ZECCA (fr. hôtel de la Monnaie; sp. casa de moneda; ted. Münze; ingl. mint)
L'emissione della moneta essendo sempre stata monopolio dello stato (v. moneta, XXIII, p. 637), fin dall'epoca della sua invenzione è esistito un istituto statale tecnico e amministrativo con edifici e officine situati in varî punti del territorio, nei quali si fabbricava la moneta o direttamente dallo stato o per conto e sotto la sorveglianza dello stato. Il nome italiano attuale dell'istituto si ritrova in documenti medievali redatti in latino sotto la forma sicla, che ne indica la probabile derivazione dall'arabo sikkah "moneta".
Le operazioni che si compiono nella zecca per la fabbricazione della moneta sono: 1. preparazione dei due conî diritto e rovescio, che recano in incavo le impronte determinate dalla legge per ogni "tipo" di moneta; 2. preparazione del disco metallico, detto tondino o tondello, del peso e della lega determinati dalla legge; 3. stampa delle impronte in rilievo sopra il tondello collocato e premuto fra i due conî.
Si chiama normalmente taglio il numero delle monete dello stesso valore che si possono coniare con una determinata quantità di metallo a titolo legale.
Alle operazioni tecniche cui abbiamo accennato in principio vanno connesse varie operazioni amministrative per l'acquisto o il cambio dei metalli con monete, e per il controllo e l'emissione delle monete.
Storia. - Le zecche nell'antichità. - I Greci, ai quali, insieme con i Lidî, va attribuita la prima organizzazione, nel sec. VII a. C., degli scambî mediante la moneta (v. moneta, XXIII, p. 637), designarono lo stabilimento monetario col nome di ἀργυροκοπεῖον. Si possiedono solo poche notizie sulla zecca di Atene, dalla quale uscirono le monete coniate con l'argento proveniente dalle miniere del Laurio. Lo stabilimento, che era uno fra i principali edifizî pubblici, era annesso al santuario dell'eroe Stefaneforo (nome popolare, secondo ogni probabilità, di Teseo, mitico inventore della moneta) e gli operai erano, almeno in parte, scelti fra gli schiavi pubblici. Alcune sigle, che si trovano nella parte inferiore del rovescio nei tetradrammi ateniesi detti "della seconda serie" (220 a. C. in qua) sembrano le marche distintive delle diverse officine: ciò vorrebbe dire che l'organizzazione della fabbricazione, della contabilità e del controllo aveva già raggiunta una notevole perfezione. Sugli stabilimenti monetarî, che dovevano esistere nelle altre città greche, non si trovano indicazioni né negli scrittori antichi né nelle iscrizioni.
Alcune notizie intorno alla zecca di Roma sono arrivate fino a noi. La monetazione romana incominciò verso la metà del sec. IV a. C. Le lettere e i monogrammi, che appaiono sulle prime monete repubblicane, sembra indichino varie zecche che in seguito vennero chiuse, per concentrare tutto il lavoro in un unico stabilimento situato sul Campidoglio annesso al tempio di Giunone Moneta (v. moneta, XXIII, p. 654). I decreti relativi alla coniazione delle monete emanarono probabilmente in una prima epoca esclusivamente dai consoli. In seguito venne istituito uno speciale rnagistrato composto di tre persone, designate col titolo tresviri auro argento aere flando feriundo ovvero tresviri monetales facenti parte del vigintivirato. A essi era devoluta la coniazione ordinaria, mentre alcune emissioni straordinarie vennero autorizzate dal senato e affidate a un pretore o a un questore, ecc.
Il diritto di battere moneta venne dalla legislazione romana della Repubblica compreso fra quelli attribuiti all'imperium dei comandanti militari. Queste coniazioni avevano come scopo principale il pagamento delle truppe; le monete emesse erano conformi al sistema monetario della metropoli e potevano circolare in tutti i territorî a essa soggetti, ma portavano il nome del comandante dell'esercito e dei suoi questori. D'altra parte i governatori delle provincie, sempre in virtù del loro imperium, poterono anch'essi coniare monete. Le grandi serie di coniazioni militari incominciarono con Silla, il cui esempio fu seguito da Pompeo, da Cesare e dai minori gerarchi, nella guerra civile. Quando Cesare si fu impadronito della città di Roma e del governo coniò la sua moneta militare nella zecca romana. Dopo un mezzo secolo di vicende varie, all'inizio della nostra era, l'imperatore riservò a sé la prerogativa di coniare l'oro e l'argento, mentre al senato fu devoluta la coniazione del bronzo. Da allora le monete senatoriali di bronzo portano l'indicazione S. C. (Senatus Consulto). Sotto Aureliano il diritto del senato di emettere monete fu soppresso e tutta la coniazione venne concentrata nelle mani dell'autorità imperiale.
