ZEUS (Ζεύς; Δεύς, Δαίς, Δίς, Δάν, Δήν; Ζδεύς, Σδεύς, Ζάν, Ζεῖς, Ζήσ, Τάν)
Con una certa estensione di termini Z. è detto da Omero "padre degli uomini e degli dèi", il più potente, il più saggio, il supremo degli esseri viventi (ὕπατος κρειόντων). E in certo senso quanto vi è di inesatto e di approssimativo in questa definizione - Z. ad esempio non è il padre degli dèi, bensi appartiene a una determinata generazione delle divinità ed è in relazioni di parentela assai varie con gli Olimpî - serve a confermare la posizione di quasi assoluta predominanza di Z. quale è attestata anche dalla documentazione figurata. (Si veda anche: giove; tinia).
1. - Poiché qualsiasi indagine sull'origine e sul carattere della figura della divinità al di fuori dei suoi aspetti figurativi esorbita dal nostro tema, basti ricordare come già in Omero Z. ci appare come una antica divinità la cui gloria e il cui posto preciso al sommo delle gerarchie divine sembra fissato da tempo immemorabile. M. Nilsson osserva acutamente che Z. non deve la sua supremazia all'esser legato ad una città che ha dominato la Grecia, ma al fatto di rappresentare un ideale ordine monarchico vagheggiato dallo spirito ellenico. In molti sensi era la divinità meglio adattata a una posizione suprema. Legato ai cieli, alle tempeste e alle folgori, alle cime dei monti, il suo potere si accresce in ragione della distanza, del distacco, di cui la sua personalità si colora.
Il nome di Z. ricorre insieme con quello di altre divinità elleniche nelle tavolette di Pylos (M. Jameson, in Archaeology, xiii, 1960, p. 33). E una figurazione praticamente contemporanea è stata riconosciuta ancora da M. Nilsson in un pìthos miceneo da Enkomi, in cui figura un piccolo uomo con una bilancia nella mano levata (Griech. Religion, 1955, tav. 251). L'ipotesi è peraltro da accettare con riserva anche perché il preteso Z., per le dimensioni e lo spazio ridotto che gli è riservato, sembra troppo inferiore ai personaggi divini, o comunque trasfigurati, sul carro.
Grandi centri di culto di Z. sono quelli di Creta, di Olimpia e di Dodona, del Monte Lykaios. Ma in realtà è l'intero mondo ellenico che ci appare pervaso e in certo modo dominato, in aspetti diversi eppure singolarmente costanti, dalla presenza di questa personalità divina. Dalla cima dell'Olimpo Z. passa ad abitare le cime dei monti più eccelsi, il Monte Ida a Creta e nella Troade, il Citerone, l'Itome: e in certo senso la sua presenza è costantemente sentita anche al di là dei limiti del santuario o del luogo di culto.
A riassumere i caratteri fondamentali e la varietà di aspetti di questa personalità divina sarà opportuno prendere in considerazione, tra i suoi innumerevoli appellativi (v. l'elenco in Roscher, vi, c. 592-671), almeno quelli a cui corrisponde o per cui è attestata un'immagine di culto. Accanto ad alcuni che non possono qualificarsi che come eulogie e glorificazioni, altri forniscono elementi preziosi per definire il carattere e gli aspetti particolari della divinità: mentre altri rivelano semplicemente la sovrapposizione ad altri personaggi divini più o meno equivalenti. Alcuni non sono che il ricordo di un luogo di culto, quale Idàios, Diktàios, dalla montagna e dalla grotta cretese, Kithairònios, Anchèsmios, dal monte Anchesmo, Lykàios, Dodonàios. Altri illustrano un particolare aspetto, una funzione precipua della divinità: e quelli dell'ordine di Agoràios, Boulàios, Eleuthèrios, Epitèleios, Moiragètes, Herkèios, Hòrkios, Polièus, Phìlios, Sotèr, Xènios, sembrano rilevare un deciso aspetto civico della divinità, protettrice dell'ordine stabilito, degli ospiti e dei giuramenti. Altri fanno riferimento alla sua funzione primaria di divinità del cielo, delle tempeste e delle cime dei monti, quali Brontàios, Brontòn, Akràios. Altri appellativi indicano aspetti particolari assunti dalla divinità. Così Z. è detto Koùros a Palekastro in Creta, nell'isola legata alla sua infanzia e Pàis in Eghion, dove esistevano peraltro anche immagini di tipo più tradizionale. (Quando l'appellativo indica una evidente sovrapposizione, come nel caso di Z. Trophònios, Z. Sabàzios, Z. Sàrapis, si rinvia alle trattazioni relative a questa seconda personalità divina. Ci si riserva invece di parlare più appresso di quei casi in cui l'accento sia decisamente sulla personalità di Z. come nel caso di Z. Ammon o Z. Labrandeùs).
Nel culto di Z. a Creta sono stati rilevati aspetti preellenici di divinità annuale e della vegetazione. E a queste remote tradizioni è forse da attribuire la scarsezza di figurazioni della divinità anche nelle caverne famose dell'Ida e di Dikte, sacre alla memoria dell'infanzia del dio. È caratteristico che in un singolare racconto dell'iniziazione di Pitagora nell'antro Dieteo, sotto la guida di Epimenide vien fatta menzione di un trono e di una tomba, non di una immagine del dio (A. B. Cook, i, 646). D'altra parte, di scarsissima importanza appaiono i pochi dati a noi pervenuti relativi ad aspetti aniconici del culto di Zeus. Così l'oscura storia di un ἄργος λίϑος ricordata in Githion da Pausania (iii, 22, 1) o quella relativa alla pietra di Rhea, offerta a Kronos in luogo del figlio trafugato e venerata come una reliquia a Delfi (Paus., x, 24, 6). Aspetti non ellenici rivela l'immagine di Zeus Kàsios in Seleucia, riprodotta sulle monete come una pietra su cui sorvola l'aquila. Mentre una immagine di Z. Meilìchios in Sicione aveva l'aspetto di una pietra piramidale (Paus., viii, 38, 7). Meno sicura sembra l'assunzione che il pilastro quadrato con l'iscrizione Διος presso l'altare su cui Enomao viene a sacrificare in un noto vaso italiota, sia da intendere come una figurazione aniconica della divinità. In effetti l'iscrizione potrebbe riferirsi all'altare o al santuario così sommariamente riassunto e indicato.
Tra gli aspetti periferici più singolari delle immagini di Z. ricorderemo quello dell'agalma di Z. Òrkios in Olimpia con aspetto terrificante e folgori nelle due mani (Paus., v, 24, 9). Mentre uno xòanon di Z. Herkèios in Argo, tradizionalmente ritenuto ex voto di Sthenelos aveva tre occhi (Paus., ii, 24, 3) ed è forse da ricollegare a una peculiare divinità o tradizione figurativa dei Dori e da sovrapporre alle notizie su Z. Panòptes e Z. Trìops (Paus., ii, 24, 3; Apollodor., ii, 175).
2. - Venendo nel campo dei dati monumentali, è naturale ricercare le più antiche immagini di Z. nei grandi centri di culto più particolarmente a lui dedicati, innanzi tutto in Olimpia (v.). Tra i bronzi più arcaici di questo santuario E. Kunze ha riconosciuto con felice intuizione una immagine di Z. ἐπιϕαινόμενος in una statuetta geometrica in cui il tipo consueto del guerriero appare trasformato e in un certo senso snaturato dal gran gesto estatico e rivelatore delle braccia aperte. È d'altra parte fuor di dubbio che anche le immagini di guerriero minacciose e attaccanti, frequentissime nel santuario, rappresentano le più antiche e le più tipiche immagini di Zeus. Queste costituiscono in età geometrica e subgeometrica l'immagine più ripetuta in Olimpia. E le serie incomparabili per qualità artistica e per continua, cosciente ricerca di monumentalità che i recenti scavi nell'Altis hanno rivelato, confermano nell'assunzione che i tipi di guerrieri minaccianti con l'asta, i guerrieri sul carro, i domatori di cavalli, non sono ex voto occasionali, ma le proprie immagini della grande divinità del luogo. È normale infatti per i Greci dare agli dèi gli aspetti più alti che possano incontrarsi nel mondo umano: e per lunghi secoli dopo l'età eroica il guerriero rappresenta la suprema espressione dell'individuo umano. Non diversamente il simulacro arcaico dell'Apollo di Amicle aveva aspetto di guerriero e brandiva l'asta. Non diversamente a Samo nel santuario di Hera, una delle più antiche immagini riconosciute di Z. sembra quella di una statuetta bronzea della metà del VII sec. a. C. figurante un personaggio barbato, un panno intorno ai fianchi e il braccio destro levato a minacciare con l'asta.
In confronto alle così dirette, genuine espressioni del santuario di Olimpia, che sembrano echi immediati di un modo di vita e di pensiero autoctoni, tortuosamente complesse e inquinate di influenze orientali non assimilate, ci appaiono immagini come quella del grande timpano dell'antro Ideo. Sarà Z. il Pòtnios di tipo assiro che solleva un leoncello ad arco al di sopra del capo tra quattro timpani percossi da Cureti alati? In mancanza di qualsiasi tradizione figurata continuata e convincente sarà forse da assegnare alla divinità massima del luogo questo eccezionale e vistoso documento.
