Vedi ZIQQURAT dell'anno: 1966 - 1973
ZIQQURAT (v. vol. vii, p. 1270)
La ziqqurar di Choga Zanbil. Le ricerche archeologiche che si susseguono da più di un secolo nella valle dei due fiumi, l'Iraq odierno, hanno permesso di identificare i resti di circa una trentina di ziqqurat. Nessuna di esse ha però fornito dati precisi quanto quella scavata dalla Missione Francese di Susa, che esplorò il centro religioso elamita di Dur-Untashi (oggi Choga Zanbil), distante una trentina di chilometri da Susa.
La vera torre a ripiani si trova attestata solo a partire dalla fine del III millennio a. C., precisamente a partire dalla III dinastia di Ur (circa 2050-1955 a. C.). La torre di Choga Zanbil, più di qualsiasi altra precedentemente messa in luce, può fornirci con la massima precisione notizie sui materiali impiegati, sui piani, sull'architettura, sul procedimenti di salita, e inoltre consente la ricostruzione di un particolare rituale che doveva svolgersi sopra e attorno questi venerabili monumenti.
Questo tuttavia non prova che tutte le z. di Mesopotamia siano state realizzate, in ogni epoca, secondo una legge immutabile, legge che sarebbe derivata dalla z. costruita dagli Elamiti, poiché oggi si sa che vi erano z. a 3, 5 e 7 piani. Ora è interessante sapere che non è affatto una torre costruita da Sumeri o da Babilonesi - considerati i creatori di questi monumenti - quella che ci fornisce queste precisazioni, ma una torre costruita dagli Elamiti nell'estrema parte orientale della regione in cui la z. era l'elemento principale dell'architettura religiosa. Infatti i resti della z. di Choga Zanbil si alzano oggi per circa 25 m, ai piedi della maestosa barriera dei Monti Zagros, dietro la quale si stende la pianura iranica, la cui popolazione non sembra aver mai conosciuto l'uso di queste torri sacre.
La z. di Choga Zanbil è costruita in mattoni crudi con un rivestimento di mattoni cotti di circa m 2,50 di spessore. Ogni dieci filari di questi mattoni cotti è inserito un undicesimo filare di mattoni iscritti col nome del re elamita Untash-Khuban, costruttore della torre (XIII sec. a. C.), la cui capitale era Susa; in queste iscrizioni è nominato il dio Inshushinak a cui la torre era dedicata. Essa è quadrata, misura, alla base, m 105,20 di lato, aveva cinque ripiani, costituiti da quattro massicci che s'incastravano uno nell'altro formando le terrazze.
Una z. non era dunque costituita da terrazze a superficie sempre più ridotta, poste una sull'altra. Tutti i massicci che dovevano formare queste terrazze partivano dal suolo vergine. Questa importante osservazione fatta all'inizio dello scavo, quando si liberava la superficie corrosa della torre, è stata confermata da una lunga galleria aperta dagli scavatori della Missione fino al cuore della z., al livello del vestibolo. Il quinto piano, che formava la sommità della z. e si alzava a 52-53 m di altezza, era costituito dal tempio superiore, di cui non resta più nulla, poiché si trovava ad un'altezza valutabile a più del doppio di quella delle rovine attuali. Tuttavia lo scavo della superficie della z. ha restituito un buon numero di mattoni cotti di un modulo più grande di quelli che servivano al rivestimento dei ripiani della torre e che portavano anche delle iscrizioni differenti, poiché indicano il tempio superiore come "casa degli dèi Gal e Inshushinak", divinità principali del pantheon elamita. Questo tempio non era dunque il luogo di passaggio del dio durante la sua discesa dal cielo sulla terra, ma la sua residenza. Numerosi frammenti di mattoni smaltati, a riflessi dorati, argentati, blu e verdi, provenivano anch'essi dal tempio superiore; alcuni presentavano resti di iscrizioni. Questi mattoni non facevano però parte del rivestimento dei diversi ripiani della torre, come era opinione di alcuni scavatori, secondo cui per ciascun ripiano cambiava il colore dei mattoni smaltati. Essi decoravano il tempio superiore che solo, sull'alto della torre, si iridava di riflessi diversi sotto i raggi del sole.
