Zhu Xi
Filosofo cinese (n. Youqi 1130 - m. 1200). È considerato il maggiore esponente della tradizione confuciana d’epoca Song (secc. 10°-13°). Sin da ragazzo dette prova di profonda arguzia e sottigliezza d’ingegno; ebbe come mentori tre amici del padre, Zhu Song (1097-1143), prematuramente scomparso. Nonostante ciò gli fu assicurata una solida educazione, sì da poter conseguire in età giovanissima, nel 1148, il titolo di dottore (jinshi). Fu discepolo di Li Tong (1093-1163), riverito come virtuoso maestro confuciano, che sicuramente lo distolse dagli interessi per le dottrine buddiste, orientandolo definitivamente verso gli insegnamenti di Confucio. Ottenne varie cariche ufficiali nell’amministrazione dello Stato, esercitandole sempre per brevi periodi; nel corso di tali incarichi tentò invano, sia con memoriali indirizzati all’imperatore sia in alcune udienze a corte, di promuovere iniziative volte soprattutto a riformare la vita politica e morale della società cinese. Raggiunse risultati migliori insegnando la sua dottrina a un variegato stuolo di discepoli e dibattendone i fondamenti con i più rinomati eruditi dell’epoca; inoltre, non mancò di riservare molto del suo tempo alla composizione di numerosissimi scritti di filosofia, storia, religione, letteratura, ecc. Seguendo le suggestioni di Zheng Yi, Z.X. si persuase che v’è uno stato o una condizione della mente (xin) di assoluta quiete e inazione, dove si avverte l’assenza di pensiero, di qualsivoglia atto di volontà, l’imperturbabilità nel movimento tumultuoso delle sollecitazioni empiriche e di ogni disposizione emotiva. Tale stato è l’essenza o la sostanza stessa della mente; è il ricettacolo purissimo di quella natura (xing) avuta in dono dal Cielo ed è pertanto una condizione di assoluto equilibrio (zhong). E proprio grazie a tale stato, la mente, quand’anche dovesse agire, penetrando ogni cosa e mettendo in moto qualsiasi sentimento (qing), si rivelerà sempre misurata, retta, in perfetta armonia (he). La mente così intesa è quindi la vera stella, il saggio maestro del corpo umano, al punto da guidarne l’azione percettiva e ogni altro moto. Se la mente è nel corpo e perciò immanente, la natura umana, dono del Cielo, è invece l’impronta della trascendenza. Fra l’una e l’altra non v’è contrapposizione alcuna: anzi, la natura è il fondamento dell’azione della mente e la mente rappresenta il modo in cui i principi (li) agiscono nella natura dell’uomo e quindi nell’esistenza quotidiana. La creazione delle cose è, in partic., l’azione della mente del Cielo e della Terra, sicché creato anche l’uomo, questi riceve come mente proprio quella del Cielo e della Terra. In tal modo Z.X. afferma la trascendenza della natura umana, corroborata da una sistematica metafisica del li («principio») e del qi («energia o forza materiale»). Muovendo dall’idea di taiji («supremo estremo») secondo la concezione di Zhou Dunyi (➔), e da quella di li, così centrale ed esaustivamente sviluppata nella dottrina dei fratelli Cheng (➔), Z.X. considerò il supremo estremo come privo di forma e pieno soltanto di li, tanto che da esso si origina ogni sorta di li. Questo supremo estremo è tutto il cosmo; lo stesso principio appare, si rivela nella moltitudine delle cose del mondo e pertanto in ogni essere umano, proprio come il chiarore della Luna, così unico ma assai differenziato nel suo fluire. Nella creazione del mondo i principi necessitano di incarnarsi, e ciò si compie grazie al qi. Se il principio dà ragione della realtà e universalità delle cose, pur restando uno, incorporeo, eterno, immutabile, il qi a sua volta rende plausibile la singolarità e il mutamento delle cose, pur conservandosi molteplice, corporeo, transitorio, mutevole. Non si tratta di una dottrina assimilabile alle differenti espressioni del dualismo della tradizione occidentale, sia platonico sia cartesiano, giacché li e qi sono intimamente inscindibili, ossia il principio necessita del qi affinché possa inerire a qualcosa e il qi del principio, come della propria essenza o sostanza. Si intende allora perché la natura dell’uomo (xing) sia proprio questo li, la varietà e molteplicità della sua vita emotiva o dei suoi sentimenti (qing) siano tale qi, mentre, d’altra parte, la sua mente (xin) sia il qi più sottile, il solo che possa assicurare e mantenere permanentemente il legame, l’unione con il li. Il rigore speculativo di Z.X. emerge con pienezza nell’intenso studio ermeneutico dei Sishu (➔, «Quattro libri»), durato un’intera vita e culminato solo in parte nella pubblicazione di una loro edizione (1190), accuratamente e riccamente commentata. Nel corso dei secoli successivi a Z.X. fu riconosciuto il rango di grande filosofo, sebbene non mancassero accesi critici della sua dottrina, e la sua memoria fu oggetto di diffusa venerazione sin dal 1241, quando fu decretato di apporre la sua tavoletta funeraria nel tempio di Confucio.