3. - In stretta dipendenza dai guerrieri geometrici e subgeometrici di Olimpia è da situare il noto gruppo bronzeo geometrico di New York, Incontro con un Centauro (v. vol. ii, fig. 65o), in cui E. Buschor aveva riconosciuto un più profondo significato mitico: Z. in lotta con un Titano. La scena era stata infatti posta in relazione con quella di un arỳballos protocorinzio della prima metà del VII sec. a. C. di Boston in cui un personaggio barbato combatte brandendo la folgore contro un Centauro (v. vol. i, fig. 242). E dato che una connessione tra Z. e la stirpe dei Centauri non è mai attestata e sembra anzi improbabile, è stato proposto di riconoscere dei Titani in queste sorprendenti creature che troviamo in lotta con Zeus. Come è noto, infatti, i Titani (v.) non hanno un aspetto ben fissato e riconoscibile: ed è solo tentativamente che si possono riservare ai Titani alcune delle figurazioni in cui troviamo gli dèi impegnati in una battaglia disperata con degli avversari che generalmente consideriamo Giganti. E in età assai più tarda la questione diviene ancora più confusa per il fatto che nell'enorme poema epico dell'Ara di Pergamo incontriamo Titani combattenti a fianco degli dèi contro i Giganti.
4. - Di ordine tutto diverso sono le immagini di Z. che incontriamo nei grandi santuari di Hera, a Samo, ad Argo, a Perachora. Qui l'aspetto prevalente di Z. è quello dello sposo, il partner e il compagno appena inferiore di importanza della grande dea. Così egli ci appare giovane e imberbe in un notevolissimo gruppo ligneo recentemente recuperato dallo Heraion di Samo. Si tratta in questo caso di un incontro della coppia divina in cui il tema fondamentale della hierogamia è chiaramente introdotto dal gesto affettuoso delle mani che s'incontrano e si fondono come a suggellare una suprema possessione. In questo caso Z. dal volto tondo e liscio, un panno stretto attorno ai fianchi, si avvicina piuttosto al creduto "Teseo" della brocca cretese di Afrati che al protagonista più severo e più drammaticamente impegnato della base marmorea di Sparta che per ragioni locali viene intesa come una storia di Menelao ed Elena. Scene analoghe sembrano attestate in pinakes, purtroppo assai frammentari, dallo Heraion di Argo e da Perachora. Si veda l'avorio di Argo (Argive Heraeum, cxl, 88) o il pinax fittile ancora più singolare da Perachora in cui una grande dea è affiancata da un giovinetto di proporzioni assai minori (Perachora, i, 102-179). Vi è una tendenza in alcuni studiosi a riferire a Z. e Hera la maggior parte se non la totalità delle figurazioni arcaiche di questo tipo rinvenute in molti luoghi della Grecia: appunto perché la hierogamia di Z. ed Hera trascende di importanza tutti gli altri eventi consimili ricordati o supponibili per altre coppie divine. Ma se questa tendenza ha in sé un elemento arbitrario, più rassicurante direi l'identificazione di Z. ed Hera in un altro incontro divino attestato da fibule in piombo praticamente identiche rinvenute nel santuario di Hera ad Argo e a Perachora. La fibula di Argo è stata dichiarata laconica in base ad affinità con i piombi spartani di Artemide Orthìa e del Menelaion. Ma non vi è forse ragione di allontanare dall'ambiente argivo questo piccolo monumento in cui il costume di Z. con il chitone che si arresta subito dopo le ginocchia e il mantello sul dorso ricorda insistentemente figure della corazza di Olimpia. Immagini analoghe sulle lamine di scudi da Olimpia attestano una transizione pacifica dal VII al VI sec. a. C. Lo schema nelle laminette bronzee di Olimpia sembra assai simile all'avorio di Argo ricordato più sopra. Caratteristico è il grande passo di Z. appoggiato all'asta che sembra proclamare l'impegno e la gioiosa, ineluttabile solidità dell'unione divina.
Al di fuori della hierogamia con Hera, l'unica storia d'amore di Z. attestata per il VII sec. a. C. è quella di Europa. L'identità della dea sul toro è stata ripetutamente indagata da vari studiosi: e in molti casi è indubbio che si tratterà di una dea della natura, che sappiamo solo intravedere. Mentre quando ricorrono gli accenni anche vaghi e oscuri di un viaggio marino, di incertezza o di terrore nella dea sul toro e quindi la presunzione che si tratti di un ratto e non di una cavalcata trionfale, più sicura è l'identificazione di Europa e Zeus. Tra i documenti di grande arcaicità che possono essere inclusi in questa categoria, ricorderei il frammento di pìthos beotico della Bibliothèque Nationale di Parigi (C.V.A., iii, tav. 94, 2) e innanzi tutto l'elmo bronzeo cretese di Delfi (Bull. Corr. Hell., lxxiii, 1949, p. 425). In quest'ultimo caso infatti sono le circostanze del culto di Z., predominante a Creta, e del fatto che Europa sarebbe appunto stata portata dal dio nell'isola, a entrare in gioco.
Agli inizi del VI sec. l'immagine monumentale più vivida e intensa di Z. è quella che sembra di poter riconoscere nel frontone dell'Artemision di Corfù. Quella di un giovane dio imberbe che lotta contro un immenso avversario abbattuto (v. fig. 988). Poiché Corfù era ritenuta l'isola dei Titani, gli episodi di lotta del frontone vengono per generale accordo riferiti a una Titanomachia piuttosto che a una Gigantomachia. È stato anche osservato come questa prima operazione di ordinamento cosmico avrebbe avuto luogo secondo le tradizioni letterarie in un momento estremamente arretrato nel tempo dell'età dominata dagli dèi dell'Olimpo. Di conseguenza la giovinezza di Z. avrebbe un preciso significato e, unitamente a tutti gli altri elementi preellenici rilevati nel frontone, sembra confermare questa immagine di una fase lontanissima del mondo divino dei Greci, l'aurora dell'età degli Olimpi.
Con il VI sec. l'avversario mostruoso dalla doppia natura, che avevamo prima conosciuto come Centauro, diviene anguipede e alato, a volte irto di serpenti, il così detto Tifeo o Tifone (v.). Figurazioni del genere ancora una volta sono assai frequenti nelle lamine bronzee di scudi di Olimpia. Generalmente Z. combatte con la folgore, completamente nudo ad eccezione di un caso in cui indossa i soliti pantaloncini. E la lotta non ha incertezze: la mostruosa creatura si abbandona in vaghi gesti di resa, senza mai tentare la benché minima resistenza. Mentre nella tarda hydrìa calcidese di Monaco (v. vol. ii, pag. 391) il duello sembra impegnato su basi di maggiore equilibrio; e almeno da un punto di vista esteriore la gran massa del mostro anguipede, le grandi ali frementi, lo rende un avversario formidabile per uno Z. che vibra la folgore, piegato su un ginocchio, come Davide la sua fionda.
A partire dal secondo venticinquennio del VI sec. ha inizio la grande tradizione attica delle Gigantomachie. E qui incontriamo Z. non più contro un avversario singolo, ma impegnato in una vasta azione sinfonica in cui tutti gli dèi vengono a combattere secondo la loro natura e le loro capacità. Nelle figurazioni più antiche di questo tipo, Z. è un guerriero con elmo e corazza e combatte con le armi normali del guerriero, la lancia e la spada. Si distingue tra i suoi compagni per la posizione centrale, per un elemento particolare di terrore nell'armamento. Siamo tuttavia estremamente riconoscenti all'ignoto ceramografo attico dell'anfora del Louvre E 732 per averci risparmiato incertezze e forse lunghe e inutili discussioni, segnando il nome ΙΕV???SIM-56??? accanto alla figura di un guerriero dall'elmo a due lòphoi e dal grande scudo tutto irto di serpenti sull'orlo, quasi a ricordo dell'egida, che combatte contro il superbo Efialte. Più spesso l'armatura è meno completa e la trasformazione di Z. in guerriero meno consistente: in seguito sarà tutt'al più un elemento come la corazza, che rimane a ricordare l'antico aspetto. Si veda l'anfora di Firenze, Gerhard, tav. 5.
Nelle grandi Gigantomachie di Lydos si evolve, o almeno noi troviamo attestato, un altro schema che avrà immensa fortuna, quello del combattimento in carro. Z. combatte di regola insieme ad Atena e ad Eracle e la sua arma costante rimane sempre la folgore. E questo schema, sul carro con Eracle, dalla ceramica attica a figure nere giunge sino all'edizione monumentale del Tesoro dei Sifni, dove peraltro solo scarse tracce rimangono della figura di Zeus. Di notevole varietà è anche l'aspetto del dio, a volte in lunga veste e mantello, a volte indossante corto chitone come Ares, a volte nudo. In effetti Z. è talmente al disopra delle circostanze normali della battaglia, che non è possibile applicare per lui quei consueti formalismi a cui siamo abituati. Così come il grande mantello ricadente sembra non interferire minimamente nell'impiego della sua arma particolare, la folgore.
