ZACCHI, Zaccaria (da Volterra). – Nacque ad Arezzo il 6 maggio 1473, da Giovanni e da Ginevra Aldobrandini. La data di nascita si ricava – come molte altre informazioni non altrimenti documentate – dalla biografia dell’artista contenuta nell’anonima Genealogia familiae Zacchiorum (XVI sec., Archivio di Stato di Firenze, Carte strozziane, s. I, 113, cc. 79v-80v; se ne veda la trascrizione in Bacchi, 1995, p. 289, nota 5)
A seguito del rientro del padre dall’esilio all’inizio degli anni Ottanta, la prima formazione del futuro scultore si svolse verosimilmente a Volterra a partire dal nono decennio del secolo. L’attestazione più antica risale al 1498, quando Zacchi fu retribuito dal monastero di S. Marco per aver dipinto un cataletto (Maffei, 1905; La Porta, 1998, p. 125, nota 15). Il successivo punto fermo nella carriera è rappresentato dal Compianto della chiesa di S. Francesco, completato nei primi mesi del 1504 (lo si apprende da un documento del 1506 di cui si dirà più avanti). A monte e a valle di questa data si collocano le opere in terracotta che gli studi hanno attribuito a Zacchi sulla scorta delle affidabili indicazioni topografiche relative alla sua prima attività contenute nella biografia strozziana. La data più alta è stata unanimemente assegnata all’Annunciazione di Libbiano (frazione di Pomarance, chiesa dei Ss. Simone e Giuda; ibid., pp. 117 s.), che dipende inequivocabilmente dalla pala di medesimo soggetto dipinta da Luca Signorelli nel 1491 per l’oratorio della confraternita della Vergine Maria nel duomo di Volterra. A un momento precoce della carriera sembra riconducibile anche il Presepio di Pomarance (chiesa di S. Giovanni Battista, battistero; Carli, 1978; Lucidi, 2012, p. 136). Significative analogie con i panneggi dell’Annunciazione si riconoscono nella più tarda Madonna col Bambino di Massa Marittima (chiesa di S. Agostino; La Porta, 1998, pp. 118 s.): qui il volto della Vergine testimonia un’evoluzione fisionomica che giunge a piena maturazione nel Compianto di S. Francesco a Volterra (ibid., p. 118), mentre la posa del Bambino dimostra l’avvenuto contatto con i prototipi diffusi dalla scuola di Andrea Verrocchio. Quest’ultimi si riconoscono anche nel Cristo in pietà della Pinacoteca di Volterra (dalla facciata del Monte di Pietà; Lessi, 1989), tipologicamente prossimo a quello modellato per la chiesa di S. Agostino, dove alla figura principale si affiancano due angeli (Covi, 1982, pp. 29 s.; La Porta, 1998, pp. 118 s.). L’attribuzione di un Crocifisso nella chiesa di S. Pietro (ibid., p. 122) ha arricchito di un’ulteriore testimonianza l’ultimo periodo dell’attività volterrana, dimostrando anche le capacità dello scultore nel campo dell’intaglio ligneo (non altrimenti attestate).
Nel settembre del 1506 Giovanni Zacchi richiese alla confraternita di S. Croce il saldo dovuto per il gruppo di S. Francesco, completato dal figlio due anni e mezzo prima. Nella stessa occasione fu richiesto alla compagnia di S. Giusto il pagamento per tre delle otto figure di un Compianto commissionato nell’aprile del 1504 e forse lasciato incompiuto (Gennari, 1958, p. 14; La Porta, 1998, p. 126 nota 20). Un gruppo di analogo soggetto si trovava nella chiesa di S. Alessandro ed è stato severamente danneggiato durante la seconda guerra mondiale (ibid., pp. 119-121). In ragione del significativo scarto stilistico rispetto al gruppo di S. Francesco, il Compianto nell’oratorio della chiesa di S. Caterina a Colle Val d’Elsa (Gentilini, 1980; Lucidi, 2012, pp. 136 s.) viene normalmente considerato l’opera conclusiva della prima fase di attività dello scultore: la forzatura espressiva dei tratti somatici e le rigide geometrie dei panneggi avvicinano questo gruppo al frammentario Santo (o Profeta) proveniente dal duomo di Massa Marittima (oggi nel locale Museo di arte sacra; La Porta, 1998, pp. 122 s.).
