LASTRICATI, Zanobi
Nacque a Firenze il 13 dic. 1508 da Bernardo di Bartolomeo di Sandro (Palagi, p. 8) - esponente di una famiglia documentata in città dalla seconda metà del XIV secolo - nella casa con orto, acquistata nel 1491 dal padre nel "popolo" di S. Pier Maggiore, in via dei Pinti.
La casa (ereditata alla morte del padre) - dove al 1551 il L. non abitava più, poiché a quella data risulta affittuario di Domenico detto il Serotine in una bottega con annessa abitazione posta in via della Crocetta - fu venduta ad Antonio di Filippo Salviati, con atto rogato il 17 apr. 1578 da ser Zanobi Pacelli.
Fonditore di metalli, il L. si dedicò alla scultura solo a partire dall'età matura.
Non dovevano tuttavia essergli estranei i fondamenti dell'architettura. Si ha notizia di un suo progetto per il santuario della Suasia a Civitella Romagna, databile al 1546, secondo l'atto comunale ritrovato da Danielli. Conti, senza negare la partecipazione dell'artista in qualità, forse, di provveditore della Fabbrica, escludeva la paternità del progetto, riaffermata in tempi più recenti (Sante Meleti). Nel 1557 il L. avanzava al duca di Firenze la richiesta di ricoprire il posto di capo mastro della Torre, rimasto vacante alla morte di Francesco da Gagliano (Palagi). Nel 1572 il L. risulta far parte della commissione incaricata dall'Accademia del disegno di giudicare alcuni progetti per il monastero spagnolo dell'Escorial (Summers, 1979). Dell'artista - introdotto nell'ambiente letterario dell'Accademia fiorentina grazie a Bastiano di Iacopo di Francesco detto Ciano, l'erudito e stravagante profumiere della corte medicea - è infine nota parte della produzione poetica (Nesi).
Non è del tutto chiarito il problema della formazione artistica del L., e da verificare è anche la notizia di un suo precoce soggiorno romano, riportata da Martelli.
L'ipotesi di un alunnato presso B. Bandinelli, avanzata da Palagi, rimane a oggi quella maggiormente percorribile. Più complessa appare invece la questione relativa ai rapporti con B. Cellini (cui il L. dedicò anche un componimento poetico: Mabellini) che lo stesso Palagi considerava suo maestro, per quanto concerne la tecnica della fusione. È certo che tanto il L. quanto il fratello Alessandro - salariato dal duca Cosimo I nel 1560 come scultore, fonditore e gettatore di metalli - aiutarono Cellini nella fusione della Medusa, come risulta dal Giornale di ricordi alla data del 3 luglio 1548. Nella Vita Cellini citava inoltre Alessandro tra coloro che lo aiutarono nella fusione della statua del Perseo.
La personalità del L. non è tuttavia da confondere, come pure è stato talvolta fatto (Boström, 1994), con un altro collaboratore di Cellini, Zanobi di Pagno Portigiani, della cui fornace egli si avvalse nel 1546 per la fusione del Busto di Cosimo I (Firenze, Museo naz. del Bargello). A ingenerare confusione tra le identità dei due artefici fu Vasari (VI, p. 124), che attribuì al L. anziché a Zanobi di Pagno, come ricerche archivistiche hanno confermato (Wright), la fusione dei quattro puttini, realizzati da Pierino da Vinci per la Fontana di Ercole di Niccolò Pericoli, detto il Tribolo, nella villa medicea di Castello.
Dell'attività scultorea del L. si hanno notizie a partire dagli anni Quaranta: al 1543 circa si data la Venere Anadiomene in bronzo, oggi nel Jardín de la Isla di Aranjuez, convincentemente attribuita al L. da A. Boström (1977).
La studiosa, che ipotizzava una provenienza medicea dell'opera, proponeva di identificare la figura con la statua di Fiorenza, descritta nel 1543 da Niccolò Martelli e posta al culmine della Fontana del Labirinto della villa di Castello, progettata dal Tribolo. La scultura, successivamente sostituita da quella del Giambologna (Jean Boulogne), oggi alla Petraia, sarebbe stata poi inviata in Spagna nel 1571 da don Garzía, fratello di Eleonora de Toledo, e destinata alla residenza reale di Aranjuez.
Nel 1549 il L. ricevette l'incarico di realizzare la statua, pure bronzea, di Mercurio (oggi a Baltimora, nella Walters Art Gallery), destinata al cortile del palazzo di Lorenzo Ridolfi (oggi palazzo Tornabuoni-Ridolfi), allora in fase di ristrutturazione e decorazione.