La questione dell'accesso fino alla sommità della torre era strettamente legata alla ricostruzione delle stesse z., che non dava sempre soluzioni convincenti, soprattutto quando si proponeva, per una z. di più piani una sola rampa che doveva condurre al tempio superiore con una eccessiva lunghezza di percorso.
Prima degli scavi di Choga Zanbil la scala tripla era conosciuta solo fino alla terrazza del primo piano (Ur, Uruk). Essendo scomparso tutto quello che esisteva più in alto, i progetti di ricostruzione erano varî. Resta però poco probabile che le rampe siano mai esistite sulle z.: avrebbero presentato superfici troppo estese, pericolosamente esposte all'azione dell'acqua, l'elemento più temibile per queste costruzioni in mattoni crudi. Giudicando da quanto ci suggerisce lo studio della torre di Choga Zanbil, le scale, incassate nello spessore del rivestimento della parete, di una larghezza molto ridotta e protette da vòlte, creavano delle salite ripide. La ricostruzione della "salita" fino al tempio superiore, a Choga Zanbil, non si presenta come altrove sotto forma di un'ipotesi variabile secondo le diverse opinioni. Grazie alla scala conservata fino quasi alla terrazza del secondo piano e grazie alla frana che taglia la faccia SE della z., la nostra ricostruzione può difficilmente essere messa in dubbio.
L'acqua ha distrutto tutti gli angoli della torre, risparmiando la parte centrale delle facce più elevate, il che dava al monumento un aspetto piramidale. Solo la faccia SE è stata trovata tagliata da una quinta frana che contribuì alla soluzione del problema: la frana si trova infatti nel luogo della seconda scala che partiva dalla superficie della terrazza del secondo piano, per raggiungere quella del quarto. Questa scala che rappresentava un potente invito per le acque piovane, fu una delle cause maggiori della caduta dei piani superiori della ziqqurat. Il disegno isometrico permette di seguire il percorso della salita.
La z. di Choga Zanbil non fu realizzata tutta in una volta, e si può supporre con molta probabilità, che questo avvenne per tutte le z. della Mesopotamia. Le ricerche della Missione di Susa permisero di stabilire che la costruzione della torre comprendeva almeno due fasi. Si costruiva dapprima il primo piano, di 8 m di altezza e 16 m di larghezza: questo racchiudeva, lungo tre dei suoi lati, delle camere a vòlta senza comunicazione fra di loro, ciascuna con una scala, che scendeva dalla terrazza, e una porta che dava sul grande quadrato centrale, una specie di cortile completamente libero da costruzioni, che circondava questo primo piano. Nella metà S del quarto lato, quello di SE, c'era un piccolo tempio comprendente un vestibolo, un lungo ambiente in funzione di cortile e una cella. L'entrata a questo tempio si presentava sotto forma di una porta monumentale a vòlta, alta 8 m, in mattoni cotti, di cui numerosi iscritti, che si apriva anch'essa verso la grande corte interna e che era stata totalmente condannata nella seconda fase costruttiva: è stata trovata infatti addossata al massiccio del secondo piano. Tutto questo prova che dopo la costruzione del primo piano e per un breve periodo di tempo, durante il quale il tempio A restò in funzione, l'interno della torre, limitata al primo piano, può essere stato riservato a cerimonie di consacrazione. Terminate queste, il santuario fu consacrato e murato, e ugualmente murate furono le porte delle camere che si aprivano su questo cortile. In seguito cominciarono i lavori per la costruzione dei massicci che dovevano formare le terrazze del secondo, terzo e quarto piano.
L'aver riconosciuto nella costruzione di una z. almeno due fasi consecutive; la scoperta di un tempio (Inshushinak A) che, costruito nello spessore del primo piano, funzionò solo per un breve periodo, dopo di che fu abolito e seppellito sotto la montagna artificiale; tutti questi fatti, assolutamente nuovi nella storia dell'esplorazione delle z., invitano a riprendere un problema dibattuto dagli assiriologi da molti anni e non ancora risolto; quello del gigunu.
