Zéro de conduite
(Francia 1932, 1933, Zero in condotta, bianco e nero, 47m); regia: Jean Vigo; produzione: Jean-Louis Nounez per Argui; sceneggiatura: Jean Vigo; fotografia: Boris Kaufman; montaggio: Jean Vigo; scenografia: Jean Vigo, Henri Storck, Boris Kaufman; musica: Maurice Jaubert, Charles Goldblatt.
Le vacanze sono terminate. Caussat sta facendo ritorno al collegio, Bruel lo raggiunge nel vagone. I due scherzano ed estraggono dal cappotto oggetti con cui si esibiscono in alcuni trucchi da fiera. Al loro fianco, un uomo adulto dorme. Giunti alla stazione, sono accolti dal sorvegliante 'Pète-Sec'. L'uomo che viaggiava con loro è M. Huguet, il nuovo sorvegliante. La sera, nel dormitorio, tre allievi (Bruel, Caussat e Colin) vengono puniti per eccessivi schiamazzi, e costretti a restare in piedi davanti alla tenda del sorvegliante. La mattina successiva i tre si attardano nel rifare il letto, ricevendo così da Pète-Sec il primo zero in condotta dell'anno scolastico, e la conseguente consegna domenicale. Decidono quindi di vendicarsi. Pianificano una rivolta mentre nel cortile si svolge l'intervallo scolastico e regna il finimondo: si fuma nelle latrine, si gioca a pallone mentre il sorvegliante Huguet fa il verso a Charlot. In classe i ragazzi disegnano il simbolo dei pirati su un pezzo di stoffa nera. Un sorvegliante allampanato controlla silenziosamente i giovani dalla finestra. Dopo essere stata presentata al direttore del collegio (un nano con la barba), la scolaresca si esibisce in una breve passeggiata in città, che termina con l'inseguimento di una giovane impellicciata. Un sorvegliante e il direttore discutono degli atteggiamenti equivoci di Bruel e Tabard. Tabard manda al diavolo l'insegnante di chimica, che gli ha accarezzato lascivamente la mano, e rifiuta di scusarsi pubblicamente, mandando al diavolo anche il direttore della scuola davanti all'intera classe. Per questo riceve uno zero in condotta e la consegna domenicale. La rivolta è dunque matura: in refettorio, all'ora di pranzo, la scolaresca si ribella di fronte all'ennesimo piatto di fagioli: lancio di molliche di pane, salti tra i tavoli. Nella notte, nel dormitorio si alza il grido di rivolta contro sorveglianti e punizioni. Fiocchi di piume di cuscino volteggiano nell'aria. È il caos. La bandiera nera è issata sul tetto della scuola. La mattina, Pète-Sec viene legato al letto e lasciato in posizione verticale. I quattro consegnati si arrampicano sui tetti della scuola: durante una cerimonia ufficiale lanciano oggetti di ogni tipo sugli invitati.
Realizzato nel 1932, uscito nel 1933 e censurato fino al 1945, Zéro de conduite nasce da un moto interiore: il ricordo degli otto anni di internato in un collegio che Jean Vigo visse sulla propria pelle. Il film si palesa dunque attraverso una forte connotazione autobiografica, destinata però a essere annullata, sbriciolata da una messa in scena geniale, furiosa, sfuggente, dirompente come una meteora. Zéro de conduite non somiglia per nulla ai film autobiografici dal tono smaccatamente nostalgico. Più che filmare un inno sull'infanzia, Vigo è riuscito miracolosamente nell'impresa di costruire un film che quest'infanzia occulta, sfigura, altera, rendendola imprendibile, intrattabile. Enigmatica. Zéro de conduite si presenta come una macchia informe nella memoria, un punto cieco sul quale ruotano allusivamente le immagini sconnesse, feroci, euforiche di alcuni gesti atti a rendere impossibile la rappresentazione di un'esperienza troppo intima e dunque irrecuperabile, resa attraverso un preciso lavoro di anamorfosi. Appunto, l'esperienza dell'infanzia.