5. - Tra le figurazioni che hanno inizio con il VI sec. e che subito acquistano immensa popolarità la più importante, in quanto Z. ne è il protagonista, è quella della nascita di Atena.
La tradizione letteraria sembra additarci il Peloponneso come origine di questo schema figurativo. Infatti uno dei più antichi pittori corinzi, Kleantes, è ricordato autore di un dipinto figurante la nascita di Atena nel tempio di Artemide Alpheioùsa presso Olimpia (Strab.,viii, 343), mentre lo stesso episodio ricorreva nella decorazione a rilievi bronzei del tempio di Atena Chalkìoikos sull'acropoli di Sparta, opera di Gitiadas (Paus., iii, 17, 2). Presumibilmente a questa tradizione si ricollegano le numerose, seppure uniformi, edizioni della storia sulle lamine di bronzo da scudi di Olimpia. In queste la figurazione è ridotta nei suoi termini essenziali: Z. seduto in trono, Ilizia ed Efesto che si allontanano con un gesto di allarme. La piccola Atena emerge sino alla vita dal capo del padre, mentre nel pinax ritenuto corinzio dall'Acropoli n. 2578 appare già sino ai fianchi. Nelle figurazioni attiche, che possediamo in una serie di incomparabile ricchezza, l'evento assume un carattere sempre più sontuoso e cerimoniale. A partire dal documento più antico, il tripode-kòthon del Pittore C., nel Louvre, gli dèi dell'Olimpo si raccolgono intorno al loro signore come a prender parte al miracoloso evento e a salutare la nuova nata. Il personaggio di Ilizia si sdoppia sia per ragione di equilibrio compositivo che per sottolineare la spettacolare drammaticità della nascita: Apollo porta la sua lyra a placare i tormenti e l'attesa e altre divinità assistono doverosamente all'intorno. In definitiva sono queste forse le più complete figurazioni che abbiamo dell'Olimpo e dei suoi abitanti: Z. al centro su un trono, gli altri dèi stanti all'intorno o seduti più umilmente; Atena emerge a volte con la sola testa (Louvre, anfora E 862; Tarquinia n. 626), a volte a metà figura, a volte per intero: a volte avanza una gamba nuda come a superare ostacoli, a volte è ritta e immobile come un Palladio, a volte si lancia furiosa come se già l'attendessero battaglie e nemici da annientare. Altre volte Atena tutt'armata sta sulle ginocchia del padre: e un'anfora di Ginevra ci dà sui due lati i due momenti della storia, la nascita dal cranio e la piccola dea sulle ginocchia del padre, come a fissare la continuità della storia: mentre la coppa o6.1097 del Metropolitan ripete due volte quest'ultima scena sui due lati. La stessa scenografia, l'Olimpo con la sua gerarchia di divinità disposte intorno a Z. seduto in trono al centro, ritorna nelle figurazioni dell'introduzione di Eracle nel mondo supremo di cui si è così duramente guadagnato l'ingresso. Così, come per la scena precedente, edizioni assai notevoli di questa storia si incontrano tra le pitture di vasi del Gruppo E: variano in esse gli atteggiamenti di Eracle ora semplicemente confuso di timidezza e di riverente rispetto, a volte addirittura vinto e volto in fuga come non gli era mai accaduto con gli avversari e con i mostri; mentre Z. è di consueto immobile sul trono e solo in casi estremi la sua benevola protezione è rivelata da un gesto di benvenuto o dal porgere la mano che suggella l'elevazione dell'eroe all'immortalità. In un'anfora del Pittore di Amasis l'introduttore Hermes tocca la barba del re dell'Olimpo come ansioso di conciliarsene la benevolenza. Un'edizione monumentale di questa scena ci è conservata nel frontone dell'Acropoli con la apoteosi di Eracle, databile entro il secondo venticinquennio del VI sec. a. C.
6. - Z. in trono da solo o accompagnato da Hera ritorna in una serie di scene indeterminate, che continuano almeno sino alla fine del secolo e al pieno fiore della ceramica a figure rosse. Generalmente una scrupolosa etichetta presiede all'attribuzione dei seggi. In una monumentale anfora del pittore di Nikoxenos a Monaco, Z. siede su un trono sontuosamente ornato, Posidone in uno un poco più basso e modesto. Anche nei casi in cui possiamo parlare di concilî degli dèi come nel fregio dei Sifnî a Delfi, tutti gli dèi sono seduti su seggi pieghevoli in contrasto all'elaborato trono di Zeus (v. fig. 1143). Soltanto il grande Exekias nell'anfora del Museo Faina in Orvieto si dispensa da questi bizantinismi assegnando a tutti, democraticamente, lo stesso tipo di seggio.
Peraltro le più antiche e più monumentali immagini di Z. in trono, un'aquila roteante alle sue ginocchia, le incontriamo in alcune coppe laconiche che F. Studnitzca ricollega alle monete arcadiche e al tipo di Z. Lykàios. Immagini simili ritornano del resto tra i bronzi di Dodona e del Lykaion. Tuttavia nelle coppe laconiche la stessa rigidezza strutturale della figura sembra esaltarne la quasi inumana maestà. Sempre nelle coppe laconiche Z. ci appare seduto accanto ad Hera e in una coppa di Cassel con dinanzi un piccolo Hermes stante (Ann. Br. Sch. Athens, xxxiv, 1933-34, p. 166 ss.).
7. - La figura di Z. è invece completamente sconosciuta nella ceramica corinzia: mentre s'incontra con notevole frequenza nei pinakes di Pendeskouphia, che sembrerebbero più programmaticamente legati al grande dio dell'Istmo, Posidone. Tra i varî tipi iconografici forniti da questa notevolissima serie di pitture, abbiamo quello di un incontro solenne con il fratello, Z. e Posidone sostanzialmente uguali, che si danno la mano. Nello stesso schema Z. appare confrontato in un pinax incompleto (Ant. Denkmäl., ii, 30, 12) con un personaggio femminile, per modo che sembra inevitabile il collegamento con le figurazioni di hierogamìa così frequenti nel VII sec. a. C. In un altro pinax assai mutilo un personaggio nudo colossale avanza verso destra in atto di combattimento, accompagnato da un piccolo arciere (Ant. Denkm., ii, 29, 9). Le tracce sul fondo, come di lingue di fiamma a vernice diluita, indicano un'estremità della folgore e ci conservano quindi una figurazione inaspettata e senza confronto di uno Z. colossale che combatte contro i Giganti assistito da un minuscolo Eracle. La più singolare delle figurazioni riferibili a Z. nei pinakes corinzî è quella in cui i due divini fratelli ci appaiono sullo stesso carro, le mani di tutti e due occupate dalle redini e assolutamente identici nell'aspetto, chitone candido e mantello rossiccio (Ant. Denkm., ii, 29, 13): al più un sommesso accenno di preferenza per Posidone, che in questo caso è il grande dio locale e quindi il padron di casa, è da vedere nel fatto che Z. è spinto sul fondo e che quindi il fratello in primo piano è più completamente rivelato. In questo pinax, anch'esso incompleto, sarebbe di grande interesse accertare se i cavalli, che dovrebbero esser situati talmente più in basso delle due divinità, si immergono nel mare come il cavallo di un altro pinax (Ant. Denkm., ii, 24, 6).
L'aspetto dominante per l'iconografia di Z. diviene sempre di più quello del cerimoniale, della parata. Così prende parte sul carro al corteo delle divinità che festeggiano le nozze di Peleo e Teti nel cratere di Kleitias e presumibilmente nella figurazione parallela tanto più lacunosa del dèinos di Sophilos. Mentre tra le infinite partenze in carro di una coppia divina, ve ne saranno sicuramente alcune da assegnare a Z. e ad Hera. Il carattere di dignità, di maestà incomparabile di Z. sembra giungere a precludergli qualsiasi azione personale, qualsiasi intervento diretto nei fatti degli uomini e degli eroi. Atena è quasi sempre presente accanto ad Eracle e più tardi accanto a Teseo: Posidone è spesso figurato accanto a quest'ultimo eroe suo figlio prediletto. Z. siede sulle nubi e assiste da lontano agli eventi, la sua parte è di predisporre cause ed effetti senza forzarli con la sua presenza o determinarli con la sua potenza incomparabile. Tra le imprese di Eracle, anche le più spettacolari e perigliose, il suo intervento è attestato regolarmente solo nel combattimento con Kyknos. In questo caso egli scende tra i contendenti a separarli. E in particolare nella notissima oinochòe assegnata a Lydos del museo di Berlino il combattimento avviene con l'intervento di Atena e di altre divinità e la figurazione assume un poco l'aspetto di una Gigantomachia. Questo sia perché è contro i Giganti che troviamo regolarmente impegnati Z., Atena ed Eracle: ma anche perché il pittore ha conservato per Z. la veste eroica, il corto chitone e il mantello a falde arrotondate che è tipico per queste figurazioni di combattimento. E quindi uno dei casi in cui Z. interviene in aspetti identici come influenza decisiva e come combattente.
