ZILIOLI, Ziliolo
ZILIOLI, Ziliolo. – Nacque nel XV secolo (non si conosce l’anno preciso), primo dei sette figli di Giacomo, letterato e segretario del marchese di Ferrara Niccolò III. Resta, invece, ignota l’identità della madre.
Si addottorò in giurisprudenza nel 1427. Frequentò a lungo l’umanista Guarino Guarini, che fu convinto a lasciare Verona e a servire gli Este proprio da Giacomo Zilioli (1429). I rapporti tra Guarino e la famiglia Zilioli, iniziati sicuramente prima dell’autunno del 1415 (Guarino Veronese, Epistolario, 1915-1919, a cura di R. Sabbatini, n. 34, pp. 84 s.), furono intensi e duraturi: in particolare, le missive dell’umanista indirizzate a Ziliolo dimostrano un affetto sincero e profondo. Guarini a settembre del 1427 contattò Giacomo al fine di congratularsi per il conseguimento del dottorato in legge del figlio (n. 412, p. 585), di cui non mancò in seguito di sottolineare il carattere squisito e le qualità professionali: lo definì «iocundissimus», «doctor egregius», «prudentissimus» (n. 420, p. 594; n. 430, p. 607; n. 450, p. 631) e gli attribuì «humanitas», «suavitas, animi moderatio et singularis morum dulcedo» (n. 522, p. 27; n. 563, p. 76).
Nel giugno del 1429 Guarini chiese la collaborazione dell’amico Ziliolo, affinché sollecitasse Vittorino da Feltre a riconsegnargli un manoscritto da troppo tempo in prestito (n. 511, p. 9). In autunno scomparve la nonna paterna di Ziliolo, di nome Teodora: l’umanista iniziò a novembre a raccogliere alcune informazioni in vista dell’elogio funebre della donna. La biografia di Teodora venne ricostruita anche grazie all’ausilio del nipote, pronto a soddisfare le domande di Guarini (nn. 555-556, pp. 64 s.). Sempre a novembre Ziliolo fece visita all’umanista, che soggiornava a San Biagio, nei pressi di Argenta. All’inizio del 1430 nacque Libera, figlia di Guarini: la bambina avrebbe dovuto essere tenuta a battesimo proprio da Ziliolo; tuttavia, un’impegnativa missione diplomatica, svolta per conto di Niccolò III, lo costrinse ad assentarsi da Ferrara per circa sei mesi, sicché Ziliolo fu sostituito dalla moglie Caterina e dal padre Giacomo.
La delicata ambasceria presso Martino V fu sicuramente un avvenimento rilevante per la carriera del giureconsulto; durante la sua permanenza a Roma venne altresì incaricato da Guarini di ricopiare le dodici commedie di Plauto scoperte nel 1425, che erano in possesso del cardinale Giordano Orsini. Zilioli non riuscì a portare a termine il compito, in passato tentato invano dallo stesso Guarini. Nonostante la battuta d’arresto, la missione diplomatica si rivelò molto proficua, giacché valse a Zilioli prestigiosi titoli e incarichi: nel 1431 fu nominato cavaliere dal pontefice, mentre negli anni successivi divenne podestà di Modena e capitano di Reggio. Guarini si complimentò in un’estesa missiva inviata a Giacomo Zilioli (ibid., n. 580, pp. 97-106): nella lettera spicca l’omaggio alla «divina dignitas» del figlio, emblema del cavaliere perfetto che sa abbinare le capacità politiche a una notevole preparazione culturale.