A partire da Augusto vennero istituite zecche imperiali anche nelle provincie. Fino al tempo dei Flavî la zecca di Roma rimase annessa al tempio di Giunone Moneta, ma separata dallo stabilimento imperiale. In seguito sembra che le due zecche siano state collocate sotto una direzione unica in uno stesso edificio nei pressi delle terme di Tito. I tresviri sussistono fino ad Aureliano, ma il loro nome sparisce anche dalle monete di bronzo con Augusto.
Gli antichi coniavano le monete a mano, ponendo i tondelli sopra l'incudine, facendo penetrare il metallo negl'incavi del conio a colpi di mazza. Adoperavano un forno per la fusione del metallo, e la bilancia per verificare il peso delle monete. Questi varî attrezzi, insieme con le pinze per afferrare i conî e col cannello per soffiare sul fuoco, si vedono a Pompei nella decorazione murale della casa dei Vettii, che rappresenta le varie operazioni della monetazione eseguite da putti. L'esame delle monete antiche dimostra che il tondello non era ritagliato da una lastra, bensì preparato per colata del metallo fuso entro uno stampo della forma e dimensioni stabilite. Sembra che i conî fossero di bronzo nei tempi più antichi, di ferro e di acciaio in epoche posteriori. È probabile che la preparazione dei conî si sia fatta nei primi tempi con lo stesso tornietto adoperato dagli antichi per incidere le pietre dure, e che soltanto in seguito sia stato introdotto il bulino.
I conî monetarî furono sempre opera di artisti, e nelle epoche felici acquistarono dignità, splendore e significato paragonabili a quelli delle più belle sculture. Tuttavia gli scrittori dell'antichità greca, che celebrarono i nomi di alcuni incisori di pietre dure e di alcuni orefici, non parlano affatto degl'incisori dei conî. D'altra parte non si trovano che molto raramente monete antiche recanti la firma dell'incisore. La maggior parte di queste appartengono alla Magna Grecia e furono coniate tra la fine del sec. V e la metà circa del sec. IV a. C., e cioè nel periodo di maggior perfezione dell'arte monetaria. Eveneto e Cimone, che vissero ambedue in quell'epoca, ne sono i più insigni rappresentanti. Presso i Romani gli scalptores, incisori della zecca, furono sempre schiavi o liberti e nessuno dei loro nomi ci è stato conservato.
Si trovano anche monete del III e IV secolo dell'Impero, non coniate, bensì preparate per colata del metallo fuso entro due stampi riuniti; si ritrovarono anche parecchi di questi stampi di terra recanti in incavo le impronte delle monete. Questo procedimento imperfetto e che si prestava alla falsificazione fu severamente proibito a partire dal sec. IV d. C.
L'oro e l'argento per le monete non venivano dagli antichi allegati col rame, come usiamo noi, ma si adoperavano puri. Nei primi secoli della monetazione i due metalli preziosi furono anche allegati fra di loro in proporzioni varie col nome di elettro (v.). Il bronzo delle monete antiche contiene molto meno rame delle moderne, allegato con stagno, zinco e piombo. I Romani dell'impero coniavano i sesterzî con l'ottone, lega di rame e zinco detta aurichalcum. D'altra parte gli assi erano di rame puro.