La presenza dello scultore a Volterra è ulteriormente testimoniata dalla carica di priore cittadino ricoperta nel 1502 e nel 1505 (ibid., p. 122), mentre la causa intentata da Giovanni Zacchi a nome del figlio nell’autunno dell’anno successivo potrebbe costituire un primo indizio di un’assenza dalla città. La piccola scultura in marmo conservate presso il Metropolitan Museum of art di New York (inv. 64.101.1443) raffigurante l’abbraccio fra un satiro e una ninfa – firmata e datata 1506 – è stata spesso interpretata come il segno dell’avvenuto trasferimento dello scultore a Roma, forse facilitato dagli agganci dei Maffei di Volterra presso la Curia. Secondo Giorgio Vasari (Vasari, 1568, 1987, p. 178), infatti, Zacchi avrebbe eseguito una replica in cera del Laocoonte, in seguito sottoposta al giudizio di Raffaello Sanzio, insieme a quelle realizzate da Jacopo Sansovino, Domenico Aimo da Varignana e Alonso Berruguete. Questa breve permanenza a Roma si colloca con certezza fra il 1506 e l’estate del 1509, quando Zacchi (tra giugno e luglio) fu pagato a Volterra per un lavoro di pittura eseguito nel palazzo dei Priori (Furiesi, 2007, pp. 76-78; Lucidi, 2012, p. 155 nota 43).
Tra il 1511 e il 1512 Zacchi prese parte al concorso promosso da Piero Pitti per la realizzazione di una Madonna col Bambino in marmo destinata alla facciata del Mercato nuovo di Firenze (Vasari, 1568, 1987, p. 180; Boucher, 1991). Alla gara parteciparono anche Sansovino, Baccio Bandinelli e Baccio da Montelupo. Da quest’ultimo, secondo Vasari, Zacchi «imparò molte cose», oltre a diventarne «grandissimo amico» (Vasari, 1568, 1976, p. 296). Al netto di possibili incontri precedenti, è dunque almeno a partire da questi anni che si devono datare i rapporti fra i due artisti. Nel 1512 e nel 1516 Zacchi fu nuovamente priore a Volterra (La Porta, 1998, p. 122), dove nel corso del 1513 dipinse una barella per le reliquie per il monastero di S. Pietro in Selci (Maffei, 1905; La Porta, 1998, p. 117, nota 16).
La biografia strozziana fissa al 1516 il suo trasferimento a Bologna, ma un documento volterrano suggerisce di ritardare di almeno un anno questo importante snodo nella biografia dell’artista. Nel 1517, infatti, Zacchi fu retribuito per aver restaurato un’Annunciazione nel palazzo dei Priori (Furiesi, 2007, pp. 81-83). La prima attestazione in Emilia è costituita dall’atto con cui il 3 luglio 1519 il vicelegato di Bologna mise fine a una controversia insorta tra il volterrano e il ferrarese Alfonso Lombardi (Supino, 1929): rispondendo a un’iniziativa finanziata dal conte Cornelio Lambertini, i due artisti si erano accordati per eseguire ciascuno una scultura raffigurante Ercole e il leone di Nemea: l’opera migliore avrebbe decorato la sala degli Anziani nel palazzo pubblico; Lombardi risultò vincitore e l’Ercole di Zacchi non trovò una collocazione alternativa a causa della sua fragilità (Vasari, 1568, 1976, p. 408; Alberti, 1539-1543 circa, 2006). Forse anche in ragione di questa sconfitta, nell’autunno dello stesso anno lo scultore fu incline ad accettare l’offerta di Pietro Torrigiani, rientrato in Italia da Londra alla ricerca di collaboratori per portare a termine l’altare della cappella del re Enrico VII nell’abbazia di Westminster e il doppio monumento funebre di Enrico VIII e Caterina d’Aragona: al volterrano furono promessi 60 scudi all’anno per i successivi quattro anni (Supino, 1914, p. 62; Bacchi, 1995, pp. 269, 291 nota 36). Con l’abbandono delle commissioni inglesi da parte di Torrigiani, l’accordo non ebbe alcun seguito e Zacchi iniziò una lunga attività a Bologna, divisa fra commissioni di singoli privati e congregazioni religiose.
