Vedi ZIQQURAT dell'anno: 1966 - 1973
ZIQQURAT (accadico ziqqurat, ziggurat, dal verbo zaqaru, "essere elevato")
Torre templare mesopotamica.
Gli autori più antichi che diano notizia delle torri templari mesopotamiche sono Erodoto (i, 181-183), Strabone (xiv, 1, 5) e Diodoro Siculo (ii, 9). Più ricche di particolari, ma prive di fondamento, sono le descrizioni degli ultimi due, onde basterà accennare alla testimonianza dello storico di Alicarnasso che ritiene elementi di maggiore veridicità. Parlando della città di Babilonia, Erodoto osserva che "in mezzo al santuario (di Zeus-Belos) era costruita una solida torre misurante uno stadio in lunghezza e uno in larghezza. Su questa torre ne sorgeva un'altra, su questa di nuovo un'altra, e così otto torri, sempre l'una sull'altra... Nell'ultima torre è un grande tempio e nel tempio si trova un gran letto, riccamente decorato... Nessuno vi passa la notte, tranne una donna del paese, designata dal dio in persona".
I viaggiatori che a partire dal XVI sec. si addentrarono in Mesopotamia ricercarono la "torre di Babele" di cui parla il cap. xi della Genesi (versetti 1-9) nelle rovine che si ergevano nella Valle dei Due Fiumi. Soprattutto tre luoghi attrassero l'attenzione: Aqarquf, ad O di Bagdad, Birs Nimrud e la collina detta in arabo Mugelibe a N dei resti di Babilonia, la cui prima descrizione tecnica si deve a C. J. Rich, console d'Inghilterra a Bagdad (1807).
La più antica attestazione epigrafica del termine z. risale a Gudea di Lagash, che menziona in un passo del Cilindro A quella che con tutta verosimiglianza doveva essere una torre templare. I riferimenti si fanno più numerosi sotto i re assiri e neobabilonesi; specialmente questi ultimi, Nabucodonosor e Nabonedo, restaurano le z. dei loro predecessori: il primo rialza la cima abbattuta dell'É-temen-an-ki di Babilonia, decorandola con mattoni smaltati azzurri; il secondo apporta sensibili modifiche alla z. di Ur eretta da Ur-Nammu e da Shulgi alla fine del III millennio a. C.
Infine, occorre far cenno alla cosiddetta Tavoletta Smith o dell'Ésagila, un testo cuneiforme babilonese del II millennio, che dà le misure del santuario di Marduk in Babilonia con i suoi due complessi principali, il tempio e la z. o É-temen-an-ki: di quest'ultima sono notate in cifre le altezze e le dimensioni di base dei vari ripiani, che sono otto come nella descrizione erodotea, se vi si include anche la cappella sulla cima.
Oltre alle z. ancora visibili nei campi di rovine mesopotamici abbiamo loro rappresentazioni su monumenti figurativi, sigilli, rilievi, cippi confinarî (kudurru). Nonostante l'incomprensibilità di alcuni particolari, dovuta alle rigide convenzioni che regolano il disegno mesopotamico, torri formate da piani sovrapposti e decrescenti, varianti di numero e di altezza, con scanalature a falsa porta, ovvero sormontate da emblemi divini, appaiono fin dai sigilli mesopotamici della fine del IV millennio a. C. Nell'esemplare probabilmente più antico che possediamo con l'immagine di una z., un vaso da una tomba di Susa della fine del IV millennio, dei personaggi sono assisi in trono al di sopra di torri a due e tre piani, mentre un'altra figura umana fa dei segni all'occupante di un carro dalle ruote fiammeggianti (A. Parrot, Ziggurats et Tour de Babel, fig. 6); anche se una precisa determinazione della natura della scena è impossibile, occorre tener presente fin da adesso questo valore sacrale che la torre a gradini assume in Mesopotamia e nell'Elam fin dalle origini.
Le z. più importanti scavate nella Mesopotamia meridionale sono quelle di Eridu (m 50 × 50), Ur (m 62 × 43), Uruk (É-anna, m 50 × 45; z. di Anu su una terrazza di m 70 × 66), Nippur (m 57 × 38); nella Mesopotamia centrale: Babilonia (m 91 × 92), Borsippa (m 82 × 82), Dur-Kurigalzu (m 69 × 67); nella zona settentrionale (Assiria): Assur (z. del tempio di Assur, m 62 × 61; del tempio doppio di Anu e Adad, m 39 × 36 e 24 × 24), Kar-Tukulti-Ninurta (m 30 × 30), Khorsābād (m 43 × 43), Mari (m 42 × 25). A questo elenco vanno aggiunte le due z. elamite, quella di Susa, di cui abbiamo testimonianze indirette, e quella recentemente portata alla luce a Choga Zanbil (v.).