Le zecche nel Medioevo. - Nei dieci secoli di storia che ci conducono dalla fine dell'età antica alla Rinascenza, mentre il numerario diventa raro e l'oro, rarissimo, finisce quasi dalla circolazione, si moltiplicano i tipi delle monete e i luoghi dove esse vengono fabbricate. Ciò è dovuto all'indebolimento dell'autorità centrale, che porta come conseguenza la pretesa dei signori feudali laici ed ecclesiastici, di battere moneta ognuno per proprio conto e di affermare nella moneta il proprio diritto di sovranità. Un simile sistema, in condizioni sociali di violenza, di disordine e di barbarie, non soltanto dava origine a una enorme quantità di tipi, ma impediva al fisco qualsiasi controllo sui monetieri e lo rendeva impotente a combattere le frodi, che dai monetieri stessi furono commesse su larghissima scala. I falsari di monete ebbero tanta importanza da indurre Dante a dare loro un posto speciale tra i peccatori: il Maestro Adamo ricordato dal poeta fu arso in Firenze nel 1281.
È opinione che Carlomagno proibisse ai monetieri di apporre il loro nome sulle monete, e li riunisse in una corporazione di funzionarî subalterni, che seguivano il re nelle sue varie residenze. Alla sua morte, quando l'impero andò distrutto fra le discordie dei successori, nacquero dall'imitazione dei tipi carolingi le monetazioni dell'Italia, della Francia, della Germania, a loro volta più o meno imitate dalle altre nazioni d'Europa. Per questa ragione i tipi delle monete feudali, nonostante l'esistenza di numerose zecche indipendenti, dove i grandi e piccoli feudatarî si arrogavano il diritto di batter moneta, diventano più uniformi, ma la tecnica e l'arte monetaria permangono in uno stato di assoluta barbarie. I procedimenti dei monetieri medievali erano di una semplicità primitiva. I conî consistevano in pezzi di ferro, la cui superficie veniva spianata e ripulita con la lima, ciò che spiega le righe trasversali, che si vedono nel campo di alcune monete. Le lettere e le marche si imprimevano nel conio mediante punzoncini, e ciò era causa dei rigonfiamenti e delle irregolarità, che si notano in quei segni grafici. Il fregio circolare che circonda e racchiude l'impronta principale, si otteneva con una punta, o con un punzoncino oppure con un bulino foggiato in modo da produrre piccoli intagli cuneiformi o semicircolari. Spesso l'artefice tracciava anzitutto sul conio un circolo mediante un compasso, sicché al centro rimaneva un buchetto, che si ritrova sulle monete in forma di piccolo rilievo. Il metallo non veniva colato in dischetti, come facevano gli antichi, ma invece in lastrine, le quali si battevano col martello sopra l'incudine per spianarle e ridurle in lamine sottili. Da queste mediante le cesoie si ritagliavano i tondelli, che venivano ancora battuti per ridurli in foglie. Per parecchi secoli a partire da Carlomagno le monete non furono più che lastrine molto sottili, sulle quali le impronte offrono un minimo rilievo. Non occorreva quindi nemmeno più per la coniazione l'abilità degli artefici antichi, che avevano prodotto le belle monete a forte rilievo; insieme con l'arte s'era imbarbarita la tecnica. L'economia monetaria, dalla quale l'oro era sparito, vegetava in una inestricabile confusione, senza alcuna possibilità di organizzazione né di controllo dell'opera dei monetieri, e questo stato di cose perdurò fino al sec. XIII quando per opera delle repubbliche italiane incomincia in Europa una nuova storia monetaria.
Alle fine del sec. XII, dopo molti vani tentativi dei sovrani per riordinare le circolazioni monetarie nei diversi stati, furono riorganizzate le corporazioni dei monetieri, che presero nomi diversi, come il Serment de France, il Sermentde l'Empire e altri. Alle corporazioni furono concessi privilegi di vario genere, che durarono poi fino alla rivoluzione francese. Il riordinamento del controllo statale sulle operazioni dei monetieri è dimostrato, p. es., in Francia, dove procedette di pari passo con l'affermarsi dell'autorità regia, dall'esistenza dei généraux maîtres, che a datare da Filippo il Bello esercitavano la sorveglianza anche sulle zecche dei prelati e dei baroni, ispezionandole senza preavviso almeno due volte l'anno e sospendendo i funzionari che operavano irregolarmente. In Italia i monetieri o zecchieri erano riuniti in collegi; da un documento del 16 ottobre 1385, citato dal Carli-Rubbi, risulta che a Milano in quel tempo il collegio dei monetieri era composto di 44 persone divise in tre classi, cioè della zecca del comune di Milano, della zecca del Sacro Impero, e della zecca dei Francesi. Alle zecche dei varî stati italiani erano preposti i magistri e i presidenti sotto l'autorità dei commissarî di monete.