Da un inedito contratto si apprende che nel giugno del 1521 gli venne commissionato il doppio monumento funebre dei giureconsulti Girolamo Zanettini e Ulpiano Zani suo genero nella chiesa di S. Domenico. L’opera, interamente in terracotta, doveva essere dipinta dall’artista in modo da simulare il marmo e il bronzo (Calogero, in corso di stampa). I documenti tacciono fino al 20 ottobre 1522, quando Zacchi assistette in qualità di testimone al contratto tra i frati di S. Giuseppe di Galliera e il pittore Girolamo da Cotignola per l’esecuzione della pala destinata al loro altare maggiore (Calogero, 2018, p. 22 nota 50). Questo coinvolgimento dello scultore si spiega con la commissione da lui ricevuta per un altare di patronato Bentivoglio nella stessa chiesa servita, per il quale Zaccaria realizzò e firmò una grande Madonna con Bambino e angeli (Gennari, 1958, pp. 5-8) terminata prima del 17 marzo 1523, quando il pittore Bartolomeo Ramenghi fu retribuito per aver provveduto alla policromia della scultura (Mazza, 1982). Insieme agli altri altari della chiesa di Galliera, l’opera fu trasferita nel 1566 nel monastero di S. Giuseppe fuori Porta Saragozza e si trova oggi nell’omonimo museo.
Nel marzo del 1524 Zaccaria ricevette il primo acconto per alcune opere in terracotta commissionate dai monaci olivetani di S. Michele in Bosco: un S. Michele che sconfigge il demonio a figura intera affiancato da due busti di S. Bernardo e S. Benedetto (destinati alla lunetta di un portale del loro monastero di S. Bernardo dentro le mura cittadine, e non alla sede principale fuori porta S. Mamolo; Rossi, 1890, p. 69). I pagamenti per queste sculture si protrassero fino al 1526, mentre un secondo S. Michele (destinato a una «fontana», forse un pozzo) fu saldato nel luglio del 1524.
Intorno alla metà del terzo decennio del secolo si collocano le decorazioni in terracotta per la facciata di palazzo Bolognini (oggi Salina Amorini Bolognini) in piazza S. Stefano. Il cantiere edilizio, scarsamente documentato, fu avviato dopo l’aprile del 1521, e nel febbraio del 1525 i Bolognini ottennero un’esenzione dai dazi sui materiali da costruzione (Foschi, 1994); una lapide dello stesso anno commemora i lavori fatti eseguire dal senatore Francesco fino a quel momento.
Si è finora dato eccessivo credito alla notizia, risalente almeno alla prima edizione della Bologna perlustrata di Antonio Masini, secondo cui Alfonso Lombardi avrebbe affiancato Zacchi nell’esecuzione delle numerose protomi clipeate collocate al di sopra delle colonne e al di sotto del cornicione di coronamento (Masini, 1650, p. 153: «varie teste di scoltura del Lombardi nella facciata»). Nel 1958 Gualberto Gennari (ibid., p. 7) riportò la notizia, rinvenuta nelle compilazioni settecentesche di Marcello Oretti, secondo cui Lombardi avrebbe eseguito «nove di quelle teste», ma si tratta di una svista: il manoscritto recita «varie di quelle teste» (Oretti, 1760-1787 circa, p. 335), ed è dunque evidente che la notizia dipende unicamente dal passo di Masini e non da eventuali documenti non più disponibili. Molti degli elementi originali sono stati integrati o sostituiti, forse in occasione dei successivi interventi di completamento e trasformazione dell’edificio (1551, 1602, 1884). La mano di Zacchi è comunque sicuramente riconoscibile in molte delle teste più antiche (come quelle illustrate in Il palazzo Salina Amorini Bolognini, a cura di G. Roversi, 1994; proposte per un’individuazione più dettagliata in Bacchi, 1995, p. 292 nota 45), e ancora meglio nelle protomi alate al di sotto della cornice marcapiano, del tutto coerenti con quelle del giardino del Buonconsiglio (ibid., p. 283).
