BANCHIERI, Zanobi
Di nobile famiglia di Pistoia, nacque in questa città il 22 luglio 1747. Fin da giovanissimo rivelò una spiccata tendenza alla lettura e un animo profondamente religioso. Lo zio cardinale G. F. Banchieri, prefetto della Camera apostolica, persuase i suoi genitori a mandarlo a Roma per proseguire gli studi. Così, insieme con il fratello maggiore Pietro, il 27 nov. 1756 fece il suo ingresso nel collegio Nazareno degli scolopi romani, uno dei centri più attivi dell'antigesuitismo e qui ebbe maestri i padri Martino Natali e Giambattista Molinelli, entrambi favorevoli ai giansenisti. Terminati gli studi, il 5 nov. 1763, prese la tonsura e nella primavera successiva tornò in Toscana. Iscrittosi all'università di Pisa, si laureò in diritto canonico e civile l'8 maggio 1768: suoi professori furono gli insigni giuristi Giuseppe Paribeni e Leopoldo Guadagni, discepolo di Giuseppe Averani, e provveditore dello Studio era mons. Gaspare Cerati, legato ai gruppi dei novatori romani e dei seguaci della "sana dottrina".
Beneficiando della prelatura istituita dallo zio cardinale per i membri della famiglia che avessero intrapreso la carriera ecclesiastica, il B. si stabilì a Roma, dove il 29 apr. 1770 prese una seconda laurea in utroque nel collegio della Sapienza. Poco dopo venne nominato da Clemente XIV referendario della Segnatura apostolica. In quel tempo si legò ai filogiansenisti e agli ambienti più apertamente antigesuitici, frequentando assiduamente i cardinali Mario Marefoschi, Antonio Sersale arcivescovo di Napoli, Diomede Carafa di Columbrano, uno dei più fieri avversari della Compagnia di Gesù, i padri agostiniani Agostino Giorgi, prefetto della Biblioteca Angelica e professore di sacra scrittura nella Sapienza, e Michele Marcelli suo coadiutore nell'insegnamento, i monsignori Giovanni Bottari e Pier Francesco Foggini, prefetti della Vaticana, animatori del circolo dell'"Archetto". Ma la salute gli dava qualche noia a causa del clima e, d'altro lato, non gli piacevano certi aspetti della vita della città, per cui nel 1771, ottenuta licenza, rientrò a Pistoia. L'anno successivo rifiutò l'invito di mons. Macedonio, segretario dei Memoriali e della Congregazione per gli affari gesuitici, il quale lo voleva con sé.
Il B. preferì la tranquilla e serena solitudine della sua villa del Santo Nuovo nei pressi di Pistoia, dove sempre rimase, salvo brevi periodi. Qui conduceva vita di ritiro e di meditazione, dedicandosi alle pratiche religiose e alla lettura dei Padri della Chiesa, delle opere di s. Agostino, del Bossuet, dei libri degli scrittori portorealisti e dei sostenitori della "sana dottrina". In quel periodo pose anche mano alla traduzione in italiano dell'Abrégéde l'histoire et de la morale de l'Ancien Testament (1728) dell'"appellante" Philippe Mésenguy, affidandone la revisione all'amico Fabio de' Vecchi, canonico della cattedrale e vicario generale della diocesi di Siena, professore di teologia dogmatica nello Studio senese, suo compagno di collegio al Nazareno, conquistato dall'abate Gabriel Dupac de Bellegarde alla disperata causa della Chiesa di Utrecht, ormai apertamente scismatica. E quando il de' Vecchi, nel 1778,si fece promotore dell'invio di lettere di comunione con la Chiesa olandese, il B. aderì all'iniziativa sottoscrivendo, dopo aver partecipato alla stesura di essa, la lettera al clero di Utrecht del canonico Luigi Baffi, vicario generale della diocesi di Chiusi e di Pienza. Sebbene geloso della sua solitudine, tanto da apparire come un isolato, egli agiva in costante intesa con gli esponenti più attivi del partito giansenistico toscano, quali mons. Giuseppe Pannilini, vescovo di Chiusi e di Pienza, mons. Nicola Sciarelli, vescovo di Colle, il provveditore dello Studio di Siena Guido Savini, mons