Le zecche nell'epoca moderna. - Il primo passo nella restaurazione dell'economia e dell'arte monetaria in Italia fu tentato da Federico II di Svevia con gli "augustali" d'oro coniati nelle zecche di Brindisi e di Messina nel 1231. Nell'anno 1252 si coniò in Firenze per la prima volta il fiorino d'oro.
Il ritorno dell'oro nella circolazione, che rese celebri a quell'epoca oltre alla zecca di Firenze, quella di Genova per la genovina, , quella di Venezia per lo zecchino, e quella di Milano, segnò l'inizio di un periodo di grande espansione commerciale per l'Italia e fu nello stesso tempo l'auspicio di un glorioso rifiorire dell'arte monetaria. Questo si produsse al principio del sec. XV in Toscana per opera dei pittori e degli scultori, i quali crearono la medaglia, prima fusa e poi coniata. All'opera di quelli s'ispirarono qualche tempo dopo i monetieri, che spesso erano anche orafi, come Emiliano Orsini di Foligno, che eseguì le monete dei papi Pio II e Paolo III, e come Benvenuto Cellini, il quale era conosciuto soprattutto come orafo quando fu incaricato di incidere i conî per le monete pontificie. L'incisione dei conî per monete affidata ad artisti famosi riprese così tutta l'importanza, che aveva avuto nell'antichità e che da molti secoli aveva perduto.
Al principio del sec. XVI l'arte della medaglia fiorì in Germania per opera di artisti, che avevano soggiornato in Italia, e quivi si espresse in stili e con forme nazionali. L'accurato e paziente genio tedesco introdusse inoltre i primi perfezionamenti meccanici nella tecnica della coniazione, sostituendo alla mazza e al martello quei congegni, dai quali nacquero in seguito le macchine, che si adoperano nelle zecche moderne. Gli attrezzi costruiti dagli artefici di Norimberga erano: il laminatoio, detti anche mulino, che serve a ridurre in lastra il lingotto di metallo ottenuto per fusione, il tagliolo che stacca dalla lastra i tondelli, e il bilanciere che è un perfezionamento del montone, nel quale un pesante cilindro di metallo discendeva a percuotere la coppia dei conî. L'energica pressione fornita dal bilanciere permetteva di ottenere monete e medaglie di grandi dimensioni, e con forte rilievo come non era possibile di ottenere col martello.
Il re Enrico II di Francia, che prendeva grande interesse alle fabbricazioni monetarie, mandò in Germania Aubin Olivier, abile meccanico, per studiare i nuovi procedimenti. In seguito a questa missione venne nel 1550 impiantata in un edificio, situato nei giardini del palazzo reale, una nuova zecca dotata di tutti i congegni meccanici dell'epoca, e quivi il re fece coniare le sue medaglie e una parte delle monete del suo regno. Con un editto del gennaio 1551 il re trasformò l'antica Chambre des monnaies in una nuova magistratura chiamata Cour des monnaies, composta di un presidente e di dodici consiglieri e incaricata dell'esecuzione di tutti gli editti e regolamenti monetarî, e della sorveglianza delle trenta zecche allora esistenti nel regno, le quali procedevano ancora con gli antichi sistemi. Il primo risultato della nuova istituzione fu un conflitto, che sorse tra essa e Aubin Olivier, il quale aveva inventato la virola spaccata, cioè una robusta ghiera di ferro composta di tre pezzi. Questi venivano collocati e mantenuti intorno al tondello fra i due conî, che ricevevano il colpo del bilanciere, col risultato di ottenere una moneta perfettamente rotonda non solo, ma anche di ricavare sul bordo della moneta delle impronte in incavo oppure in rilievo. Il vantaggio di quest'ultimo ritrovato consisteva nella impossibilità di tosare le monete, procedimento applicato su vasta scala dai frodatori, e al quale non si era mai trovato rimedio. I vecchi monetieri misoneisti, abituati agli antichi sistemi, e protetti dalla Cour des monnaies pretendevano che le nuove macchine aumentavano di molto il costo delle fabbricazioni monetarie. Il re dovette cedere e decise che la nuova zecca meccanica, detta Monnoie au moulin (zecca col laminatoio), avrebbe coniato soltanto le medaglie.