E. Unger aveva classificato le z. mesopotamiche in tre tipi principali, in accordo con le risultanze architettoniche di ciascuna: a) il tipo rettangolare a gradini, comune soprattutto nel S (Ur, Uruk, Nippur); b) il tipo quadrato, che ha invece l'accesso mediante rampe, ed è diffuso nel N (Assur, Kar-Tukulti-Ninurta, Khorsābād); c) il tipo combinato, sintesi della base quadrata, di impronta settentrionale, e dell'accesso mediante scale per i piani inferiori, all'uso sumerico (le rampe ritornano nei piani superiori); l'esempio più celebre è la z. di Babilonia. Nonostante le molte eccezioni, questo schema può ritenersi valido, a patto di aggiungervi un quarto tipo, il santuario su terrazza ovale o circolare, che è all'origine, come vedremo, del principio della z., e che gli scavi hanno rivelato a el-Hibbah, al-῾Ubaid, Khafaǧa ed ῾Uqair.
Alcune z. presentano caratteristiche parzialmente aberranti ovvero hanno rilevante importanza nella storia della civiltà mesopotamica. La z. sorgente nel recinto del palazzo di Sargon II a Khorsābād aveva ciascun piano dipinto in un colore differente, in accordo con la descrizione erodotea di quella di Babilonia; inoltre l'accesso era dato, a differenza delle scalinate appoggiantisi sui lati delle altre z., da una rampa elicoidale continua, i cui parapetti erano ornati da pinnacoli dentellati. Anche la z. di Borsippa reca tracce di colori diversi per i varî piani: essa, detta É-urimin-an-ki, "tempio delle sette guide del cielo e della terra", faceva parte, insieme col tempio É-zida del dio Nabù, di un grande complesso templare, chiuso da una cinta muraria rafforzata da pilastri. La più celebre z. mesopotamica, quella di Babilonia, sorgeva nella parte S-O di un ampio tèmenos ben delimitato, mentre il santuario di Marduk col quale era strettamente associata si poneva al di fuori, almeno a giudicare dai resti attuali. La z. era detta É-temen-an-ki, "casa del fondamento del cielo e della terra"; composta di mattoni cotti rinforzati esternamente da pilastri, presentava pareti rigorosamente verticali; gli accessi ai piani superiori erano dati da tre scalinate a gradini sulla facciata S; inoltre, sulla base della Tavoletta Smith e della narrazione erodotea, possiamo supporre che a partire dal secondo piano la salita avvenisse mediante un piano inclinato che faceva tutto il giro dell'edificio. Sempre per quel che riguarda i mezzi di accesso, si nota una grande varietà nelle z. assire, le quali hanno pianta quadrata con un numero di piani mai determinabile appieno: si è supposta una rampa a Khorsābād, delle scale nel tempio doppio di Anu e Adad ad Assur, un ponte a Kar-Tukulti-Ninurta e fra il tempio e la z. di Assur nella capitale assira.
Scendendo nel S della Mesopotamia, troviamo ad Uruk un tempio su un'alta terrazza in mattoni, più volte ricostruito, ma che deve risalire nel suo nucleo originario al periodo di Uruk IV (inizio III millennio). Si accedeva alla terrazza, in una prima fase, mediante una scala di argilla, in seguito, o mediante una scalinata prolungante la prima, ovvero attraverso gradini circondanti il terrapieno: a S-O della terrazza si ergeva il "tempio bianco", dedicato probabilmente ad Anu, mentre la dea manna aveva la sua z. nell'É-anna, la zona sacra della città. La z. di Ur, dedicata al dio lunare Nanna e costruita dai re della III dinastia alla fine del III millennio, poi restaurata da Nabonedo, sorge su uno dei lati lunghi di un immensa terrazza misurante m 140 × 135; era costruita su pianta rettangolare, con le facce assai inclinate; tre scalinate, disposte a triangolo sul lato di N-E assicuravano la salita: tutte e tre si riunivano al centro, sotto un portale sorretto da un poderoso bastione. Altre due brevi scalinate portavano al tempio sulla spianata del terzo piano (da notare che il Lenzen, in contrasto con il Woolley, suppone che la z. avesse solo due piani) che aveva la porta probabilmente sull'asse della scalinata centrale; ai piedi della z. erano i due templi di Nanna e della sua paredra Ningal.
Lo stesso sistema di triplici scalinate convergenti si ritrova nella z. di Eridu, risalente nel suo aspetto attuale all'epoca di Ur-Nammu (circa 2050 a. C.): la scalinata centrale presenta la particolarità, dovuta ad un motivo sacrale secondo il Woolley, di essere coperta da lastre di pietra, materiale rarissimo nella pianura alluvionale mesopotamica. La z. aveva solo due piani e si impianta su santuarî più antichi, che dovevano avere la forma di costruzioni su terrazza analoghe ai templi di Uruk (Anu), di Tell Brak, Khafaga, al-῾Ubaid, risalenti tutti alla prima metà del III millennio a. C.