Possediamo numerosi testi di età diversa che parlano del gigunu, edificio in stretta relazione con la z.; esisteva un gigunu superiore e uno inferiore, il primo luminoso, l'altro invece sepolto nelle tenebre e paragonato, da certi testi, all'apsu, l'oceano o il mondo sotterraneo. La sua posizione e questo paragone con le regioni delle tenebre e delle ombre, portano alcuni studiosi a interpretare il gigunu inferiore come una tomba e a concludere che, per estensione, anche la z. sarebbe una tomba.
F. Thureau-Dangin, il grande assiriologo francese, aveva visto bene, quando dimostrò che il termine gigunu doveva significare "santuario" o "luogo santo sottratto alla contemplazione del profano". A Parrot (1949, pp. 202-204 e bibl.), con ragione, rifiutava l'ipotesi della tomba. Conoscendo oggi l'esistenza di un tempio condannato, abbandonato nella oscurità e seppellito nel fianco della z., possiamo identificare con molta probabilità nel gigunu inferiore questo santuario sconsacrato, ma sempre presente finché esistette la z., assegnabile alla prima fase della sua costruzione, mentre il gigunu superiore sarebbe il "tempio superiore" che brillava di tutti i riflessi dei suoi mattoni smaltati sulla sommità della torre.
Al tempio superiore della z. era strettamente associato un tempio inferiore. Se il primo era la "casa" dove risiedeva la divinità a cui era dedicata la torre, il secondo era il luogo dove essa prendeva contatto con i fedeli. Così il tempio inferiore si presenta come il santuario dell'apparizione del dio, e per questa ragione sembra essere stato il più ricco, con un insieme di oggetti sacri di grande valore ed una decorazione con i materiali più preziosi. Erodoto (i, 183) ne conosceva l'esistenza, e disse a questo proposito che una grande statua di Zeus si trovava in questo tempio inferiore, dove era deposta una tavola, una sedia e uno sgabello, "il tutto in oro del valore di 800 talenti".
Tutti i templi inferiori, dedicati alla stessa divinità della z., identificati in Mesopotamia, si trovano ad una breve distanza dalla torre. E solo a Choga Zanbil che questo tempio faceva parte integrante della z. ed era stato costruito nello spessore del primo piano, nella metà E del lato SE. Il fatto che esso sia l'unico a noi noto realizzato nella massa della torre, non significa tuttavia che esso sia il solo del suo genere. Altre z. potrebbero anche averne avuti. Bawlinson, che scavò la z. di Birs Nimrud (o Barsippa), a 12 km da Babilonia, segnalava sale a vòlta, ricavate nello spessore della massa architettonica. Bisognerà forse scavare di nuovo le torri già esplorate?
Il tempio inferiore di Choga Zanbil, la cui porta di entrata conserva ancora intatta la sua vòlta di mattoni cotti, di cui numerosi iscritti, dà sul vestibolo SE. Davanti alla piccola scala che vi conduce, si trova una bella tavola da offerta, in mattoni smaltati policromi, la più grande e la più bella di tutte quelle messe in luce intorno alla ziqqurat. Il santuario stesso, di dimensioni assai ridotte, si componeva di un vestibolo con un'altra tavola da offerta nel fondo, poi, a destra, uno di seguito all'altro, un ambiente longitudinale accuratamente pavimentato, seguito da una precella e da una cella con un altare. A sinistra del vestibolo si penetrava in una stanza piccolissima, la cui unica particolarità consisteva in un letto di mattoni crudi. Questa stanza era forse destinata allo Hieròs gàmos. Erodoto che non parla di letto nel tempio inferiore, ne ricorda al contrario uno nel tempio superiore e precisa che nessuno vi passa la notte se non "una donna del paese, designata dal dio stesso". Non ci si troverà per caso di fronte ad una confusione fra i due santuarî, strettamente collegati?
Niente è rimasto della ricca suppellettile del tempio inferiore di Choga Zanbil che certamente doveva esserci, dato il dispositivo di sicurezza che vi si trovava e che non si conosce per nessuno dei tredici templi messi in luce in questo luogo. Malgrado la sua posizione al riparo del muro di cinta della z., la porta d'ingresso, decorata di lunghe strisce di vetro opaco bianco e nero, poteva essere bloccata con l'aiuto di una forte sbarra, che scivolava nel buco di una grossa pietra conficcata nel muro perpendicolarmente al chiavistello. Un dispositivo due volte più potente bloccava la porta che dava nell'anticella. Tutte queste precauzioni sottolineano l'importanza del luogo e permettono di supporre che esso conteneva un prezioso materiale rituale; sembrerebbe che solo pochissime persone al di fuori del clero - il sovrano, la regina e i loro intimi - fossero ammesse alla visione.