L'aspetto costante di Z. è invece, a partire dalle coppe laconiche e dal tripode-kòthon del Pittore C. già ricordato, quello di un solenne personaggio seduto, vestito di chitone e himàtion decorati di bordi e a volte dall'apparenza di ricchissime guaine rigide di fitti ricami: nelle coppe laconiche anche le braccia sono sacrificate senza compromessi alla rigida impalcatura della veste ornatissima. È solo verso la fine del VI sec. che incontriamo vesti più schiette e semplici. Se lo splendido torso tardo arcaico di un personaggio dalla chioma ricadente sul dorso, nel Museo Nazionale di Atene, figuri (come propose G. Rodenwaldt) uno Z., questa sarebbe certo la prima immagine monumentale senza chitone, con il manto che traversa obliquamente il limpido torso nudo (Ath. Mitt., 1922, tav. 1).
8. - Meno nobile e meno caratteristico del tipo di Z. seduto dei monumenti attici e laconici è quello ionizzante che lo presenta seduto accanto ad Hera in una serie di terrecotte da Samo e da altri santuarî di Hera che glorificano la coppia divina. A questa tradizione figurata può esser ricondotto il frammento di grande figura barbata, il cosiddetto Colosso barbato dall'Heraion di Samo (E. Buschor, Altsamische Standbilder, 174). Eccezionale e in definitiva allo stato delle nostre conoscenze inspiegata è la figurazione di Z. in trono che minaccia con la folgore, come appare in una misteriosa moneta di Bruxelles e in una metopa dello Heraion del Sele. L'immagine è da ricollegare alla notissima coppa firmata da Phrynos, nel British Museum, in cui la presenza di Efesto con la scure evoca le torture e la furia repressa precedenti alla nascita di Atena. Uno Z. seduto e combattente sembra infatti un nonsenso, una contraddizione in termini. Tanto più ricca di significato appare invece l'immagine di Z. in trono che regge la bilancia delle sorti del combattimento di Achille e Memnone tra le disperate implorazioni delle madri divine, Teti ed Eos. Questo tema che tradizionalmente si faceva risalire a un dramma di Eschilo, la Psychostasia a giudicare dalle figurazioni è di origine assai più antica. Generalmente è Hermes che regge la bilancia delle sorti: nel documento più antico a nostra disposizione, una hydrìa clazomenia da Caere nel Museo di Villa Giulia (fot. Gab. Fot. Naz. E. 26851) è invece proprio la suprema divinità ad effettuare la tremenda operazione del peso delle anime, come a suggerire una concezione che seppure contraddetta espressamente dalle credenze e dalle parole stesse delle divinità in Omero e nei tragici, porta quasi a identificare il misterioso Fato con la volontà della grande divinità che, lontana, dalle cime dei monti, dirige senza interventi tangibili, i fatti umani. Da questa concezione deriva una sorta di sempre maggiore isolamento, di distanza materiale e spirituale quasi invalicabile tra Z. e gli altri esseri viventi divini e umani. Generalmente Z. rimane estraneo alle lotte e ai tormenti degli eroi: come è stato visto anche il suo figlio prediletto Eracle è di consueto rimesso alla protezione costante di Atena. In definitiva la massima divinità rimane meno largamente amata e raffigurata che altre figure minori, come Diòniso o Apollo o Hermes e certo meno di Eracle. In quella sorta di Bibbia delle storie mitiche dell'antichità, l'Arca di Kypselos (v.), la figura di Z. non è menzionata che una sola volta, e questa neppure sotto le proprie sembianze, ma in aspetto di Anfitrione presso Alcmena. Ed è da considerare che l'Arca di Kypselos non soltanto doveva assommare tutte le possibilità narrative dell'arte corinzia, ma in particolare doveva costituire un ex voto nel più grande santuario panellenico di Zeus.
Si ha quindi l'impressione che Z. divenga sempre più un'individualità conchiusa in sè, indipendente e, per così dire a tutto tondo. E le immagini più importanti e più caratteristiche di questa divinità saranno da cercare piuttosto nella grande statuaria, per noi quasi completamente perduta, che nelle figurazioni popolari correnti.
E indubbiamente anche solo la menzione della folla di statue che ancora animava l'Altis ai tempi di Pausania ci consente di misurare la straordinaria varietà e ricchezza della documentazione artistica ispirata da questa figura divina. Alcune di queste immagini sembrano riflettere quella sorta di gigantismo che pervade la plastica greca dell'alto arcaismo al momento della conquista della monumentalità. La più grande era la statua offerta dagli Elei di Eolide, alta ventisette piedi (Paus., v, 24, 6). Ma di non molto inferiore era l'immagine dedicata dagli Spartani opera di Ariston e Telestas - forse lo stesso che ha firmato la notissima hydria di bronzo di Berlino - alta diciotto piedi o il colosso aureo dedicato da Kypselos (Paus., v, 2, 4) o l'altra immagine anch'essa dedicata dagli Spartani dopo la seconda guerra messenica, alta dodici piedi. Così la statua dedicata dai cittadini di Lentini, alta sette cubiti; o quella, anch'essa colossale dedicata dagli Egineti dopo Platea, opera di Anaxagoras di Egina; o quella conservata nel Thesauròs di Cartagine e offerta da Gelone.
Naturalmente, di molte delle immagini di Olimpia mancano o sono estremamente malsicuri non tanto dati cronologici quanto qualsiasi riferimento atto a situarle in qualche modo nel tempo e nello spazio. Ci si limiterà quindi a rilevarne le caratteristiche a prima vista più spiccate. Così di una statua arcaica conservata nello Heraion ci è detto che era barbata e stante, il capo coperto dall'elmo, presso la statua di Hera seduta (Paus., v, 17, 1). Un secondo Z. con folgori nelle due mani come lo Z. Hòrkios del Bouleuterion, che doveva proteggere e vendicare la scrupolosa equità della condotta delle prove sportive, era quello dedicato da Kynaites e che doveva trovarsi presso l'ingresso del santuario (Paus., v, 24, 1; v, 22, 1). Notevoli sono anche le introduzioni della figura di Z. in varî contesti. Così insieme a Pelope e al fiume Alfeo in un ex voto degli Cnidi del Chersoneso (Paus., v, 24, 1) o in una serie di statue apparentemente assai arcaiche in legno di cedro opera dello spartano Dontas conservate nel Thesauròs dei Megaresi, che figuravano la lotta di Eracle con Achebo alla presenza di alcune divinità. Echi di immagini ben note risveglia in noi la menzione di uno Z. che assiste al combattimento di Achille e Memnone tra le madri imploranti, opera di Lykios o quella di un gruppo con Ganimede opera di Aristokles, figlio e scolaro di Kleoitas (v, 24, 5). Per analogia con quest'ultimo mito la presenza di Z. in un gruppo raffigurante Asopos e le sue figlie è stato inteso come uno dei consueti inseguimenti d'amore di cui protagonista o vittima dovrebbe essere la ninfa Egina, figlia del fiume di cui sopra. Ancora nell'Altis è ricordato un simulacro arcaico dedicato dagli Iblei, probabilmente un'immagine primitiva portata dalla Sicilia. A volte nell'arida menzione è agganciato un fatto o una considerazione, che ci aiuta a misurare la varietà, la molteplicità degli aspetti di Z. anche nel solo recinto sacro di Olimpia. Così Z. era raffigurato come giovinetto imberbe dallo scultore argivo Dionysios nel ricchissimo e vario ex voto di Mikytos: ugualmente adolescente doveva essere in un àgalma offerto dagli Elei dell'Asia Minore e una statua anonima con un monile al collo (Paus., v, 24, 1). Piena di suggestione è anche la menzione di una statua di Alessandro come Z. offerta dalla città di Corinto. E questa immagine da riferire al tipo ben noto di Alessandro con l'egida? Ancora più oscure sono poi le notizie intorno a una statua incoronata di gigli, opera di Aristonoos di Egina e offerta dai Metapontini (Paus., v, 22, 5), una statua di Askaros di Tebe, probabilmente della scuola di Sicione, una di Mousos, ex voto di Corinto, una di Phylakos ed Onatas, ex voto dei Megaresi, statue anonime presso il Pelopion e il Bouleuterion o due statue bronzee di Kleon di Sicione e infine la massa indistinta degli Zànes. Era questa una serie di immagini erette con i proventi delle multe in danaro inflitte agli atleti, serie che non deve rimontare oltre il 424 a. C. Tra i più tardi agàlmata di Z. saranno quelli offerti da Mummio, anch'essi ricordati da Pausania, allo stesso modo che le statue votive imperiali.
