte di Astorgio de’ Manfredi, il quale dal 1395 teneva prigioniero suo zio Azzo IX, che gli aveva contestato il diritto di successione al trono. Nell’autunno del 1400 Niccolò III fece sequestrare Gian Galeazzo, il giovane figlio di Astorgio, e Trevisan dovette svolgere un ruolo non secondario nel dirimere la contesa. Alla fine Azzo IX fu consegnato a Venezia, che provvide a confinarlo nell’isola di Candia a spese di Niccolò III e Gian Galeazzo fu liberato.
Nel 1402, con Giovanni Mocenigo e il procuratore di S. Marco Lodovico Loredano, Trevisan negoziò per Venezia l’acquisto dell’isola di Corfù, ceduta il 16 agosto di quell’anno da Ladislao re di Napoli. Nel 1403 fu dapprima a Genova per trattare a nome del governo la questione dei gravi danni che alcuni mercanti veneziani avevano riportato l’anno precedente a Cipro e Rodi per effetto degli assalti di due galere genovesi; poi a Candia come capitano sino al dicembre del 1404, dopo aver ricevuto il titolo di cavaliere. Conclusasi nel frattempo la guerra di Padova con la sconfitta dei Carraresi e il completo controllo del Veneto da parte della Serenissima, nel novembre del 1405 venne fatto rientrare da Candia per assumere la carica di proveditor in campo e, dopo la vittoria, quella di primo capitano nella città sino al 1407. Nello stesso anno si recò ancora per conto del governo presso Niccolò III d’Este a esigere il pagamento dei prestiti a lui concessi da Venezia, ma soprattutto fu chiamato a svolgere il suo incarico più prestigioso nel mese di dicembre.
Con Marino Caravello fu designato per un’ambasceria volta a ricomporre lo scisma che turbava la Chiesa dal 1378 e vedeva allora contrapposto Gregorio XII all’antipapa Benedetto XIII. Dinanzi al primo, al Collegio cardinalizio e ai diplomatici inviati da diversi signori, il 31 dicembre a Foiano, nei pressi di Firenze, Trevisan ebbe a pronunciare un’orazione che riscosse l’ammirazione generale per contenuto e finezza d’eloquio, tramandata in diversi testimoni manoscritti. Il 17 gennaio 1408 incontrò Benedetto XII rivolgendo anche a quello un discorso in cui si chiedeva come al suo antagonista di rinunciare alla carica pontificia. Rimanendo entrambi i papi su posizioni di ostinata intransigenza in giugno Trevisan venne richiamato a Venezia, per essere inviato a ricoprire per un anno la carica di capitano in Verona. Nel novembre del 1409 fu nominato conte di Zara, in seguito alla cessione di quella città alla Repubblica da parte di Ladislao re di Napoli; passato a reggere Sebenico nel 1412, l’anno successivo fece ritorno come capitano a Padova.
Figura carismatica anche sul piano umanistico, fu in corrispondenza con Pietro Paolo Vergerio e strinse rapporti di amicizia con Coluccio Salutati, Leonardo Bruni e in particolare con il più giovane Francesco Barbaro, da lui citato nel testamento «tamquam filius et equalis filiis suis» e nella redazione in volgare: «mio verissimo amigho el quale ho amado come fiuolo» (Archivio di Stato di Venezia, Testamenti, b. 1255, Atti Pietro Zane, c. 195v). Rimasto Barbaro assai precocemente orfano di padre Trevisan ne aveva curato la formazione, e insieme a Guarino dovette ispirare la composizione del De re uxoria, come si evince da diversi luoghi dell’opera dove viene nominato con riverenza. Informazioni sulla vita e altre testimonianze dell’affetto, dell’ammirazione e della gratitudine nutrite da Barbaro per Trevisan si rinvengono nell’epistola proemiale alla raccolta canonica delle sue lettere, in varie postille sparse in codici greci e latini delle biblioteche sua o di Guarino, sui quali Barbaro ebbe a studiare, e in particolare nelle lettere tramite le quali, per conto di due parenti di Trevisan, Barbaro ne annunciò la morte ai cardinali Antoine de Challant e Francesco Zabarella (edite in Gothein, 1937).
Morì a Padova nei primi mesi del 1414: il suo testamento dettato l’8 gennaio venne pubblicato il 21 maggio.
Testimonianza eloquente delle doti umane, della sua capacità di governare con fermezza e moderazione, dell’amore e della sensibilità nutrite da Trevisan per le lettere greche sono l’orazione In laudes Zachariae Trivisani, composta da Marco Donato nel 1442 (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. lat., XI.59 (= 4152), e in particolare la lettera del 1415 a Lorenzo Monaci in cui Barbaro, rispecchiando fedelmente il pensiero del suo vecchio amico, discorre dello «strictissimum, ac necessarium quoddam vinculum» (Barbaro, 1991, pp. 3-18), che lega in posizione di dipendenza le lettere latine a quelle greche. Insieme a quella di Guarino la prospettiva culturale e ideologica di Trevisan ebbe a influire sulla formazione di Barbaro e più in generale sulla nascita e sulla diffusione tra gli umanisti di quel pensiero di matrice ciceroniana che individuava nella storia il principale strumento etico e politico per interpretare e affrontare la realtà del presente.
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