zen
Forma di buddhismo giapponese; risale direttamente al chan cinese, che fu introdotto in Giappone in due forme: la Rinzai nel 1191 dal monaco Eisai e la Soto nel 1227 da Dogen. Con il chan, lo z. riduce la tecnica ascetica alla sola meditazione (zen), che peraltro non deve concentrarsi su alcun oggetto, per quanto elevato esso sia (per es., neanche la stessa illuminazione può essere oggetto dello z.). Il modo usuale è la seduta di meditazione (zazen); la metafisica è essenzialmente quella dello shunya («vuoto») di Nagarjuna, accolto dal tantrismo: la percezione dell’identità tra questo e il meditante, che è la realizzazione soterica dello z., si ha in una illuminazione improvvisa (satori). Al divieto di concentrazione su contenuti individuali corrisponde peraltro la possibilità di far uso dei ko-an, cioè «quesiti» privi di senso (simili in qualche modo ai paradossi del tantrismo del Sahajayana) e perciò incapaci di legare il pensiero a un ordine logico. Lo z. è quindi «non insegnabile»: il maestro z. è un «punto di riferimento» che l’iniziando ha presente nel corso di un lungo noviziato; di fatto tutto il processo comincia nel discepolo e si attua interamente nel suo spirito; di qui il carattere mistificatorio dei vari «maestri di z.» che circolano nel mondo occidentale e l’inautenticità della vasta pubblicistica in proposito.