Nel marzo del 1524 i libri contabili di S. Michele in Bosco si riferiscono a Zacchi con la qualifica di «scultore di figure» al servizio della Fabbrica di S. Petronio (Rossi, 1890, p. 69), pochi mesi in anticipo sui primi documenti che accertano i lavori in corso per i «quadri» a bassorilievo destinati alle porte minori della grande facciata (Supino, 1914, p. 103, n. 75). Gli architravi con le Storie del Nuovo Testamento costituiscono l’opera più significativa realizzata da Zacchi per la facciata (con l’assistenza dei giovanissimi figli Gabriele e Giovanni), mentre è finora mancato un tentativo sistematico volto a identificare per via stilistica il contributo dato dal volterrano agli altri rilievi. Il 14 ottobre 1525, infatti, lo scultore ricevette un pagamento «per lo architravo, Sibille e modelli» ( ibid., p. 62; si vedano le proposte di Supino, p. 65, e di Brugnoli, 1984a, pp. 83 s.). Il 5 febbraio 1526, a nome di tutti gli ufficiali della Fabbrica, Bartolomeo Barbazza commissionò ai più importanti artisti del cantiere sei grandi sculture, tutte apparentemente destinate alle lunette dei portali. Zacchi s’impegnò a scolpire entro otto mesi un S. Domenico per un compenso di quaranta scudi (ibid., pp. 107 s., n. 84). Il contratto lascerebbe pensare che esso fosse concepito per stare a lato del Cristo risorto di Lombardi nella lunetta sinistra insieme al S. Francesco commissionato a Niccolò da Milano (ibid., p. 73). D’altra parte, meno di cinque mesi più tardi (26 giugno) gli ufficiali pagarono Lombardi per aver eseguito i modelli preparatori dei due Armigeri che tuttora affiancano il Risorto (Giannotti, 2015, p. 14 nota 13). In uno schizzo approntato nel 1525 per effettuare l’ordine dei marmi a Carrara, inoltre, il Cristo è già affiancato dai due soldati addormentati (Supino, 1914, pp. 66 s.). Si è dunque ipotizzato che gli ufficiali cambiassero idea in proposito due volte (Brugnoli, 1984b): la sequenza degli eventi rimane incerta, ma ha forse un qualche significato il fatto che la biografia strozziana ricordi l’esecuzione per S. Petronio di «figure dentro et fuori alle porte» (Bacchi, 1995, p. 289 nota 5). Nel 1529 sul S. Domenico intervenne anche Nicolò da Milano (Giannotti, 2015, p. 11). Dopo essere stati a lungo collocati ai lati dell’altare maggiore, dal 1814 il S. Francesco e il S. Domenico fiancheggiano quello del Sacramento nell’ottava cappella a destra (Brugnoli, 1984b, p. 103). L’ultima attestazione di Zacchi nei registri contabili del cantiere petroniano risale all’ottobre del 1527 (Giannotti, 2015, p. 19 nota 50).
Non esistono appigli cronologici per datare con certezza altre due opere bolognesi che per stile sembrano appartenere alla seconda metà degli anni Venti: la Madonna col Bambino e s. Giovannino in S. Maria della Carità (Gennari, 1958, p. 19) e i busti raffiguranti Cristo e i dodici Apostoli nel coro di S. Giovanni in Monte, originariamente dipinti a finto bronzo (è noto, tuttavia, che gli stalli su cui poggiano furono saldati a Paolo Sacca nel febbraio del 1527; Lucidi, 2020).
Colmano parzialmente la lacuna documentaria prima del trasferimento a Trento gli inediti pagamenti per la tomba di Bonifacio Fantuzzi (morto nel 1518): gli acconti per l’opera si scalano fra il gennaio del 1529 e il maggio del 1530 (Calogero, in corso di stampa). Secondo la biografia strozziana, a Bologna lo scultore avrebbe realizzato anche un ritratto di «messer Marcantonio Manzuoli» (da identificare probabimente con il senatore Melchione – o Marchione, secondo la frequente oscillazione del nome nelle fonti – morto nel 1527; Dolfi, 1670) collocato in una «bellissima cappella» nella chiesa di S. Martino (Bacchi, 1995, p. 289 nota 5).