Era allora in pieno sviluppo la medaglistica francese sorta sotto l'impulso degli artisti italiani venuti in Francia, e Nicolas Briot (1585-1670) che ebbe la carica di incisore generale delle monete, arrecò al bilanciere tali innovazioni e perfezionamenti, ottenendone una produzione più abbondante, più rapida e più uniforme, da esserne spesso in seguito considerato come il vero inventore. Tuttavia i nemici del nuovo furono così potenti da obbligare finalmente Briot ad abbandonare la Francia. Passato in Inghilterra, Briot impiantò nella Torre di Londra una zecca meccanica, e vi eseguì le ultime monete del regno di Carlo I e quelle della Repubblica. Dopo di lui Jean Warin, che fu il più insigne medaglista e incisore di monete francese del sec. XVII, proseguì la sua opera nel nuovo Balancier du Louvre, proveniente dal trasloco della Monnoie au moulin, nella grande galleria del palazzo del Louvre. E finalmente il cancelliere Séguier ottenne dal re Luigi XIII che i nuovi luigi d'oro fossero fabbricati col bilanciere. Al principio del regno di Luigi XIV la fabbricazione delle monete col martello fu definitivamente abolita, e da quell'epoca fino ai primi anni del sec. XIX la tecnica della coniazione non conobbe altri progressi. Napoleone I bandì un concorso per nuovi ritrovati nell'arte di stampare le monete e ne uscì il bilanciere Gengembre, ingegnosamente munito dall'inventore di una virola non più spaccata ma intera, attraverso la quale il conio inferiore poteva alzarsi permettendo l'espulsione della moneta coniata, mentre una mano meccanica detta portapezze, collocava al suo posto un tondello. Si evitava così ogni pericolo per la mano dell'operaio stampatore, e si otteneva una produzione oraria di un migliaio di monete. L'imperatore fece costruire una serie di nuovi bilancieri col bronzo dei cannoni conquistati ad Austerlitz; la R. Zecca di Roma possiede ancora alcuni di questi strumenti, i quali recano l'aquila imperiale e l'iscrizione "inventé en l'an 1803 par Gengembre inspecteur général des monnaies". Due di essi trasformati in modo da poter essere azionati dal motore elettrico servono ancora oggi per la coniazione di piccole medaglie. La R. Zecca di Roma possiede anche un bilanciere proveniente dalla zecca pontificia, che è ornato di stemmi e dell'iscrizione: "Clemens XII P. M. ex aere solido fingi iussit".
Il bilanciere, detto anche torchio a vite perché ha la forma generale di un torchio, è costituito essenzialmente da una grossa leva o bilancia di ferro munita alle estremità di due pesanti palle, collocata orizzontalmente sopra il castello e capace di far girare la vite; questa, muovendosi dentro la sua chiocciola, abbassa il cursore, che è un cilindro di ferro guidato da regoli fissi dentro la campana. Il cursore abbassandosi percuote il conio superiore.
Questo meccanismo fu adoperato in tutte le zecche fin verso il 1850, epoca nella quale fu dappertutto sostituito con la pressa o stampa monetaria, inventata nel 1817 da Ullhorn e introdotta nel 1820 nelle zecche tedesche. In questa macchina il cursore è sostituito da una colonna, che viene alzata e abbassata mediante un sistema di leve azionate da una puleggia collegata a un volante e messa in movimento da un motore. Tutti i moderni perfezionamenti meccanici sono stati introdotti oggi nella pressa monetaria, con la quale l'operaio non ha altro da fare che caricare i tondelli entro un imbuto. Da questo i tondelli discendendo vengono a uno a uno collocati fra i due conî dalla mano meccanica, la quale contemporaneamente espelle la moneta coniata. La macchina è capace di coniare una moneta al secondo.
