ZALEUCO (Ζάλευκος, Zaleucus)
Antichissimo legislatore greco. A lui ascrivevano la loro legislazione i Locresi Epizefirî. La tradizione più antica riferiva che era un pastore di condizione servile; che i Locresi ne fecero il loro legislatore dietro un oracolo di Apollo; che egli riferiva l'origine delle sue leggi ad Atena la quale l'avrebbe istruito in sogno. Altre tradizioni lo mettevano in relazione con Talete Cretese di cui sarebbe stato discepolo insieme con lo spartano Licurgo, ovvero lo facevano uno scolaro di Pitagora. Veniva anche messo in relazione con Caronda che si diceva fosse stato suo scolaro. In generale lo si considerava come l'autore della più antica legislazione scritta greca; e, conforme a ciò, Eusebio lo colloca nel secondo anno della 29a olimpiade (663-2 a. C.), una quarantina d'anni prima della data che ascrive a Dracone. La data è probabilmente arbitraria: le connessioni con Talete, Pitagora, Licurgo e Caronda non sono che tarde invenzioni contraddittorie, ma anche la leggenda genuina è destituita di valore storico. Resta che la legislazione di Locri si considerava, probabilmente a ragione, come antichissima e che quindi è da riferire al sec. VII, cioè al secolo cui spettano effettivamente le più antiche legislazionì scritte della Grecia.
Pel resto, oltre varie notizie sulle leggi, non abbiamo su Zaleuco che due aneddoti, l'uno, secondo cui, essendone stato il figlio colto in adulterio, in ossequio alla sua legge che condannava l'adultero all'accecamento, per salvargli uno degli occhi se ne fece togliere uno dei suoi: l'altro che, vietando il suo codice sotto pena di morte d'intervenire armati all'assemblea, essendo Z. inavvedutamente intervenuto senza deporre le armi, si trafisse in ossequio alla legge con la propria spada. L'ultimo aneddoto però è attribuito più comunemente a Caronda o anche a Diocle siracusano e solo da una fonte tarda a Z. La personalità di questo legislatore dunque è assai evanescente, e già nell'antichità Timeo mise in dubbio la sua reale esistenza, seguito da qualche moderno (Beloch), il quale ha allegato il nome, che vuol dire "il tutto lucente", nome assai adatto ad una divinità solare, sicché i Locresi avrebbero, come molti popoli, ascritto alle loro leggi origine divina, e solo più tardi Z., come tante altre divinità obliterate, sarebbe stato trasformato in un personaggio umano. In favore di questa tesi si cita l'analogia di Licurgo (v.), il cui nome ha pure un significato analogo. Si può anche allegare il curioso aneddoto sull'occhio perduto, che ha pure un singolare riscontro nella vita di Licurgo, del quale si narra che perdette un occhio in una rissa. È noto infatti che presso varî popoli è caratteristica degli dei solari d'essere monocoli.
Quanto alle leggi stesse attribuite a Z., se ne conosce assai poco. Sappiamo che esse precisavano le pene per i varî reati; che erano in generale assai severe, onde la severità di Z. divenne proverbiale come quella di Dracone (v.): che sancivano il taglione precisando che si doveva pagare occhio per occhio. La severità delle pene è comune alle legislazioni arcaiche ed è da ritenere che le leggi di Z., come quelle di Dracone, l'attenuassero piuttosto che inasprirla. Ma la barbara costumanza del taglione sembra estranea alle altre legislazioni greche e, sebbene non manchino analogie indoeuropee, la parentela evidente della formula usata nella legge di Z. con quella della legge mosaica o del codice di Hammurabi, fa pensare a influssi orientali che possono essere pervenuti ai legislatori greci attraverso le legislazioni indigene dell'Asia Minore e quelle delle colonie ioniche. Pel resto s'è già citata la legge sull'adulterio. Il codice di Z. si occupava anche delle controversie nate dai contratti e d'altre controversie di carattere civile. Ma di tutto ciò sappiamo poco o nulla. Che si occupasse anche di frenare il lusso e di tutelare la morigeratezza specialmente per ciò che riguarda le donne, come del resto altre antiche legislazioni greche, è possibile. Ma le notizie che abbiamo su ciò sono troppo strettamente collegate col proemio certo apocrifo che Z. avrebbe premesso alle sue leggi, per ritenerle sicure. Il proemio è tarda falsificazione fatta sotto l'influsso delle dottrine pitagoriche platoniche e stoiche. Singolare la norma, testimoniata già da Demostene, secondo cui non si poteva proporre l'abrogazione o la modificazione di una legge, se non presentandosi all'assemblea con un laccio al collo, col quale il proponente doveva venire messo a morte se la proposta era respinta. Non si tratta d'invenzione. Anche Polibio, assai bene informato delle cose locresi, riferisce come norma vigente in Locri, che se rispetto all'interpretazione d'una legge un cittadino dissentiva dal magistrato cui tale interpretazione era affidata, il cosmopoli, si dovevano presentare ambedue davantí all'assemblea dei Mille col laccio al collo, col quale doveva soffocarsi quello, la cui interpretazione era respinta. La norma si risolveva di fatto nel divieto di modificare le leggi o anche solo la loro interpretazione ufficiale.
Le poche notizie autentiche non ci permettono un giudizio complessivo sul codice attribuito a Z. e men che mai sulle contingenze che lo fecero promulgare. Tuttavia la sua vitalità testimoniata da Demostene e da Polibio mostra che esso dovette adattarsi alle esigenze nuove, morali, giuridiche ed economiche, di una progrediente colonia.
Bibl.: R. Bentley, Dissertations upon the epistles of Phalaris, ecc., nuova ed., Berlino 1874, p. 344 segg.; G. Busolt, Griechische Geschichte, I, 2ª ed., Gotha 1893, p. 424 segg.; E. Ciaceri, Storia della Magna Grecia, II, Milano 1927, p. 24 segg.; M. Mühl, Die Gesetze des Zaleukos und Charondas, in Klio, XXII (1929); C. F. Crispo, Di Zaleuco e di alcuni tratti della civiltà locrese, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, V (1935), p. 21 segg., 185 segg., VI (1936), p. 237 segg.