Nella città emiliana Zaccaria entrò in contatto con il domenicano Leandro Alberti, che nella sua Descrittione di tutta Italia (1550) lo ricordò non solo come «scoltore», ma anche in qualità di «curioso vestigatore dell’antichitati» ed esperto in fatto di giacimenti minerali (c. 49v). L’artista fornì al geografo numerose informazioni utili alla sua opera (probabilmente anche in forma scritta) relativamente a Populonia, Volterra e Moscona (rispettivamente cc. 28r-v, 48r, 50v).
Nel giugno del 1531 Zacchi fa la sua comparsa a Trento nella documentazione contabile relativa alla decorazione del cosiddetto Magno Palazzo di Bernardo Cles, che probabilmente incontrò lo scultore a Bologna in occasione dell’incoronazione di Carlo V l’anno precedente (Gabrielli, 2004, p. 338, doc. IV). Il volterrano ricevette fin da subito un incarico relativo a diversi ambienti del castello, cui lavorò tra l’estate e l’autunno (p. 390, doc. 28, e pp. 392 s., docc. 35-36). Il principe vescovo, che seguiva il cantiere da lontano, verso la fine dell’anno ricevette una lettera nella quale Zacchi gli chiedeva ulteriori commissioni. Cles suggerì ai soprastanti la possibilità che il volterrano lavorasse alla fontana nel giardino interno del castello (pp. 401 s., docc. 67-68), ma i responsabili della fabbrica non erano favorevoli all’assegnazione di ulteriori incarichi a causa dei continui ritardi dello scultore (pp. 405 s., docc. 78, 80). Quest’ultimo nel gennaio del 1532 promise una rapida ultimazione dei rilievi dipinti a finto marmo che decorano la cappella del castello (venti figure di Apostoli e Dottori della Chiesa al di sopra della trabeazione – ne rimangono sedici – e un Dio padre circondato da angeli nel riquadro principale della volta: pp. 406 s., doc. 81; Bacchi, 1995, pp. 272-276). All’inizio di quest’anno (o forse entro la fine di quello precedente: Gabrielli, 2004, p. 177) fu ultimata la decorazione plastica della cosiddetta Stua delle figure (Bacchi, 1995, pp. 276-280): numerosi rilievi dipinti di bianco nella volta (sette Divinità, quattro Astronomi a mezza figura, quattro coppie di angeli con l’impresa clesiana) e sedici teste clipeate a finto bronzo nelle lunette delle pareti. Fu verosimilmente nel corso del 1532 che Zacchi modellò la teoria di protomi concepita per sovrastare la grande fontana addossata alla parete orientale del cosiddetto cortile dei Leoni (pp. 280-286): le teste maschili e femminili (ne rimangono venti) raffigurano personaggi illustri dell’antichità. Tra la primavera e l’estate del 1533 l’insoddisfazione dei soprastanti crebbe a tal punto che Cles minacciò di licenziare lo scultore (Gabrielli, 2004, pp. 426 s., docc. 150-151, e p. 432, doc. 168). All’inizio di settembre Zacchi si offrì di decorare altri ambienti del palazzo, ma il 28 ottobre il committente, nuovamente insoddisfatto, gli scrisse ricordandogli gli impegni già presi e i compensi ricevuti fino a quel momento (più di 320 fiorini; p. 433, docc. 171-172, e pp. 439 s., docc. 190-191). Meno di una settimana più tardi la situazione precipitò: lo scultore aveva accettato delle commissioni nella vicina Rovereto e apparentemente non fece ritorno a Trento prima della fine dell’anno nonostante le minacciose lettere del vescovo (pp. 440-443, docc. 192,194, 200, 206). All’inizio del 1534 riprese i lavori al Buonconsiglio: il 6 febbraio Cles gli scrisse per redarguirlo a proposito dell’eccessivo impiego di gesso nelle opere che egli avrebbe dovuto eseguire unicamente in terracotta (pp. 448 s., docc. 228-229). Le lamentele e le raccomandazioni del committente proseguirono per tutta la primavera (pp. 452 s., docc. 241-242, p. 458, doc. 263, e p. 461, doc. 271) fino all’ultima esortazione del 26 giugno 1534 affinché concludesse tutti i lavori iniziati (p. 462, doc. 275). Oltre alle opere già ricordate, all’interno del palazzo Zacchi realizzò tre teste clipeate nel pianerottolo del secondo piano e nella cosiddetta sala dell’Udienza, mentre della decorazione sul fronte della loggia del giardino sopravvive un’unica Vittoria alata (Bacchi, 1995, p. 286).