Le zecche attuali. - Fino al sec. XIX le zecche furono molto numerose. Il Carli-Rubbi cita 88 zecche italiane esistite in varie età, oltre alcune altre incerte, e Vincenzo Promis ne cita 255. Questa quantità era in Italia dovuta alla mancanza di unità politica, ma anche nei grandi stati unificati la difficoltà dei trasporti prima della costruzione delle ferrovie obbligò i governi a mantenere un certo numero di stabilimenti monetarì nelle provincie. Così in Francia nei secoli XVII e XVIII esistevano trenta zecche, le quali nel 1786 furono ridotte a 17. La rivoluzione le soppresse tutte eccetto quella di Parigi, ma nel 1805 Napoleone ne rimise parecchie in attività, e sotto di lui 19 zecche imperiali - tra le quali quella di Roma, di Genova, di Utrecht - coniarono monete francesi. Nel 1834 si contavano in Francia 13 zecche, che nel 1838 furono ridotte a 7. In Italia alla proclamazione del Regno nel 1861, esistevano otto zecche, delle quali tre, e cioè quelle di Bologna, Firenze e Genova, furono soppresse in quello stesso anno, e altre tre, cioè quelle di Torino, Venezia e Napoli, nel 1870. Le cinque zecche rimaste dopo il 1861 e le due rimaste dopo il 1870 furono tenute in appalto fino al 1874 dalla Banca Nazionale. Il sistema dell'esercizio per appalto privato fu seguito anche in altri stati fin verso il 1870, ma non consentiva una buona fabbricazione delle monete, anche perché questo sistema rendeva difficile il controllo del titolo e del peso. In Italia dal 1874 al 1892 le due zecche di Milano e di Roma furono entrambe esercite dallo stato. Con r. decr. 28 giugno 1892, n. 330, venne dichiarata soppressa la zecca di Milano, e la fabbricazione delle monete venne concentrata nella R. Zecca di Roma, la quale divenne così la zecca dello stato.
Attualmente in ognuno dei grandi stati europei esiste una sola zecca di stato, salvo in Germania dove esistono ancora alcune zecche appartenenti agli antichi paesi germanici. Le maggiori sono quella di Londra, che copre un'area di 15.000 mq., e quella di Parigi, che ne copre 13.000; queste due zecche coniano anche monete per i piccoli stati europei sprovvisti di zecca. L'esistenza di una sola zecca esercitata dallo stato assicura la perfetta uniformità dei tipi, che era difficile ottenere col sistema delle zecche molteplici.
Lo stato italiano ereditò nel 1870 l'antica zecca pontificia, che nel 1665 era stata da Alessandro VII definitivamente sistemata presso i giardini vaticani e che impiegava l'acqua del lago di Bracciano per azionare alcune macchine. In quegli stessi locali la R. Zecca rimase dal 1870 fino al 1911, quando la R. Zecca fu trasportata in un edificio appositamente eretto nella zona dell'Esquilino, con una superficie di mq. 5600. Nella nuova sede, col potente macchinario di cui è dotata, la R. Zecca ha dal 1912 a oggi rinnovato due volte interamente la monetazione italiana: una prima volta prima della guerra mondiale secondo i nuovi tipi modellati dagli scultori L. Bistolfi, D. Calandra, M. Boninsegna e P. Canonica; una seconda volta nel dopoguerra coniando con nuovi tipi le nuove monete di valore e di modulo diverso, richieste dalle mutate condizioni del mercato monetario.
All'arte e alla tecnica monetaria sono, come si è detto, strettamente imparentate l'arte e la tecnica della medaglia. La Zecca di Roma, che a partire da Martino V (1417) ha coniato una lunga serie di medaglie, molte delle quali dovute al bulino di eccellenti incisori, continua anche in questo campo la tradizione coniando medaglie, sia per lo stato e per gli enti pubblici, sia anche per i privati che a essa si rivolgono. In virtù della legge 14 luglio 1907, n. 486, fu istituita presso la R. Zecca una scuola dell'arte della medaglia destinata al perfezionamento degli allievi nell'arte della medaglia e della moneta. La R. Zecca possiede inoltre un museo numismatico, che comprende ricche collezioni di monete e di medaglie del sec. XIX, la collezione dei conî e delle medaglie pontificie a partire da Martino V e la sala delle cere di Benedetto Pistrucci, incisore romano (1784-1855) vissuto lungamente a Londra, dove occupò il posto di incisore capo di quella R. Zecca, creando fra le altre sue opere, anche il tipo del S. Giorgio che abbatte il drago per la moneta sterlina. La R. Zecca di Roma, oltre alle monete nazionali e a quelle coloniali, conia anche le monete per lo stato della Città del Vaticano, per la Repubblica dì S. Marino e per il regno di Albania.