9. - Nel resto del mondo greco una serie di immagini arcaiche è ricordata, come è naturale, per Argo, che era considerata la città più antica della Grecia. Così uno xòanon di legno di Z. Larisèios nell'acropoli, un àgalma nel tempio di Pelasgo (Paus., ii, 22, 2; ii, 24, 3), oltre al già ricordato Z. Herkèios e Z. Triòpas di aspetto orribile e primitivo. La serie doveva concludersi con la statua marmorea di Z. Meilìchios del grande Policleto e con uno Z. Nemèios opera di Lisippo (Paus., iii, 20, 3). Sparta contava una statua di Z. Tropàiòs e un'altra dedicata da Epimenides. La più insigne per memorie e per antichità peraltro doveva essere l'immagine di Z. Hỳpatos di Klearchos di Reggio, una statua colossale eretta presso il tempio di Atena Chalkìoikos, in lamina di bronzo, lavorata a pezzi e congiunta da chiodi. A Corinto è ricordata una statua di Z. Chthònios che doveva essere assimilato ad Hades. Non diversamente, a Cheronea, Agorakritos aveva eretto una statua di Z. e una di Atena nel tempio di Atena Itònia, che Strabone ci dice connessa con Hades (Strabo, ix, 41 1). Sicione, oltre all'immagine aniconica dello Z. Meilìchios sopra ricordata, possedeva nell'agorà una statua di bronzo di Z. opera di Lisippo (Paus., ii, 9, 6). Aigion possedeva una famosa statua di Z. Pàis di Hageladas, che veniva conservata non in un tempio, ma nella casa del sacerdote. E inoltre uno Z. Sotèr e un santuario e un àgalma di Z. Homagyrios. Tegea poteva vantare uno Z. Tèleios in forma di erma e nel tempio di Atena Alea un rilievo raffigurante l'infanzia del dio (Paus., viii, 48, 6).
In Atene è ricordata un'immagine di Z. arcaica in bronzo nel peribolo dell'Olympieion, uno xòanon di Z. Boulàios la stessa divinità è attestata per Mileto uno Z. Eleuthèrios, e uno Z. Polièus di Leochares. Ancora di Leochares doveva essere una statua di Z. nel Pireo, posta accanto a una statua di Demos. Uno Z. Eleuthèrios esisteva in Platea, e una statua anche più famosa e colossale, dello stesso nome, era stata eretta a Siracusa dopo la cacciata del tiranno Trasibulo nel 463. Un arcaico xòanon esisteva nel tempio di Z. Diktàios in Gortyna (M. Guarducci, Inscr. Cret., 3, ii, 1, 10) e uno xòanon di Z. Hyètios e di Hera nel tempio di Kronos a Lindos (Paus., ix, 39, 4). Di tipo affine doveva essere un immagine arcaica di Z. Kithairònios che doveva riferirsi ad una hierogamìa (Paus., ix, 2, 7). Di una statua di Z. Kàsios, presso Pelusion, Achille Tazio ricorda l'aspetto giovanile e simile a quello di un Apollo. Dello Z. di Theokosmos in Megara è da ritenere che fosse basato sullo Z. Olympios di Fidia. Ci è detto che i grandiosi piani con cui la statua era stata iniziata ebbero ad esser profondamente modificati a causa delle difficoltà finanziarie prodotte dalla guerra del Peloponneso: di conseguenza il corpo della statua era in terracotta e in materiali poveri. Ancora a Megara immagini di Z. erano inserite in un Dodekatheon di Prassitele (Paus., i, 40, 2) e in un gruppo in bronzo con le Muse di Lisippo (Paus., i, 23, 6).
Solo la menzione rimane di una statua di Z. Phìlios di Policleto il giovane o di quella dello scolaro di quest'ultimo, Athenodoros, che figurava a Delfi nel sontuoso donario di Egospotami (Paus., x, 9, 4). Del colossale e famosissimo Z. di Lisippo in Taranto è stata di recente proposta una ricostituzione che è basata su alcune povere statuette bronzee e sullo splendido torso di Saint Louis, già Lansdowne, che in un primo tempo era stato giudicato della metà del V sec. a. C.
10. - In confronto a tanta smagliante varietà di suggestioni raccolte dalla tradizione, tutto quello che è possibile ancorare con sicurezza intorno alla figura di Z. nel campo dei dati monumentali sulla fine dell'arcaismo e durante lo stile severo, appare singolarmente compatto e uniforme. Eccezionale ad esempio è l'aspetto quieto e solennemente monumentale della statuetta bronzea di Olimpia (Atene, n. 6163), stante e avvolta nel manto a terse pieghe oblique in un atto di quieta dignità. L'immagine più frequente e più tipica è quella del dio attaccante, impiantato di tre quarti al fine di sviluppare più compiutamente la sua azione nello spazio e vibrante la folgore in un ampio gesto distaccato. Apparentemente è lo schema di combattimento con cui Z. interveniva nella Gigantomachia o annientava il mostruoso Tifone. È tuttavia impossibile non sentire che la figura del dio è oramai svincolata da qualsiasi adesione a una precisa circostanza di fatto, a un qualsiasi spunto o intenzione narrativi. Il dio rimane così eternamente fissato in un atto di tremenda maestà e potenza che dovrebbe rivelarne la sua più intima natura: quella di punitore della hỳbris e di restitutore dell'ordine e della libertà umana. Il tipo dello Z. folgoratore appare contemporaneamente e in aspetti praticamente identici in varî centri della Grecia a partire dall'ultimo scorcio del VI secolo. Notevolissima la serie di piccoli bronzi di Olimpia, che sembrano procedere da schemi irrigiditi a un abbandono sempre più elastico ed armonioso. Si veda in particolare la statuetta di recente rinvenimento (Dehion, xviii, 1963, tav. 146) così slanciata nelle proporzioni, la piccola testa compatta come opposta all'ampio, fluente gesto della braccia aperte e delle lunghe gambe divaricate. Non meno notevoli d'altra parte gli esempi della Grecia settentrionale, in particolare la serie di Dodona, tra cui spiccano il famosissimo bronzetto del museo di Berlino di fabbrica argiva o lo Z. recentemente rinvenuto, dalla chioma calamistrata. Apparentemente il più antico della serie sembra la statuetta di Ambracia, indurita peraltro da una sorta di aridità provinciale, mentre quella di Princeton, già alle soglie della classicità, sembra compromesso tra l'idea di una fulminea azione enunciata dal tema e le preoccupazioni di ordine strutturale e di più sapiente ed elaborata impostazione nello spazio. Di questo tipo era anche la famosa statua di Hageladas, lo Z. Ithomàtas, di cui schematiche immagini presumiamo di conoscere dalle monete. E anche se la maggioranza delle opinioni degli studiosi convergono sulla identificazione di un Posidone, il punto di arrivo normale di tutte queste esperienze sembra di poter riconoscere nella superba statua bronzea dell'Artemision (v. vol. iii, figg. 1313-14). In favore di uno Z. folgoratore, in luogo di Posidone, potremmo eventualmente chiamare in causa la serie delle monete di Elide e il numero travolgente di statuette in bronzo di Olimpia e di Dodona, contro il nuovo documento, importantissimo ma unico, del Posidone di Ugento nel museo di Taranto.
Un'altra inattesa, sensazionale immagine di Z. attestata nel santuario di Olimpia è quella di un gruppo fittile del dio rapitore di Ganimede (v. vol. iii, fig. 976). In verità di gruppo si può appena parlare perché si tratta dell'unica grande figura ammantata di Z. che passa dinanzi a noi portando stretto sotto il braccio sinistro il tenero corpo del fanciullo, una piccola preda timida e confusa, commovente nella semplicità attonita delle sue reazioni. Questa immagine, eccezionale per noi nel campo della grande plastica, rientra peraltro in schemi estremamente amati e ripetuti a partire dalla fine del VI e in tutta la prima parte del V sec. a. C., quelli degli inseguimenti d'amore. È un atteggiamento spirituale che pervade l'arte figurativa, prevalentemente attica, per almeno un mezzo secolo e di cui sarebbe assai interessante stabilire l'origine: forse il dilagare, sulla maggior parte degli dèi e degli eroi, di uno spunto narrativo peculiare a uno di essi. Questo potrebbe esser la storia di Peleo e Teti, che comporta un inseguimento e una lotta: o la tentata conquista delle spose divine da parte di Teseo e Piritoo. Tuttavia, a un certo punto divinità ed eroi prendono parte a questa caccia. Ed è indubbio che Z. ha una parte preponderante in questi drammi galanti, in questo fluttuare continuo di giovani donne in fuga e di giovinetti spauriti. Anche questa figurazione, come quella del dio folgoratore, ci conferma questa concezione decisamente vivida ed estroversa della personalità di Zeus. In realtà i due temi figurativi non sono da separare, sia per la similarità stessa dello spirito combattivo che li determina, sia perché a volte lo schema è sostanzialmente identico. Alcuni hanno voluto pensare che Z. che insegue una donna, armato della folgore, possa suggerire la storia di Semele, e A. C. Cook intende la figurazione come un'allusione all'eutanasia. In realtà non sembra di poter sovrapporre al tema dell'inseguimento d'amore quello della folgorazione che è proprio unicamente di Semele. Nello spirito dell'artista figurativo domina unicamente il principio che Z., anche nell'impulso di una conquista d'amore, rimane sempre accompagnato dai suoi simboli di potenza e di terribilità. Si può dire che il suo modo di affrontare i nemici o un'avventura d'amore, non differiscono sensibilmente.