Non è noto quando lo scultore facesse ritorno a Bologna, né esattamente quando avvenisse il suo trasferimento a Roma: la biografia strozziana colloca questo evento nel 1538 e ricorda che al servizio di papa Paolo III Zacchi avrebbe progettato l’approvvigionamento idrico di un giardino, realizzando anche «alcune statue bellissime di stucchi» prima della morte avvenuta nell’Urbe nel 1544 (ibid., dove si ricordano altre fontane eseguite in Emilia e in Toscana). L’abilità di Zacchi in campo idraulico è confermata da una lettera con la quale nel 1538 il figlio Giovanni cercò di entrare al servizio di Federico II Gonzaga elencando al duca le competenze apprese dal padre nella costruzione di pozzi, acquedotti e condutture (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1156, c. 431r).
Un nodo critico ancora parzialmente irrisolto riguarda i rapporti fra le opere del volterrano e le numerose terracotte di piccolo formato ricondotte al cosiddetto Maestro dei bambini irrequieti. Ora che l’identificazione di quest’ultimo con il fiorentino Sandro di Lorenzo di Smeraldo appare sempre più verosimile alla luce di nuovi argomenti, la sovrapponibilità fra i due artisti sembra essere stata definitivamente messa da parte. La Madonna col Bambino nella pieve di Buggiano, a lungo riferita a Zacchi (Ferretti, 1992; Bacchi, 1995, p. 267), è tuttavia ancora oggi contesa fra i due corpora (Principi, 2016, pp. 82 s.; Giannotti, 2018, p. 98, nota 11).
Giovanni, figlio di Zaccaria (non è noto il nome della madre), fu scultore e medaglista di lunga carriera. Nato a Volterra nel corso del secondo decennio del secolo (forse nel 1512: Maffei, 1906, p. 3), è documentato per la prima volta intorno alla metà degli anni Venti come assistente del padre nella contabilità del cantiere di S. Petronio a Bologna. La prima commissione di cui si abbia notizia riguarda il monumento funebre del vescovo Girolamo Campeggi: dall’inedito contratto di commissione del febbraio 1533 si apprende che l’opera era destinata alla cattedrale bolognese di S. Pietro (Calogero, in corso di stampa). La maggior parte delle medaglie da lui realizzate reca la sua firma (spesso abbreviata nella forma «IO. F.»: Hill, 1914; Toderi - Vannel, 2000; Attwood, 2003). La prima fusione datata è del 1535 (p. 302, n. 717) e, allo stesso anno, risale la medaglia del governatore di Bologna Giovanni Maria del Monte (che concesse allo scultore uno stipendio mensile di tre scudi: Maffei, 1906, p. 4). A quest’ultimo lo scultore fu raccomandato da Pietro Aretino nell’autunno dell’anno seguente, e nel maggio del 1537 il letterato inviò nuovamente i propri saluti all’artista per mezzo di Francesco dall’Armi (Aretino, 1537, 1997). Nel 1538 lo scultore si trovava ancora a Bologna, da dove cercò di ottenere la commissione della tomba di Mario Maffei a Volterra (Bagemihl, 1996, p. 56, nota 28) e quella del monumento funebre di Francesco II Gonzaga a Mantova, lasciato incompiuto da Alfonso Lombardi (Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1156, c. 431r). Tra la fine del 1538 e i primi mesi dell’anno successivo Zacchi raggiunse il padre a Roma, dove realizzò alcune medaglie per papa Paolo III: lo si apprende da una lettera inviata da Bologna in ottobre, da cui risulta