Costretto da limiti produttivi a ridurre la lunghezza del film così come il numero delle riprese su cui si basava la sceneggiatura, Vigo trasformò questo improvviso ostacolo in un punto di forza, rendendo il film un oggetto squilibrato, dove l'aspetto narrativo evapora all'interno di una struttura filmica a mosaico, il cui discorso si srotola attraverso trovate figurative, toni comici, prospettive inusuali: estraendone uno stile. Zéro de conduite è infatti un film dominato da un forte senso delle sproporzioni. In questo senso va la scelta di filmare attraverso angolazioni irregolari della macchina da presa, accentuando lo scarto e il senso di vertigine dei punti di vista nelle frequenti plongées e contre-plongées, cui fa da contrappunto l'uso straniato di alcuni primissimi piani sui volti; nello stesso senso va anche la scelta di servirsi della figura di determinati attori, fino alla vera e propria trovata di attribuire la parte del direttore a un nano con barba e voce stridula. Si tratta dello stesso nano (un infante con barba posticcia) che poco dopo osserviamo incapace di specchiarsi, data la statura e la proibitiva posizione dello specchio; superficie che per pochi attimi sembra deformare il corpo lillipuziano del direttore, dal momento che vi appare riflessa una figura affusolata e allungata (ma si tratta della sagoma silenziosa e riflessa di un sorvegliante). Vigo procede con massima padronanza a sviare il tono e il senso di una sequenza, lavorando a una forma interna di contrappunto: si pensi alla tranquilla passeggiata in città, destinata a trasformarsi nello sfacciato inseguimento di una giovane donna in pelliccia, che s'interrompe a sua volta dopo che la truppa ha confuso il tessuto ondeggiante della gonna con quello meno invitante di un abito talare.
Un direttore-nano, un sorvegliante spilungone, un secondo sorvegliante che, simile a un sonnambulo, nasconde i suoi occhi con una maschera nera, un grasso professore di chimica: corpi mal assortiti, inafferrabili, mostri e guardiani paradossali dell'infanzia. Il nero degli abiti dei sorveglianti, il grigio di M. Huguet, il bianco delle camicie da notte degli allievi; poi una bandiera nera issata sul tetto del collegio, una pioggia di piume d'oca che, simili a neve, invadono il dormitorio, e lo scorrimento rallentato delle immagini: ecco il ritratto gioioso della rivolta, del caos, il cuore commovente di Zéro de conduite. Ci sembra di poter sfiorare qui la vulnerabilità dei ricordi di Jean Vigo, ma è solo un attimo. Un attimo di hybris in grado di bloccare il tempo. Prima del conclusivo assalto al cielo, lì sui tetti, dopo aver rigettato ogni invito all'ordine, mentre Vigo manipola l'inclinazione verticale del tetto trasformandolo in superficie piana, dopo aver trasformato le cerimonie della vita adulta ‒ giù in basso ‒ in un isterico tiro a segno.
Interpreti e personaggi: Jean Dasté (sorvegliante Huguet), Robert Le Flon ('Pète-Sec', il sorvegliante Parrain), Delphin (direttore del collegio), Du Verron [Blanchar] ('Bec-de-Gaz', il sorvegliante generale), Léon Larive (professore di chimica), Louis Berger ('corrispondente'), Louis-de-Gonzague Frick (prefetto), Henri Storck (parroco), Félix Labisse (primo pompiere), Georges Patin (secondo pompiere), Raphael Diligent (terzo pompiere), Georges Vakalo (quarto pompiere), Madame Émilie ('Mère-Haricot'), Michelle Fagard (figlia del 'corrispondente'), Albert Riéra (inserviente della lampada), Louis Lefevre (Caussat), Gilbert Prouchon (Colin), Gérard de Bédarieux (Tabard), Costantin Kelber (Bruel), Georges Belmer, Émile Boulez, Maurice Cariel, Jean-Pierre Dumesnil, Igor Godfarb, Lucien Lincks, Charles Michiels, Roger Porte, Jacques Poulin, Pierre Regnoux, Ali Ronchy, Georges Rougette, André Thille, Pierre Tridon, Paul Vilhem (collegiali), Natale Bencini, Leonello Bencini (acrobati).
P. Bost, Zéro de conduite, in "L'écran français", n. 22, 28 novembre 1945.
J. Agee, 'Zéro de conduite' and 'L'Atalante', in "The Nation", July 5, 1947 e July 12, 1947, poi in Agee on film, New York 1959.
M.H. Winters, Maurice Jaubert et 'Zéro de conduite', in "Positif", n. 7, mai 1953.
B. Teusch, The playground of Jean Vigo, in "Film heritage", n. 1, Fall 1973.
C. Gorbman, Vigo/Jaubert, in "Ciné-Tracts", n. 2, Summer 1977.
J. Douchet, Le commerce de la poesie, in "Cahiers du cinéma", n. 430, avril 1990.
Sceneggiatura: in J. Vigo, Oeuvres de cinéma, Paris 1985 (trad. it. Torino 1993).