Non è chiaro se si possa correlare al rapporto con il Tribolo anche questa commissione del Lastricati. Nel carteggio tra Lorenzo Ridolfi e Donato Giannotti (segretario del cardinale Niccolò Ridolfi, fratello di Lorenzo), sembra infatti che egli avesse avuto contatti con il Tribolo per la progettazione dei lavori; ma nella documentazione conservata il nome di quest'ultimo non compare tra quelli degli artisti coinvolti. Citata da Vasari, la statua del Mercurio doveva essere sostenuta da quattro testuggini, parimenti bronzee (disperse, eccetto una in collezione privata fiorentina: ripr. in Spallanzani, p. 12). Il dato è confortato dai documenti, rintracciati da Spallanzani, inerenti al pagamento ad Alessandro Lastricati per il bronzo e il metallo necessari all'esecuzione del progetto. Del Mercurio lo studioso ha inoltre ritrovato il modello antico (conservato agli Uffizi), proveniente da Roma, cui il L. si attenne pressoché fedelmente. Sulla base della documentazione, dalla quale emerge come Ciano si fosse fatto esclusivamente mallevadore del L., Spallanzani poneva giustamente in dubbio la veridicità della didascalia posta sulla base circolare della statua, che viceversa fa riferimento a un rapporto di collaborazione tra i due. Questa è stata, invece, ribadita da Nesi, che individuava nell'influenza del profumiere mediceo il rafforzarsi da parte del L. dell'interesse per l'antico, coltivato fin dalle prime opere. Per Ciano, il L. aveva eseguito tra il 1545 e il 1546 un ciclo decorativo in stucco e in pietra (distrutto) nella loggia del cortile di casa.
Nel giardino di Boboli si conserva dal 1757 un Cacciatore in marmo, verosimilmente un Adone, descritto nell'inventario degli anni 1692-95 della villa di Poggio Imperiale "con carcasso ad armacollo e cane in guinzaglio" (Nesi, p. 79), attribuito al L. e datato fra 1555 e 1560. Al confronto e al dialogo con la statuaria classica - ancora persistente nell'esecuzione di un Busto di Adriano in marmo della medesima epoca (villa di Poggio Imperiale), che Nesi ascriveva al L. - si sostituisce, nel caso del Cacciatore, il modello michelangiolesco del David.
L'attività per la famiglia de' Medici è attestata da una serie di documenti della seconda metà degli anni Cinquanta: nel gennaio 1557 il L. venne pagato per la fusione di "campanelle a diamanti" (Boström, 1994, p. 836), identificabili in otto paia di battiporta, in parte dispersi, nella sala degli Elementi di palazzo Vecchio.
A questo gruppo riconduceva anche un battiporta acquistato nel 1861 dal Victoria and Albert Museum di Londra. Meno chiari risultano invece i pagamenti eseguiti a favore del L. nel 1559: egli ricevette infatti una somma considerevole per più lavori, tra cui la fusione di una porta per la stanza del Tesoretto di Cosimo I, a palazzo Vecchio, e per lo sportello dell'armadio di sicurezza, destinato ancora al Tesoretto, ideato da Vincenzo Danti (oggi al Bargello). Il precedente fallimento della fusione dell'Ercole e Anteo da parte di Danti indusse probabilmente Vasari, sovrintendente ai lavori, ad affidarsi all'esperienza del L., lodata poi nelle Vite. I documenti per questo impegno mettono in luce tanto la presenza di una bottega (dove era garzone Pasquino d'Angelo) quanto l'esistenza di un rapporto, non è chiaro di che tipo, con Zanobi di Pagno che, nel caso di un pagamento, ritirava il compenso in nome del Lastricati.
Per gli stessi Medici, il L. aveva inoltre eseguito nel 1565, in occasione delle nozze tra Francesco I e Giovanna d'Austria, le statue per l'arco trionfale della porta al Prato.
Accademico del disegno, il L. fu nominato provveditore delle esequie celebrate dall'Accademia in occasione della morte di Michelangelo; al L. è inoltre attribuita l'esecuzione della figura della Fama del catafalco. Nel 1570 eseguì la statua del Giosuè-Cosimo I per la cappella di S. Luca nella chiesa della Ss. Annunziata.
In quest'occasione si dovette rinnovare il rapporto di collaborazione tra il L. e Danti, al quale, secondo la lettura stilistica proposta da Summers (1969-70), ma non accolta unanimemente dalla critica, spetterebbero la concezione e il modellato generale della figura, rifinita solo alla fine dal Lastricati. I documenti superstiti non sembrano agevolare la soluzione del problema: la commissione, composta da cinque "riformati" e quattro "aroti", nominata dall'Accademia di S. Luca, aveva infatti affidato, in realtà, al solo L. la realizzazione della statua del Giosuè.
Ulteriori informazioni sulla vita del L. sono giunte dal ritrovamento del suo testamento (Corti). Rogato l'8 apr. 1588 dal notaio senese Cristofano Arrighi, l'atto mostra come il L. fosse all'epoca "bombardiere" al servizio della fortezza medicea della città di Siena.
Egli dimorava presso il provveditore generale delle fortezze del Granducato, Girolamo Seriacopi: segno questo di una grande familiarità tra i due, confermata dal lascito fatto dal L. di disegni, carte e libri in favore del suo ospite. Nel testamento il L., che nominò suo erede universale il nipote Bernardo di Alessandro, destinò una testa di Gesù Cristo, da lui scolpita, alla chiesa senese di S. Egidio (distrutta), dove dichiarò di voler essere sepolto, in caso di morte in quella città.
Il L. morì a Firenze il 14 apr. 1590 e fu sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa, ora distrutta, di S. Pier Maggiore (Palagi, p. 21).
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