Possediamo qualche notizia letteraria sul rituale che si svolgeva sulla sommità della ziqqurat. Questi testi, conservati nel santuario di Uruk, sono tardi perché datano solo all'epoca seleucide, ma è verisimile che tramandino, più o meno immutati, i riti antichissimi. Si riferiscono a feste determinate ed anche, uno di essi, ad una festa notturna. Sul tetto del tempio superiore o, piuttosto, sulla sua terrazza, si offriva al dio "carne di bove, carne di montone e uccelli; birra di prima qualità insieme a vino pressato... ogni specie di frutta dell'orto ... cedro e polvere aromatica... tu verserai su un bruciaprofumi in oro, poi con un vaso da libazione in oro, tu spanderai del vino pressato... L'antiprete, accompagnato da incantatori, da kalu e da cantori prenderà la "mano" della torcia (per farla uscire) dalla z. " (F. Thureau-Dangin, Rituel accadien, 1921; A. Parrot, 1949, pp. 119-120).
Quale sarà il senso e lo scopo di queste operazioni? Se l'interpretazione delle immagini scolpite su di un grande vaso di alabastro, trovato a Uruk è valida (Lenzen, 1942, tav. 28 a), vi si vedrebbero due sacerdoti che intercedono, sull'alto della torre, presso la divinità per invitarla a scendere e a manifestarsi nel tempio inferiore: sembrerebbe questa la interpretazione da dare al rituale descritto.
Le istallazioni messe in luce a Choga Zanbil forniscono una preziosa informazione sul rituale che si svolgeva nel tempio inferiore o piuttosto attorno ad esso e sul quale i testi restano muti. È per questo che, davanti alla porta SE della z., sulla pavimentazione leggermente in discesa, si trovava una doppia fila di sette tavole da sacrificio, insanguinate poiché il sangue delle vittime doveva scorrere in una giara posta al di sotto della pavimentazione. I sacrifici dovevano avvenire alla presenza della coppia reale, istallata su due tribune. Lungo l'asse delle tavole da sacrificio, si vedono tre tavole da offerta a cui la coppia reale doveva rendere onore prima di raggiungere i suoi seggi. Terminata questa cerimonia, l'assemblea si trasferiva poco lontano, presso un vaso da libazione, posto vicino ad un pozzo. Un po' oltre, a qualche passo di distanza, si raggiungeva la tavola da offerta, policroma, costruita davanti all'entrata del tempio inferiore, dove la coppia reale con qualche raro intimo penetrava accompagnata dal clero superiore.
I semplici fedeli non solo non avevano accesso ai piani superiori della z. (cosa che anche il testo del rituale lascia comprendere), ma pochi erano anche quelli ammessi all'interno della cinta che circondava la torre sacra. La grande massa dei pellegrini si spandeva sullo spiazzo esterno, quello del tèmenos propriamente detto.
Bibl.: Cfr. choga zanbil (vol. ii, p. 562); inoltre: R. Ghirshman, in Comptes rend. Acad. Inscr. B. Lettres, 1959, p. 287 ss.; id., in Revue Arch., 1960, p. 133 ss.; id., La Ziqqurat de Tchoga Zanbil, in Acta Hungarica, X, 1959, p. 141 ss.; C. Picard, in Revue Arch., 1962, p. 225 ss.; R. Ghirshman, in Comptes rend. Acad. Inscr. B. Lettres, 1962, p. 45 ss.; id., in Iran Ant., III, 1963, p. 12 ss.; id., Tchoga Zanbil (Dur-Untash), I: - La Ziqqurat. (Mission de Susiane, 39), Parigi 1966; id., Tchoga Zanbil, - II: Temenos, Temples, Palais, Tombes (Mission de Susiane, 40), Parigi 1968.