che a questa data aveva già eseguito per il palazzo pubblico bolognese diverse statue raffiguranti il pontefice. Tornato in Emilia, infatti, lo scultore si rivolse al cardinale Alessandro Farnese per ottenere una provvisione a vita promessagli dal papa (Rossi, 1890, p. 70; per la stessa ragione tornò a scrivere al cardinale tre anni più tardi, p. 71). Nel 1541 (e non dopo, come intende Ascher, 1993, p. 25) realizzò il perduto monumento funebre del vescovo Agostino Zanetti nella chiesa di S. Domenico. In vista dell’arrivo a Bologna del papa in settembre, nel corso dell’estate gli furono commissionati due busti raffiguranti il pontefice. Agli anni compresi fra il 1544 e il 1549 risalgono i lavori per il grande monumento funebre del giurista Ludovico Gozzadini nella chiesa di S. Maria dei Servi (Roversi, 1967). Nel settembre del 1549 il cardinale Farnese raccomandò Zacchi per la carica di architetto di S. Petronio, lasciata vacante da Giacomo Ranuzzi (Rossi, 1890, p. 71). Le notizie successive si ricavano da tre lettere di Pietro Aretino dell’autunno del 1552. In settembre il letterato ricevette una medaglia raffigurante Ersilia del Monte, moglie di un nipote di papa Giulio III; e in ottobre e in novembre scrisse allo scultore rallegrandosi di essere entrato nelle grazie della nobildonna (Aretino, 1557, 2002). È probabile che a questo punto Zacchi fosse già tornato a Roma, dove è documentato con sicurezza all’inizio del 1555: in febbraio stava ultimando alcune medaglie con ritratti femminili per il cardinale Farnese (Rossi, 1890, pp. 71 s.). Da questo momento in avanti su di lui non si hanno più notizie certe (forse morì a Roma nel 1565: Maffei, 1906, p. 8).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Carte strozziane, s. I, filza 113, cc. 79v-80v; Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1156, c. 431r.
P. Aretino, Lettere. Tomo I. Libro I (1537), a cura di P. Procaccioli, Roma 1997, pp. 133, n. 74, 194 s., n. 196; L. Alberti, Historie di Bologna, 1479-1543 (1539-1543 circa), a cura di A. Antonelli - M.R. Musti, II, Bologna 2006, p. 457; Id., Descrittione di tutta Italia..., Bologna 1550, cc. 28rv, 48r, 49v, 50v; G. Vasari, Le vite... (1550 e 1568), a cura di R. Bettarini - P. Barocchi, IV, Testo, Firenze 1976, pp. 296, 408, VI, Testo, 1987, pp. 178, 180; P. Aretino, Lettere. Tomo VI. Libro VI (1557), a cura di P. Procaccioli, Roma 2002, pp. 141, n. 142, 147 s., n. 149, 157 s., n. 157; A. Masini, Bologna perlustrata..., Bologna 1650, p. 153; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna..., Bologna 1670, pp. 514 s.; M. Oretti, Notizie de’ professori del dissegno, cioè pittori, scultori ed architetti bolognesi e de’ forestieri di sua scuola..., volume primo (1760-1787 circa), Bologna, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, ms. B.123, pp. 335, 337-339; U. Rossi, Zaccaria e Giovanni Zacchi da Volterra, in Archivio storico dell’arte, III (1890), pp. 69-72; R.S. Maffei, Di Z. Z., pittore e scultore volterrano (1474-1544), Volterra 1905, pp. 7 s.; Id., Giovanni di Z. Z. scultore volterrano..., Melfi 1906; G.F. Hill, Notes on Italian medals – XVIII, in The Burlington Magazine, XXV (1914), pp. 335-341; I.B. Supino, Le sculture delle porte di San Petronio, Firenze 