Il 16 gennaio 1434 si verificò un avvenimento drammatico, giacché Ziliolo e il padre furono arrestati su ordine di Niccolò III per ragioni rimaste poco chiare. Di contro, alcuni esponenti della casata riuscirono a rifugiarsi a Firenze (Bonaventura) e a Costantinopoli (Malatesta). Le cronache, vaghe e circospette, non aiutano a comprendere i motivi dell’accaduto. Il Diario ferrarese parla di un generico «tradimento» (1928, a cura di G. Pardi, p. 20). Soltanto una cronaca anonima si sbilancia facendo cenno a un non meglio definito «crimen lesae maiestatis» (Modena, Biblioteca Estense e universitaria, It. 731 = α G. 8. 29, c. 69v). Non è da escludere, come ipotizza l’editore del Diario, che la doppia carcerazione fosse un mero pretesto per sottrarre alla famiglia Zilioli l’ingente patrimonio di «doxento miara de ducati» (Diario ferrarese, 1928, a cura di G. Pardi, p. 20). Pure la Cronica di fra Paolo da Lignago insiste con enfasi sul sequestro dei beni agli Zilioli (Bertoni, 1921, p. 28): «et XIIIII dì continui non si fece mai altro che cum XV carete vodar la sua casa e portar a corte la sua roba». Le autorità, un anno dopo la cattura, procedettero alla confisca dei volumi di Ziliolo (pp. 143 s.). La biblioteca era composta da più di venti testi giuridici di epoca basso medievale, tra cui si ricordano la Summa codicis di Azzone da Bologna e vari commenti di Bartolo da Sassoferrato, di Dino del Mugello, di Martino del Cassero da Fano.
Secondo la Cronica di fra Paolo da Lignago, Giacomo Zilioli si suicidò in carcere, o forse venne ucciso subito dopo l’arresto, mentre il figlio rimase imprigionato per tredici anni. Guarini non sembrerebbe intervenuto a sostegno dei suoi amici, anche se forse due lettere inviate a Leonello d’Este presentano alcuni riferimenti velati all’episodio della cattura (Guarino Veronese, 1915-1919, a cura di R. Sabbatini, nn. 667-668, pp. 214-220). È poi da considerare l’eventualità che le testimonianze più esplicite siano andate perdute. In effetti, una Laude de Jacomo Ziliolo di Guarini, citata nell’inventario della libreria di Ercole d’Este, potrebbe suffragare questa tesi (Bertoni, 1903, p. 245); il libello, mai più ritrovato, fu trascritto nel 1495 da Geronimo Zilioli (probabile discendente del giureconsulto).
Ziliolo durante la prigionia elaborò una singolare opera in latino, la Comediola Michaelida, che prende il nome dalla torre di San Michele del Castel Vecchio dove era stato recluso. La trama, piuttosto complessa, può essere così sintetizzata: Thimo giace incatenato in fondo a una cella tetra e invasa dalle acque; egli viene trattato con crudeltà dal carceriere Fanio, che in precedenza lo aveva appoggiato benevolmente. Un giorno la Giustizia, richiamata dalle invocazioni del protagonista, promette a Thimo di indurre Fanio a fargli visita per ascoltare le sue ragioni. L’incontro tra i due si rivela però inutile: il carceriere, pur a tratti commosso dalle argomentazioni del prigioniero, è deciso a mantenere un atteggiamento intransigente verso Thimo, perché quest’ultimo aveva cercato in passato di fuggire. Il protagonista giustifica la sua condotta con il diritto di riottenere la libertà. Alla fine la Giustizia – appoggiata da Luconia, moglie di Fanio, e dal figlio Alipione – persuade Fanio a scarcerare Thimo. Questi, viene rilasciato e cinto di lauro, d’edera e di ginepro (simboli rispettivamente di talento poetico, di lealtà e di virtù).
L’opera, scritta in prosa, è dedicata a Petto da Baisio, carceriere e amico di Ziliolo (Lorch, 1980, pp. 140 s.; Venturi, 2001, pp. 24-32). La Comediola – sebbene palesi finalità apologetiche, vari agganci autobiografici e una marcata tendenza all’ibridismo (si contano spunti epici, bucolici, elegiaci e riflessioni di stampo giuridico e filosofico) – esibisce una certa identità comica grazie al ricorso frequente a Plauto e a Terenzio (Villoresi, 1994, pp. 87-90; Viti, 2016, pp. 283-296).