Nella ceramografia attica, che rimane nostra fonte principale per questi temi, alla donna inseguita è dato il nome di Egina, la ninfa figlia del fiume Asopo: o diversamente rimane anonima. Una sola volta è indicata Io dalle brevi corna alle tempie, in una pelìke del museo di Napoli un tempo della Collezione Spinelli, che appunto ha servito di punto di partenza a ricostruire la personalità di un Pittore di Io. In tre o quattro casi la fanciulla inseguita è caratterizzata come una nereide, e di conseguenza è incerto stabilire se si tratti di una confusione con storie di Peleo o di un'allusione, nei termini correnti dell'inseguimento, alle misteriose premesse di un amore negato dal Fato tra Z. e Teti. Z. ci appare indifferentemente nudo, vestito di breve tunica, in lungo chitone e mantello, una stretta dama sulle spalle; vale a dire in costume non diverso da quello che adotta nei combattimenti contro i Giganti. Si veda in particolare l'anfora nolana Louvre G. 204, assegnata al Pittore di Berlino, in cui Z. combatte contro un Gigante con la folgore e l'aquila sulla mano protesa, vestito di un elaboratissimo chitone, squisita composizione di pieghe appuntite e lobi arrotondati in un sistema continuo che percorre la veste e la ricaduta sul petto. Tra questi temi di inseguimento sarebbe possibile ricordare decine di esempi che sono da considerare tra le più vivide e intensamente poetiche immagini di Z. che il mondo antico ci abbia conservato. Si pensi alla hydrìa del Pittore di Berlino nella Bibliothèque Nationale n. 439 in cui il dramma si imposta vivido e intenso nel gesto imperioso di Z. dal nitido torso nudo come inquadrato dalle ali della clamide a lembi appuntiti. O l'esaltato, furioso gesticolare della hydrìa di Palermo, la folgore levata in alto sui capo come nell'esasperata esaltazione di una selvaggia danza rituale piuttosto che in reale minaccia. O nelle storie di Ganimede, l'austero Z. in mantello come un agonothètes opposto al giovinetto biondo e modesto che spinge il cerchio nel cratere a campana del Pittore di Berlino nella Bibliothèque Nationale, oppure il gesto che ghermisce, come nel cratere a colonnette del Pittore di Harrow a Napoli, dove il galletto cade a terra dalle mani del fanciullo sorpreso e afferrato.
E il Pittore di Pentesilea che tante volte ha ripetuto con vivida efficacia il gruppo di Z. ed Egina, trova suggestioni nuove nella grande coppa di Spina con Ganimede (v. vol. vi, fig. 29). L'ampio spazio del tondo interno s'articola in un nodo di membra scattanti, nitide e inesorabili come molle d'acciaio in una conquista che ha l'immediatezza e l'ineluttabilità di una folgorazione. Una suggestione di silenzio notturno, di misteriosa tenerezza, domina invece nella notissima coppa di Douris (Louvre G. 123) in cui Z. sembra trascorrere dinanzi a noi con passi felpati, una piccola figura velata sollevata tra le braccia con gli occhi chiusi come se addormentata o sopraffatta dall'estasi. Non sapremmo dire se si tratti di una fanciulla o di un giovinetto: ma anche questo sembra indifferente dinanzi alla quieta suggestione di questa possessione divina. Persino il quieto, supremo appello della famosissima hierogamìa nella metopa di Selinunte sembra scadere di intensità: il comando di un sultano contro l'impulso irresistibile e le tenerezze di un'amante.
Solo in seguito, a partire dal IV sec., Z. diventerà aquila nel ratto di Ganimede e di Talia, cigno per Nemesi e per Leda. Mentre già dal VII sec. egli è un torello perché evidentemente a Creta, dove egli porterà Europa, il culto del toro ha radici profonde e penetranti. Non sarà quindi pura coincidenza che una delle rare immagini scultoree di Europa sul toro, la statuetta del British Museum n.1535 provenga da Gortina. Nella splendida coppa a fondo bianco con Europa del museo di Monaco n. 2686, il nome ΖΕVΣ è chiaramente iscritto al di sopra del fulvo torello. In altri casi, come nell'anfora dell'Ermitage del Pittore dell'anfora di Monaco, si ha quasi l'impressione di un curioso sdoppiamento tra il dio e il torello, come se il ratto venisse operato per interposta persona allo stesso modo che nei rilievi di Locri, in cui a volte uno dei Dioscuri agisce come l'inviato di Hades. Nel caso nostro il dio torello trasporta la principessa sul mare e il dio in forma umana l'accoglie allo sbarco.
11. - Perdurano inoltre per gran parte del V sec. le tradizionali figurazioni di cui abbiamo trattato avanti, seppure con notevoli svolte e modifiche. Continuano le figurazioni di concili degli dèi, seppure, forse a ragione delle pareti basse di una coppa, con maggior spirito di democrazia tra i personaggi divini seduti. Si veda la notissima coppa di Oltos a Tarquinia, la coppa di Sosias a Berlino con l'introduzione di Eracle nell'Olimpo. Continuano le Gigantomachie, in cui peraltro la parte di Z. appare sempre più attenuata. È Posidone che ha oramai conquistato la fantasia dei pittori e grazie al lancio dell'isola di Nisiro si è guadagnato la posizione centrale. Così nella coppa del Pittore della Gigantomachia (Bibliothèque Nationale n. 573) Posidone figura due volte, da protagonista nel tondo interno e in un lato, mentre Z. fa una sola apparizione: e ugualmente nelle coppe di Aristophanes a Boston è sempre Posidone che si riserva la figurazione principale dei tondi interni. Per la prima volta nella seconda decade del V sec. ci appare il tema di Z. che affida alle ninfe il piccolo Dioniso: una monumentale figura stante nella hydrìa n. 440 della Bibliothèque Nationale attribuita al Pittore di Syleus. Allo stesso contesto è indubbiamente da riportare la figurazione di un'anfora a figure nere del Louvre, che ci dà Z. seduto con un fanciullo in grembo che ha accanto il suggestivo nome di Diosphos (v. diosphos, pittore di). Non frequenti sono anche le figurazioni della nascita di Dion so nei termini consueti: un buon esempio se ne ha nella lèkythos di Boston (n. 95.39) del Pittore di Aikimachos, in cui Z. estrae dalla sua coscia il bambino per consegnano ad Hermes e lo splendido cratere tarantino appunto del Pittore della nascita di Dioniso. Un tardo rilievo dei Conservatori introduce una fanciulla alata, forse Iris, a bendare la coscia di Zeus. A differenza degli altri dèi, raramente Z. ci appare stante e facente una libagione, come nella splendida anfora del Pittore di Diogenes nell'Ermitage. Mentre una figurazione più volte ripetuta nella prima metà del V sec. e che in seguito scompare, è quella di Z. ed Hera, seduti l'uno di fronte all'altro con Iris ritta tra i due, che versa nettare nelle due phiàlai protese. Forse non a torto E. Simon vede in questa figurazione così rigorosamente costruita, una sorta di trasposizione dell'antico motivo della hierogamìa, un solenne rituale che riunisce le due grandi divinità e le isola da tutti gli altri, dèi e mortali.
Se eccezionalmente adopera la folgore, nelle sue conquiste d'amore Z. ha con sé di regola il lungo scettro. E a volte, come è stato detto sopra, si ha l'impressione che i due schemi della Gigantomachia e dell'inseguimento, in definitiva così simili, siano stati scambiati. Così in un cratere a calice del Pittore di Copenaghen a Bonn (n. 71) Z. opposto a un gigante, regge lo scettro abbassato come un'asta e la folgore nella mano sinistra come se inseguisse una donna.
12. - Nel V sec. tende a scomparire la figurazione della nascita di Atena. Una delle più note e sontuose edizioni sopravissute, quella appunto del Pittore della nascita di Atena nel British Museum (v. vol. v, fig. 475), anche se riesce a trasporre il miracolo in aspetti più umani e accettabili, rimane isolata. Evidentemente il meccanicismo assurdo dell'avvenimento non si addiceva alla logica, matura mentalità dell'età classica. E quando Fidia ebbe a figurare tale episodio nel frontone E del Partenone, scelse di rappresentare la dea già adulta e indipendente, anche se di fresco sgorgata dal cranio paterno.
A partire dalla metà del V sec., in conformità a nuovi indirizzi generali dell'espressioni artistiche, tutti gli aspetti di violenza sembrano attenuarsi o trasformarsi. Anche gli inseguimenti d'amore divengono una sorta di lenta danza manierata, svuotati di ogni vividezza d'impegno. Si veda in particolare un curioso esempio dovuto allo stesso Pittore della nascita di Atena, che anche in questo caso si mostra almeno esteriormente, attaccato alle tradizioni della generazione precedente. In uno stàmnos e una pelìke rinvenuti nella stessa tomba di Caere - i n. 20.844 e 20.846 del Museo di Villa Giulia - il pittore ripete in tono stanco e manierato i due episodi paralleli di Z. inseguente una donna; presumibilmente Egina, e Posidone che afferra Amymone. Il dramma risulta svuotato di qualsiasi intensità, sia per il languore dei protagonisti che per l'oppressiva presenza di assistenti tutt'intorno. Ma il fatto più singolare è che nella quasi assoluta identità degli schemi e delle figure - praticamente le uniche differenze sono il tridente di Posidone contro lo scettro di Z. e l'hydrìa di Amymone - il pittore ha sempre ripetuto i nomi Posidone Amymone come a confermare il confluire delle due tradizioni mitiche parallele e di due figure divine così affini.