1914, pp. 62, 65-67, 103 n. 75; Id., Opere d’arte ignote o poco note: l’‘Ercole’ di Alfonso Lombardi, in Rivista d’arte, XI (1929), pp. 110-113; G. Gennari, Z. Z. scultore volterrano, 1473-1544, Bologna 1958; G. Roversi, Le opere d’arte della famiglia Gozzadini nella basilica dei Servi in Bologna, in L’Archiginnasio, LXII (1967), pp. 232-263 (in partic. pp. 242-249); E. Carli, Volterra nel Medioevo e nel Rinascimento, Pisa 1978, p. 85; G. Gentilini, in La civiltà del cotto... (catal., Impruneta), Firenze 1980, p. 87; C. Covi, Z. Z. scultore. Volterra - Bologna - Trento - Roma, 1473-1544, Mori 1982; A. Mazza, Bartolomeo Ramenghi detto il Bagnacavallo senior, in Luca Longhi e la pittura su tavola in Romagna (catal., Ravenna), a cura di J. Bentini, Bologna 1982, p. 153; M.V. Brugnoli, Le porte minori, in La Basilica di San Petronio in Bologna, II, Bologna 1984a, pp. 61-94; Ead., Problemi di scultura cinquecentesca, ibid., 1984b, pp. 103-116; F. Lessi, in La Pinacoteca di Volterra, a cura di A. Paolucci, Firenze 1989, p. 145; B. Boucher, The sculpture of Jacopo Sansovino, II, New Haven-London 1991, p. 319, n. 8; M. Ferretti, in Per la storia della scultura. Materiali inediti e poco noti (catal., Torino), a cura di M. Ferretti, Torino 1992, p. 47; Y. Ascher, Giovanni Zacchi and the tomb of bishop Zanetti in Bologna, in Source, XII (1993), 4, pp. 24-29; Il Palazzo Salina Amorini Bolognini. Storia e restauro, a cura di G. Roversi, Bologna 1994, pp. 44 s.; P. Foschi, Vicende storiche e costruttive, ibid., p. 100; A. Bacchi, «Z. Z. eccellente statuario», in Il castello del Buonconsiglio, I, Percorso nel Magno Palazzo, a cura di E. Castelnuovo, Trento 1995, pp. 263-295; R. Bagemihl, Cosini’s bust of Raffaello Maffei and its funerary context, in Metropolitan Museum Journal, XXXI (1996), pp. 41-57; P. La Porta, Z. Z.: proposte per gli esordi, in Prospettiva, 1998, n. 91-92, pp. 115-126; G. Toderi - F. Vannel, Le medaglie italiane del XVI secolo, I, Firenze 2000, pp. 429-432; Ph. Attwood, Italian medals in British public collections, c. 1530-1600, I, London 2003, pp. 301-303; L. Gabrielli, Il Magno Palazzo del cardinale Bernardo Cles: architettura ed arti decorative nei documenti di un cantiere rinascimentale (1527-1536), Trento 2004, passim; A. Furiesi, in Il Palazzo dei Priori di Volterra. Storia e restauro, a cura di A. Furiesi, Siena 2007, pp. 76-78, 81-83; D. Lucidi, Z. Z. volterrano: una nota sulla formazione e qualche aggiunta al catalogo dello scultore, in Nuovi studi, XVII (2012), pp. 133-166; A. Giannotti, Alfonso Lombardi e Francesco da Milano: le sculture della controfacciata di San Petronio a Bologna, in Paragone, LXVI (2015), 787-789, pp. 3-20 (in partic. pp. 11 s.); L. Principi, The Master of the Unruly Children: River God and Bacchus, London 2016; M. Calogero, Alfonso Lombardi a Santa Maria della Vita: per una rilettura stilistica, in Paragone, LXIX (2018), 817, pp. 3-24; A. Giannotti, Nuove occasioni nel percorso del Maestro dei bambini irrequieti, ibid., 819-821, pp. 87-102; D. Lucidi, in Alfonso Lombardi. Il colore e il rilievo (catal., Bologna), a cura di M. Calogero - A. Giannotti, Rimini 2020, pp. 85-88; M. Calogero, Nuovi documenti su Zaccaria e Giovanni Zacchi, in corso di stampa.