È ormai assodato che le z. mesopotamiche, dedicate agli dèi principali della città, avevano un carattere prettamente religioso, il quale risulta anche dalle prime testimonianze figurative che ce ne tramandano il ricordo e dai nomi che furono loro attribuiti. Molti studiosi videro perciò nelle z. la prova visibile dello sforzo fatto dall'uomo per raggiungere la divinità, la quale, a sua volta, si degna di scendere fra i mortali prendendo piede sulla montagna che resta, durante tutto il corso della storia religiosa mesopotamica, la sede tradizionale della sua epifania. Ma la diversa coloritura dei vari piani, che ha fatto pensare al colore dei pianeti (e ad essi specificamente allude il nome della z. di Barsippa, É-ur-me-imin-an-ki) portò come conseguenza l'idea che le z. fossero da considerarsi degli osservatori, senza tuttavia sminuire il loro carattere religioso (Rawlinson, Heuzey, Place, Parrot).
Si deve a W. Andrae un contributo decisivo al problema religioso della z.; per primo egli pose l'accento sulla stretta dipendenza dei due templi, quello sulla cima (Hochtempel) e quello ai piedi della torre (Tieftempel); la divinità risiede nel tempio sulla sommità (Wohnungstempel) ma in momenti determinati, previsti dal calendario liturgico, si rivela agli uomini nel tempio inferiore (Erscheinungstempel). Questa teoria, più verisimile di tutte le precedenti, è stata criticata tuttavia dal Lenzen e almeno in un punto bisogna dar atto a quest'ultimo di essere nel giusto: lo Hochtempel non è, o almeno non è soltanto, la sede del dio, giacché in tutte le z. scavate con criteri moderni, in cui si è trovato un tempio alla sommità, esso conteneva l'altare e la tavola delle offerte, onde si dimostra che in quel sacrario elevato si venerava il dio lontano e se ne invocava con sacrifici la comparsa.
Il Parrot insiste sulla funzione utilitaristica che dovette essere all'origine dei templi su terrazze nella piana mesopotamica: contro le ricorrenti e disastrose inondazioni l'unico rimedio era innalzare il livello degli edifici, come testimoniano i più antichi resti di templi del III millennio, su alta terrazza. Quelli di ῾Uruk e di Uqair recano delle scale, le quali mostrano, in pieno accordo coi testi rituali più tardi, che i sacrifici venivano celebrati sulla terrazza del santuario. L'idea della terrazza sopraelevata fu inoltre adottata con particolare favore in tutto il paese (la vediamo attestata dal Golfo Persico al Medio Eufrate e al Khabur) perché i Sumeri, venuti con ogni probabilità dalle montagne dell'E ed abituati ad offrire i sacrifici agli dèi sulle alture, trovarono nel sistema a terrazza artificiale il sostituto più efficace del loro ambiente religioso primitivo.
I testi egiziani delle piramidi, della fine dell'Impero menfita, descrivono la piramide a gradini costruita a Saqqārah dal re Djoser della III dinastia (intorno al 2750 a. C.) come una scala eretta dai geni degli antenati per permettere all'anima del faraone di raggiungere il cielo e il sole. Su questa esile testimonianza letteraria si fonda la teoria di coloro che pensano ad un rapporto fra l'Egitto e la Mesopotamia per quel che concerne l'origine ideologica della z., la quale si ispirerebbe anche nella forma alla piramide di Djoser, mentre all'inizio - e gli esempî di Khafaǧa, al-῾Ubaid, Uruk, ecc., sembrano confermarlo - esisteva in Mesopotamia solo il tempio ad un piano, su alta terrazza (Gilbert); questa teoria ammette, però, che la z. serva come mezzo di comunicazione fra mondo celeste e mondo che cerca per il suo tramite di elevarsi fino alla divinità, mentre oggi sembra probabile il contrario, che cioè la z. sia solo la sede del dio, che vi discende e vi viene adorato come sulla montagna sacra e come, d'altro canto, testimonia il vaso già menzionato da Susa con i personaggi assisi sulle torri a gradini quali loro sedi naturali e stabilite.
Un'influenza in senso opposto, della z. sulle piramidi egiziane, si avrebbe secondo il Gilbert nella piccola piramide di el-Kālah (fine della III-inizio della IV dinastia), orientata per gli angoli, non più per le facce, seguendo cioè l'orientazione più comune delle z. mesopotamiche.
Poco verosimili sono le ipotesi del Contenau (Manuel d'archéologie orientale, iv, Parigi 1947, p. 2105) e del Dhorme (Les religions de Babylonie et d'Assyrie, Parigi 19492, pp. 177-178), secondo cui le z. comportavano una sorta di cenotafio, tomba fittizia o temporanea del dio; esse sorgono dall'intento di trovare analogie con le piramidi egiziane, e si appoggiano alle testimonianze degli scrittori classici, come Strabone, che vedevano nelle z. monumenti funerarî, e ad un'accezione male interpretata della parola gigunu che può indicare contemporaneamente la tomba e il santuario. In definitiva, le analogie architettoniche e concettuali fra z. e piramidi a gradini sono solo esterne e superficiali, come ha ben mostrato il Parrot (op. cit., p. 202). Può aggiungersi la constatazione che in Egitto la piramide presto si evolve nel tipo di quelle di Gīzah, a pareti lisce, mentre in Mesopotamia, fino ai tempi più tardi, si resta fedeli allo schema tradizionale a ripiani.
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