Ugualmente a partire dalla metà del V sec. incontreremo sempre più Z., non già in funzione di protagonista attivo di una vicenda, ma di remoto ordinatore di eventi e di situazioni. Così il dio è raffigurato dominatore e invisibile nel frontone orientale di Olimpia, immoto sul dramma tormentoso degli eroi. E seppure in maniera assai meno angosciosa, tali sono i suoi interventi in un'estrema varietà di vicende mitiche. Così lo vediamo assiso in trono assistente alla nascita di Afrodite nella pisside da Numana del Pittore di Pentesilea, alla nascita di Erittonio, all'adornamento di Pandora (cratere a volute del Pittore dei Niobidi nel British Museum). Così, assiso sotto una palma, assiste all'uccisione di Argo da parte di Hermes nello stàmnos di Vienna che ha dato il nome appunto al Pittore di Argos come a far sentire l'immediatezza del suo volere, che si traduce in azione attraverso agenti subordinati. Non dissimile il senso che la figura di Z. assume nel noto cratere a calice del Pittore di Lykaon nel museo di Boston con la punizione di Atteone. Z. sta dilato, un piede appoggiato in alto su una roccia nel consueto schema di attesa, mentre Artemide e Lyssa avventano i cani contro il condannato. Evidentemente Z. non assiste semplicemente alla punizione di un atto di hỳbris, ma suggella con la sua presenza l'annientamento di colui che in uno strato anteriore del mito offese con il suo amore Semele. Artemide e Lyssa sono quindi lo strumento vistoso e momentaneo di un lungimirante disegno punitivo.
13. - Tutto quello che sappiamo dai dati letterari ci mostra senza possibilità di dubbio come la creazione dello Z. Olỳmpios di Fidia abbia rappresentato una svolta senza comparazioni non solo per quanto riguarda la concezione di Z., ma per il modo stesso di presentare un'immagine di divinità. Tutto questo non è dato in alcun modo di misurare. Noi possediamo frammenti delle forme di terracotta che dovevano servire forse alla modellazione della veste laminata d'oro del dio: possediamo copie del fregio con la morte dei Niobidi che doveva ornare i lati del trono. Tuttavia la grande immagine con il suo segreto di suprema maestà e serenità ci sfugge completamente. Sappiamo che degli echi debbono trovarsi nelle monete, che con ogni probabilità le immagini di Z. di molti Olympieia, da quello di Atene a quello insediato temporaneamente da Antioco Epiphànes nel tempio di Gerusalemme, dovevano esser basati sulla creazione di Fidia. Ma la colossale testa del simulacro di Z. nell'Olympieion di Cirene (v. vol. ii, fig. 917) per quanto possegga un'eco di quelli che possiamo definire caratteri fidiaci, è irriducibile alla testa delle monete adrianee di Elide. Ed è poco rassicurante che E. Langlotz scelga come il più conveniente torso seduto, a noi giunto in copie, quello di una statuetta dei Museo delle Terme che, per la sua provenienza dal santuario degli dèi orientali sul Gianicolo doveva con ogni probabilità figurare Hades.
Queste ambiguità, queste incertezze pesano gravemente sul compito di scegliere tra le più significative immagini di Z. le immagini monche e senza attributi che incontriamo generalmente nel mondo delle repliche romane. Ne fa fede una trattazione come quella di L. Curtius, Zeus und Hermes, Monaco 1931, dalla quale si rivela come sia arduo distinguere immagini di divinità così singolarmente affini. Una certa uniformità di opinioni sembra di aver raggiunto ad esempio a proposito di una nobilissima testa del cosiddetto Zeus mironiano, noto attraverso una serie di repliche e a cui è stato tentativamente assegnato il potente torso nudo, Museo delle Terme n. 24. Tuttavia non è possibile decidere con sicurezza se immagini come la testa Correale a Venezia, alla quale C. Karouzos ha collegato il nome di Euphron di Paro, o l'erma di Romavecchia, rappresentino Hermes o Dioniso o Zeus. H. Brunn, aveva tentato nei suoi Götterideale di fissare delle linee di demarcazione consistenti nel carattere delle divinità rappresentate. Ma in realtà le confluenze esistevano anche nel mondo antico e i risultati dei nostri tentativi di riconoscimento e di attribuzione non sono confortanti. Ad esempio, per giustificare certo gusto ancora della prima classicità nel drappeggio e nella struttura dell'Asklepios Campana, A. Furtwängler aveva proposto di riconoscervi un tipo di Z. che più tardi, nel momento del grande fervore del più recente culto di Asklepios, sarebbe stato adattato per questa divinità. Allo stesso modo, nonostante che sia ancorato solidamente nel terzo venticinquennio del V sec., e che una notevolissima replica sia in Olimpia, alcune voci hanno proposto di riconoscere Asklepios nel fidiaco Z. di Dresda. E anche applicando i criteri del Brunn, riservando a Posidone i volti più turbati e le chiome più agitate e ad Asklepios le espressioni più umili e familiari, si può dire che solo l'associazione con ex voto salutari ha indotto a proporre il nome di Asklepios per la grande testa di Milo nel British Museum.
Ad esempio, il tipo più noto di Z. Aigìochos ci è rappresentato da una statua acefala ora in Adolfseck, che è stata giudicata mironiana a cui fa seguito una serie di edizioni intermedie sino allo Z. di Cirene di tipica impronta ellenistica (v. E. Paribeni, Museo di Cirene, n. 165).
Un altro tipo di Z. mironiano è stato indicato in una serie di statuette bronzee - Z. Firenze, Goethe - e di torsi marmorei di varie dimensioni, anche colossali come quello del Teatro di Marcello. Altri presumibili tipi di Z. sono rappresentati dal cosiddetto Re, della Gliptoteca di Monaco, o dalla testa giudicata da L. Curtius prossima all'Apollo di Cassel un tempo nel mercato antiquario romano (Antike Kunst, p. 264).
14. - Il IV sec. vede incertezze ancora maggiori nelle identificazioni e in definitiva un deciso decadere dell'interesse per la massima divinità dell'Olimpo. Si ha l'impressione di esser giunti nel regno di Diòniso e di Afrodite e del loro corteggio. Accanto alle infinite serie di rilievi votivi ad Atena, alle dee di Eleusi, ad Asklepios, Z. ha ben poco da offrire. Un nobile ma isolato rilievo da Gortina, nel Louvre, che la provenienza induce a ricollegare con Z. e una serie abbastanza scolorita di ex voto a quelle divinità, che solo in parte rientrano nel carattere di Z., quali Z. Meilìchios e Z. Phìlios. Il primo viene considerato una divinità minore della casa e viene spesso ritratto in aspetto di serpente. Oltre alla già ricordata immagine statuaria di Policleto in Argo, una serie di rilievi recentemente scoperti da un santuario presso l'Ilisso, ce lo rivela come una quieta, incolore figura seduta, a volte provvista del corno di abbondanza. Lo stesso simbolo porta Z. Phìlios in un rilievo di Ny Carlsberg: altre volte la stessa divinità è figurata adagiata a banchetto nel consueto schema del nekrodèipnon. Aspetto lievemente confidenziale quest'ultimo, che troviamo impiegato per Z. solo nella solenne coppa col banchetto degli dèi del Pittore di Kodros nel British Museum. Uno Z. Epitéleios in un rilievo del Pireo è anche figurato in un nekrodèipnon (Svoronos, n. 532). In forma di serpe è anche uno Z. Ktèsios che figura in un rilievo da Tespi (J. Harrison, Themis, p. 29).
Non rassicuranti ci appaiono la maggior parte dei tipi statuari e dei volti di Z. che assegnamo al IV sec. e all'ellenismo. Questo è dovuto in gran parte al fatto che in luogo di consistenti serie di repliche, si hanno generalmente dei documenti isolati, oppure tali che attestano un continuo stato di transizione, di continua mutevolezza nelle elaborazioni. Non si dimentichi, infatti, che i tipi di Z. in trono sono quelli che sono stati costantemente impiegati per figure imperiali: di qui forse la costante rielaborazione del motivo fondamentale. Tipi statuarî dell'ordine dello Z. Verospi seduto in trono, o dello Z. di Solunto nel museo di Palermo rappresentano abbastanza compiutamente questa fase. Mentre volti di trasfigurata dolcezza, gli occhi affondati e umidi sotto l'oscura chioma ricadente dell'ordine dello Z. di Otricòli (v. vol. ii, fig. 296) sembrano introdurre una nuova sensibilità introspettiva e un poco languente. G. Becatti ha proposto di riconoscere tipi del Dodekatheon di Prassitele in un altare cilindrico di Ostia, dove peraltro la scarsa caratterizzazione di Z. seduto non permette davvero di avvicinare la creazione di uno dei trasformatori della scultura greca. Oscillante tra certa gonfia magniloquenza barocca e un raggelato accademismo, ci appare il grande acròlito di Egira, opera di Eukleides. Isolato e in definitiva non tranquillizzante il tipo di Z. Brontòn del noto rilievo Doria, adolescente seduto con la lyra in un atteggiamento che ricorda la statuetta bronzea dell'Ermitage in cui è stato riconosciuto l'Orfeo di Dionysios d'Argo.