Tecnologia monetaria moderna. - Le monete moderne recano impronte con piccolo rilievo e hanno una cornice la quale protegge le impronte dall'usura. Per ottenere agevolmente la cornice mediante il colpo dei due conî, e per regolarizzare il diametro della moneta, questa, prima di passare alla stampa, viene orlettata. Questa operazione consiste nel produrre un leggiero rigonfiamento nel bordo del tondello, esercitandovi una pressione mentre il tondello spinto e guidato da due cuscinetti compie una rivoluzione intorno al proprio asse. I cuscinetti hanno una scanalatura, che può recare una leggenda o altri segni grafici in rilievo o in incavo, e dentro la quale corre il tondello ricevendone le impronte. Si ottengono in tal modo il fert, i nodi di Savoia e le stellette delle monete italiane d'argento, il contorno godronato delle monete di nichelio da cinquanta centesimi, nonché la leggenda in rilievo iustitia et clementia del tallero di Maria Teresa.
Prima della orlettatura occorre raddolcire quanto più è possibile il tondello indurito dalla precedente lavorazione meccanica per predisporlo a ricevere perfettamente le impronte. Il raddolcimento si ottiene con la ricottura al calor rosso entro forni a suola girevole. Durante questa operazione i tondelli anneriscono a causa dell'ossidazione superficiale del rame. Dopo l'orlettatura e prima della stampa i tondelli debbono dunque essere imbianchiti per mezzo di acqua acidulata calda o di altri reagenti, che sciolgono e asportano l'ossido di rame. Nel caso dell'oro e dell'argento l'imbianchimento lascia sulla loro superficie una sottile pellicola di metallo prezioso puro, che le preserva da un'ulteriore ossidazione durante la circolazione.
Nelle altre operazioni destinate a preparare il tondello sono stati introdotti nelle zecche moderne tutti i perfezionamenti dovuti al progresso della tecnologia meccanica. La fusione delle leghe preparate con metalli puri o provenienti dalla rifusione di vecchie monete si fa in forni a crogiolo riscaldati col carbone oppure col gas, e in qualche zecca, come in quella di Roma, entro forni elettrici. Il metallo fuso viene gettato entro lingottiere, dalle quali si estraggono le verghe di piccole dimensioni. Queste vengono dai moderni potenti laminatoi ridotte in nastri dello spessore voluto, e dai nastri i taglioli multipli staccano rapidamente i tondelli.
Mentre fra le monete antiche difficilmente se ne trovano due identiche, sia per l'imperfezione della coniazione e sia soprattutto perché gl'incisori dovevano rifare continuamente i conî, che non si potevano riprodurre identicamente l'uno dall'altro, nella moderna fabbricazione la costanza del tipo è mantenuta fino al minimo particolare durante tutto il periodo nel quale un dato tipo di moneta viene fabbricato. Ciò è dovuto alla possibilità di preparare i conî mediante un punzone che reca le impronte in rilievo. Collocando sulla base del bilanciere un cilindretto di acciaio con la parte superiore foggiata a cono o punta e ponendovi sopra il punzone, mediante ripetuti colpi si ottiene il conio o matrice con le impronte in incavo. Con lo stesso metodo si può dalla matrice riprodurre un punzone o maschio. Una volta dunque preparato e approvato il punzone tipo si ottiene da questo una matrice, dalla quale si possono ricavare parecchi punzoni maschi riproduttori, da ciascuno dei quali si ottengono centinaia di conî.