La fuga di cui si parla nella Comediola fa leva su un episodio reale, documentato da una frottola scritta in volgare da Giovanni Peregrino, che ricoprì il ruolo di segretario di Lionello d’Este tra il 1441 e il 1450 (Tissoni Benvenuti, 1978, pp. 63-76). Il componimento ricostruisce la breve detenzione del politico presso Castel Vecchio (4 maggio 1436): Peregrino fu accusato di favoreggiamento per aver sostenuto il tentativo di evasione di Ziliolo Zilioli. Gli inquirenti fondarono i propri sospetti sul forte rapporto di amicizia che legava i due uomini. Nondimeno, l’accusato negò il suo coinvolgimento e, in mancanza di prove concrete, venne rilasciato dopo tre giorni di interrogatori. L’episodio su cui poggia la frottola risulta di rilievo e consente di collocare con più precisione la Comediola negli anni della carcerazione di Ziliolo: il codice su cui è trascritto il dramma riporta la data dell’explicit (26 aprile 1439), ma la prigionia di Peregrino nel maggio del 1436 permette di stabilire anche il termine post quem di composizione. Il confronto dell’opera con la frottola potrebbe poi dischiudere, al di là dell’ovvia rivendicazione di innocenza, le autentiche motivazioni di scrittura di Ziliolo: l’inflessibilità del carceriere e la presentazione della fuga quale iniziativa isolata di Thimo punterebbero ad attenuare le probabili responsabilità di Fanio (Petto da Baisio) e a scagionare i veri complici del detenuto.
Evidentemente il finale irenico con cui si chiude la Comediola non corrispose alla realtà, giacché Ziliolo morì nel 1447, pochi mesi dopo aver ottenuto la liberazione.
Fonti e Bibl.: La Comediola, trasmessa da un solo codice (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Reg. lat. 1609), è pubblicata in Z. Zilioli, Comediola Michaelida, a cura di W. Ludwig - M. Lorch, München 1975. Su questa edizione critica si vedano i numerosi rilievi di E. Cecchini, Recensione a Zilioli Ferrariensis Comediola Michaelida, in Gnomon, XLIX (1977), pp. 471-477. Per le lettere di Guarino Veronese si fa riferimento al suo Epistolario, I-III, a cura di R. Sabbadini, Venezia 1915-1919. Infine, le cronache che descrivono la cattura degli Zilioli si leggono in Modena, Biblioteca Estense e universitaria, It. 731 = α G. 8. 29, c. 69v; in G. Bertoni, Guarino da Verona fra letterati e cortigiani a Ferrara, Firenze 1921, p. 28 e nel Diario ferrarese dall’anno 1409 sino al 1502, a cura di G. Pardi, Città di Castello 1928, p. 20.
G. Bertoni, La biblioteca estense e la coltura ferrarese ai tempi del duca Ercole I (1471-1505), Torino 1903; A. Tissoni Benvenuti, La Comediola Michaelida di Z. Z. e il Lamento di Giovanni Peregrino da Ferrara, in Romanistiches Jahrbuch, XXIX (1978), pp. 58-76; M. Lorch, La Michaelida di Z. Z.: commedia o tragedia?, in La rinascita della tragedia nell’Italia dell’umanesimo. Atti del IV convegno di studio... 1979, Viterbo 1980, pp. 135-158; M. Villoresi, Le prime rappresentazioni di corte, in Da Guarino a Boiardo: la cultura teatrale a Ferrara nel Quattrocento, Roma 1994, pp. 77-107; G. Venturi, Una storia estense, fra ferocia dei tempi e sogni di humanitas, in Ferrara. Voci di una città, XV (2001), pp. 24-32; L. Ruggio, Gigliolo Giglioli, in Repertorio bibliografico del teatro umanistico, Firenze 2011, p. 38; P. Viti, Varianti del comico in alcune commedie umanistiche, in Comico e tragico nel teatro umanistico, a cura di S. Pittaluga - P. Viti, Milano 2016, pp. 283-296.