Antonino Baldovinetti proposto di Livorno: era poi in relazione con Giuseppe Maria Pujati, con Vincenzo Palmieri e con Paolo Marcello del Mare, tutti uomini di punta del movimento. Fu tra i redattori degli Annali Ecclesiastici,che si stampavano a Firenze e si ispiravano alle giansenistiche Nouvelles Ecclésiastiques. Seguì con simpatia gli sforzi del granduca Pietro Leopoldo per rinnovare la formazione dei quadri degli ecclesiastici e per moralizzare la vita dei conventi. Molto più tiepido si dimostrò verso altri aspetti della politica leopoldina in materia ecclesiastica, diffidando dell'ingerenza del principe nella vita della Chiesa. Fu tra i caldeggiatori delle accademie ecclesiastiche promosse a Siena, a Pistoia e a Firenze, da lui ritenute una seria premessa per una sostanziale riforma religiosa. Nemico della superstizione e dell'ignoranza, riteneva che per estirparle fosse necessario dare una severa disciplina alle pratiche del culto e una larga diffusione al catechismo. Attribuiva grandissima importanza alla efficienza delle comunità parrocchiali. Dinanzi alla cultura e alla filosofia del secolo si poneva in posizione radicalmente critica: non gli sfuggiva infatti quanto di profondamente anticristiano e laico fosse contenuto negli scritti dei filosofi dei "lumi".
Quando, nel 1780, venne nominato vescovo della diocesi di Pistoia e di Prato mons. Scipione de' Ricci, il B. prese a secondare il piano di generale riordinamento che questi propugnava, avendo larga parte nell'attività divulgativa degli scritti giansenistici di cui la sua città divenne centro in quegli anni: basterà ricordare la Raccolta di opuscoli interessanti la religione. Nel 1785 il de' Ricci consacrava una chiesa parrocchiale al Santo Nuovo dedicata a s. Germano vescovo di Auxerre, che il B. aveva costruito a sue spese. Il sinodo diocesano che si svolse a Pistoia dal 18 al 28 sett. 1786 gli apparve come il coronamento dell'azione riformatrice e il punto dì partenza per un'azione a più ampio raggio. L'assemblea degli arcivescovi e dei vescovi della Toscana che si tenne a Firenze tra il 23 aprile e il 5 giugno del 1787 rivelò l'infondatezza di queste speranze e i ricciani rimasero soccombenti: Pietro Leopoldo prese a raffreddarsi nei loro confronti e nel 1790 il vescovo de' Ricci venne destituito. Questi avvenimenti indussero il B. ad appartarsi sempre di più: non già che considerasse inutile l'esperienza, ma solo immaturo il tempo. Mantenne i contatti con gli amici dispersi dalla tempesta, trascorrendo gli ultimi anni della sua vita nella villa del Santo Nuovo, dove il 14 ag. 1798 si spense sereno e "solitario", secondo lo spirito di Port Royal.
Fonti e Bibl.: Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, I-III, Firenze 1941-1942, ad Indicem; Il giansenismo toscano nel carteggio di Fabio de, Vecchi, a cura di E. Codignola, I-II, Firenze 1944, ad Indicem; S. De Ricci, Memorie scritte da lui medesimo, a cura di A. Gelli, Firenze 1865, I,p. 476; L. Pasquini, B. Z., Prelato romano, Saggio storico della sua vita, Pistoia 1803; V. Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia 1878, p. 32; N. Rodolico, Gli amici e i tempi di Scipione de' Ricci,Firenze 1920, p. 88; C. Mazzetti, Relazioni fra il giansenismo pavese e il giansenismo toscano, in Miscell. storica pavese, in Biblioteca della società storica subalpina,1932, p. 229; P. Savio, Devozione di Mgr. Adeodato Turchi alla Santa Sede, Roma 1938, pp. 227-231; G. Cannarozzi, L'adesione dei giansenisti italiani alla Chiesa scismatica di Utrecht, in Arch. stor. ital.,C,3-4 (1942), p. 37; E. Codignola, Il luministi, giansenisti e giacobini nell'Italia del Settecento, Firenze 1947, ad Indicem; E. Passerin d'Entrèves, La politica dei giansenisti in Italia nell'ultimo Settecento, Livorno s. d. [ma 1954], p. 18.