Una vigorosa eco dello Z. tremendo e irresistibile combattente ci appare a Pergamo: non solo nell'ara, ma in una statua acefala da Pergamo ora al museo di Berlino (Pergamon, vii, n. 112) che è da ritenersi una delle più vivide e consistenti immagini di questa tendenza. A questa si potrebbe associare, almeno nello spirito, la splendida testa da Troia del museo di Istanbul n. 580, nella cui intensa, appassionata vitalità sembra di trovare un'eco del volto di Alessandro.
15. - Non molta fortuna si direbbe che Z. abbia avuto anche tra i pittori che nel IV sec. fanno intendere potentemente la loro voce. Plinio ricorda una figura di Z. seduto in un'assemblea degli dèi dovuta a Zeuxis (Nat. hist., xxxv, 63) e un Dodekatheon di Euphranor nella Stoà Basileios. Mentre il nuovo atteggiamento di satira irriverente e irreligiosa sembra illustrato da un dipinto di Ktesilochos, scolaro di Apelle, che raffigurava il grande padre degli dèi mentre dava alla luce il piccolo Dioniso: a quanto ricorda Plinio (Nat. hist., xxxviii, 140) le lacrime del partoriente dovevano sottolineare l'assurda irrazionalità delle antiche storie mitiche. A tendenze simili si ricollegano le figurazioni violentemente grottesche dei vasi fliacici (v.), nelle quali Z. appare sempre come un ridicolo vecchietto, sia che si accosti con una scala alla finestra della casta sposa di Anfitrione, o goffamente ubriaco in un cratere di Madrid (n. 11026).
Tuttavia nella pittura italiota, specialmente nei grandi crateri a volute tarantini, l'immagine di Z. ritorna costantemente, seppure distaccata e lontana, in ogni genere di figurazioni. Anche nelle Gigantomachie gli interventi della divinità sono sempre meno attivi: in generale si limita a planare sulla battaglia nel carro di Nike, come ad anticipare l'inevitabile trionfo. Assai più spesso assiste, seduto sulle nuvole, a una quantità di scene cerimoniali o tragiche con le quali non ha che assai scarse connessioni. Così contempla dall'alto, benevolo e indifferente, la missione di Trittolemo (Vaticano, cratere a volute Poniatowski: A. D. Trendall, Vasi a fig. rosse, Città del Vaticano 1953, p. 189, tav. li), il giudizio di Paride, la sconfitta di Marsia, la morte di Archemoros, la punizione di Issione. In verità nella spaziosa sceneggiatura dei crateri tarantini, la figura seduta del padre degli dèi diviene una citazione costante al pari di tante altre che inquadrano o tentano di aiutare a localizzare la scena. Le ultime figurazioni di Z. possono dirsi quelle che appaiono nei Dodekathea di vario tipo che hanno tanto favore in età ellenistico-romana. Z. appare seduto e d'impianto barocco nel Dodekatheon dal Ceramico nel museo di Atene (Svoronos, n. 1631). Più spesso la scena è resa in modi arcaicizzanti, e conseguentemente Z. prende parte in quelle stanche, indifferenti processioni di divinità che avanzano senza scopo, nel nulla (v. arcaistico, stile).
16. - Non diversamente da quanto accade per altre divinità, occasionalmente la folgore, l'arma abituale consacrata del dio, può essere impiegata a rappresentarlo. Nel caso di Z. ciò avviene con una certa consistenza sulle monete, dove il simbolo comunemente serve a riassumere complessi concetti. Vi sono casi, peraltro, in cui la folgore assume un vero senso della presenza del dio. Nel noto rilievo di Mantova della serie del cosiddetto Trono di Posidone, una folgore riposa su un trono vuoto (v. trono). E anche in contesti narrativi, come in un'anfora a figure nere di Toledo, la folgore interviene a separare Eracle e Kyknos. Più vivida ancora, in un cratere a campana pestano, tra Alcmena dolente sul rogo e il vendicativo Anfitrione, si interpone una folgore a confusione dell'ingiusta accusa e a protezione degli innocenti (v. vol. vi, fig. 671).
Zeus Àmmon. - La presenza di una statuina bronzea di Ammon Rē῾ nella stipe dell'antro Dicteo (Ann. Brit. Sch. Athens, vi, 107) è da ritenersi puramente occasionale, allo stesso modo di tanti piccoli monumenti egizi o assiri proventi da Samo o altri famosi santuari ellenici. La creazione di questa divinità composita si dovrà certo alle città elleniche al margine dell'Egitto: ed è indubbio che la consacrazione ufficiale e la scelta a dio supremo di Z. Àmmon si deve a Cirene. Forse il documento figurato più antico è da ritenere la statuetta seduta da Cipro (A. B. Cook, i, tav. xxvi, 1), mentre incomparabile per nobiltà è la serie delle teste barbate del dio, quale appare sulle monete cirenaiche a partire dall'età severa.
La dedica di un àgalma di Z. Àmmon nel tempio di Tebe, dedica a cui sono legati i grandi nomi di Kalamis come scultore e di Pindaro come dedicante (Paus., ix, 16, 1), attesta la notevole diffusione di questo culto anche nella Grecia continentale. Il tipo di Z. Àmmon non presenta differenze apprezzabili da quello di Z. al di fuori delle grandi corna di ariete che si attorcono ai lati del capo. Tre tipi di Z. Àmmon della metà del V sec. sono giunti a noi in una serie di repliche (Berlino, K. 208, Chiaramonti, n. 144, Napoli, Jahrb., 1926, p. 257). Da Cirene stessa è stata ricuperata una testa dello Z. fidiaco di Dresda con l'aggiunta delle corna di Àmmon (E. Paribeni, Museo di Cirene, n. 183). Dai dati a nostra disposizione si direbbe che l'immagine costante di Z. Àmmon fosse non già una statua, ma un'erma. Anche un tardo rilievo votivo da Samo (E. Thiemann, Hellenistische Vatergottheiten, Münster 1959, fig. 4) ci mostra Z. Àmmon in forma di erma sino ai fianchi, di un tipo non dissimile da quello del cosiddetto Z. Talleyrand.
Un velenoso esempio di satira ci mostra in un cratere fliacico di Bari, Z. Àmmon seduto nel suo santuario oracolare come un vecchietto malvissuto, una sorta di indovino da fiera, che stringe in mano per il collo un povero uccello mezzo strangolato.
Zeus Labrandeùs. - Divinità della Caria e della Lidia. Un nome alternativo è anche Z. Stràtios. Nelle monete di Mylasa ci appare imberbe e a cavallo, reggente la doppia ascia, che è il suo contrassegno particolare. Altre volte appare come una sorta di idolo stretto in una sorta di guaina che imprigiona il corpo e con il petto coperto di pesanti bulle. Questa immagine corrente nelle serie monetarie, appare nel curioso rilievo da Tegea dominante al centro tra le figure dei dinasti cari Idrieus ed Ada (v. idrieus). Una grande immagine di culto di Z. Stràtios in Nicomedia, opera di un Dedalo, è ricordata da Arriano (Eusth., Comm., v, 793). Recenti scavi a Labraunda non hanno restituito alcun documento figurato riferibile alla divinità. In definitiva la più illustre immagine dello Z. di Labraunda può esser considerata la bella testa da Mylasa del museo di Boston, la più vicina alla testa dello Z. di Olimpia come riportata dalle monete adrianee di Elide.
È legittima assunzione ricollegare con il dio di Labraunda il guerriero subgeometrico che combatte contro un Centauro, in frammenti di pìthoi da Rodi e dalla Caria.
Bibl.: J. Overbeck, Kunstmythologie, Lipsia, I, 1871, p. 3 ss.; O. Waser, in Roscher, VI, 1924-37, c. 564 ss., s. v.; L. R. Farnell, The cult of the greek States, Oxford 1896, I, p. 35 ss.; A. B. Cook, Zeus, Cambridge 1914-40; E. Buschor, in Amer. Journ. Arch., XXXVIII, 1934, p. 129 ss.; E. Kunze, Zeus und Ganymed, in 100°. Winckelmannspr., Berlino 1940; id., in Olympia Berichte, IV, 1940-44, p. 123 ss.; id., Archaische Schildbänder, Berlino 1950, passim; F. Vian, Répertoire des gigantomachies, Parigi 1951; M. Nilsson, Geschichte der Griechischen Religion, Monaco 1955, p. 389 ss.; E. Simon, Opfernde Götter, Berlino 1953; H. Sichtermann, Ganymed, in Antike Kunst, II, 1959, p. 10 ss.; E. Thiemann, Hellenistische Vatergottheiten, Monaco 1959; W. Schwabacher, in Antike Kunst, V, 1962, p. 9 ss.; J. Dorig, in Jahrbuch, LXXIX, 1964, p. 256.