Il punzone tipo oggi non viene più dall'incisore ricavato direttamente dall'acciaio mediante il bulino. L'artista invece modella la creta e da questa prepara un modello di gesso, che viene riprodotto in bronzo per fusione oppure galvanicamente. La riproduzione in bronzo viene collocata sopra una macchina, precisa e delicata come un orologio, che si chiama tornio di riduzione o anche pantografo, perché è fondata sul ben noto principio del pantografo usato dai disegnatori. Essa è formata essenzialmente da due alberi paralleli, che girano con movimento rigorosamente sincronizzato, e che si possono spostare per variare la distanza che li separa. All'estremità di uno dei due alberi viene fissato il modello, all'estremità dell'altro viene innestato un cilindretto di acciaio con la faccia liscia sulla quale debbono riprodursi le impronte del modello. Un'asta orizzontale sospesa in modo da potersi muovere liberamente nel piano orizzontale porta due punte metalliche, una delle quali ottusa è situata di fronte al centro del modello e l'altra è una fresa aguzza collocata di fronte al centro del cilindretto. Quando la macchina è in movimento, tanto il modello quanto il cilindretto girano contemporaneamente, e un meccanismo abbassa continuamente l'asta e con essa le due punte, una delle quali percorre quindi sul modello e l'altra sul cilindretto una spirale concentrica. La punta ottusa del modello, e la fresa aguzza ruotando velocemente e imitando tutti i movimenti di quella, morde l'acciaio, riproducendo il modello nelle piccole dimensioni determinate dalla distanza che intercorre fra i due alberi. Il punzone viene ancora ritoccato col bulino dall'incisore per renderlo perfetto. Punzoni e conî vengono sottoposti alla tempra per ottenere la massima durezza.
Due operazioni, alle quali fin dall'antichità si è attribuita la massima importanza, perché servono a determinare due proprietà essenziali della moneta, il peso e il titolo, vengono oggi compiute con tutta la precisione consentita dai mezzi moderni. La pesatura dei tondelli imbianchiti e pronti per la stampa, che fino alla fine del sec. XIX si eseguiva con bilance comuni, si compie oggi con le pesatrici automatiche, nelle quali sopra uno dei piatti sta il peso campione, e l'altro piatto è sostituito da un cestello, in cui i tondelli scendono a uno per volta da un imbuto. Quando il giogo ha raggiunto la posizione di equilibrio, il cestello viene a trovarsi sopra la bocca di uno dei tre canali di cui è munito lo strumento. Dopo un intervallo di tempo determinato il cestello si apre e lascia cadere il tondello nel canale sottostante. Si ottiene in tal modo una scelta fra i tondelli giusti, quelli leggieri e quelli pesanti. I leggieri ritornano in fonderia, i pesanti vengono corretti mediante l'asportazione di un riccetto sopra una delle due facce, e anche questa operazione si compie rapidamente mediante un piccolo tornio automatico.
Si chiama titolo delle leghe di oro e di argento la proporzione di metallo prezioso in esse contenuta. Si esprimeva una volta il titolo delle leghe di oro in carati dividendo l'oro puro in ventiquattro carati, e il carato in venti grani; il titolo delle leghe di argento si esprimeva con dodici denari da ventiquattro grani il denaro. Dopo l'adozione del sistema metrico decimale si esprime il titolo con molto maggior precisione in millesimi. Le monete d'oro italiane e quelle della cessata Unione Latina contengono 900/1000 di oro, le attuali monete italiane da cinque e da dieci lire contengono 835/1000 di argento. Esiste in ogni zecca moderna un laboratorio di saggio, diretto da un chimico-saggiatore, nel quale si analizzano e si determinano le impurezze di tutti i metalli che entrano nella zecca. In base ai titoli trovati per le materie prime si fanno i calcoli per la composizione delle leghe, e quando la lega è fusa e ben rimescolata, da ogni crogiolo si preleva un campione, che viene a sua volta analizzato. Si ha così la certezza che le monete in fabbricazione saranno al titolo esatto stabilito dalla legge. Per maggior garanzia, da ogni fabbricazione composta di centomila monete se ne prelevano sei, ognuna delle quali viene analizzata da un secondo laboratorio.
Questa funzione di controllo è in Italia affidata al Laboratorio centrale metrico. Con i metodi analitici moderni che riescono a determinare anche i decimi di millesimo, e con il descritto sistema, che è adottato con qualche variante in tutti gli stati, ognuna delle monete, che vengono oggidì fabbricate in quantità enormi rispetto alla produzione dei secoli precedenti, risulta sempre scrupolosamente dello stesso titolo stabilito dalla legge.
Negli ultimi cinquant'anni ai tre metalli monetari sempre usati è venuto ad aggiungersi il nichelio, che rassomiglia all'argento, e senza possederne il valore gli è superiore per alcune proprietà fisiche e anche dal punto di vista igienico, perché si conserva sempre lucido e pulito. L'Italia, fra le prime nazioni ad adottarlo, lo ha dopo la guerra mondiale largamente usato nella sua monetazione, sotto forma di nichelio puro al 99,5%.
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