ZŌHAR (Sēfer ha-Zōhar "libro dello splendore")
È il libro considerato sacro dai seguaci della Qabbālāh (v.) giudaica, per i quali è una delle fonti principalissime della dottrina religiosa, accanto alla Bibbia e al Talmūd.
Nella forma in cui lo abbiamo oggi nelle edizioni esso è un'opera composita, resultante di parti assai diverse fra loro. La parte principale e fondamentale è una specie di midrāsh (v.) sul Pentaieuco, che si presenta come opera dell'antico dottore Shim‛ōn ben Yōḥay (sec. II d. C.), ma che in gran parte segue, più che le forme del midrāsh antico, quelle dell'omiletica medievale. Esso prende occasione dalle parole del testo biblico per esporre, senz'alcuna cura di ordine sistematico, i pensieri e le concezioni della Qabbālāh. Intrecciati con questa parte principale troviamo varî altri elementi, fra cui sono particolarmente notevoli: a) il Midrāsh ha-Ne‛lām (Midrāsh segreto) e i Sitrē ha-Tōrāh (Segreti della Torāh), composizioni parallele alla parte principale, su diversi passi del Pentateuco, contenenti specialmente un'interpretazione della storia dei patriarchi come allegoria filosofica della sorte dell'anima umana prima e dopo la morte; b) la Idrā rabbā (Grande assemblea) e la Idrā zūṭā (Piccola assemblea), descriventi la figura mistica della divinità, simboleggiata in quella dell'"uomo originale"; c) il Ra‛yā mehēmnā (Pastor fido), che presenta Mosè intrattenentesi con Shim‛ōn ben Yōḥay intorno ai motivi misteriosi dei precetti divini; d) i Tiqqūnīm (propriamente "ordinamenti", qui nel senso di "esplicazioni"), esposizione della prima pericope della Genesi; e altri varî. La lingua di tutti questi testi è aramaica.
Diffuso nel sec. XIII per opera di Mōsheh de León, lo Zōhar fu subito sospettato di essere una falsificazione di questo scrittore; e tali sospetti íurono ritenuti fondati dalla critica del sec. XIX. Nella critica più recente si è fatta strada, per contro, l'idea che lo Zōhar, pur essendo stato redatto in gran parte nel sec. XIII, contenga anche alcuni strati assai antichi, e che la paternità di Mōsheh de León sia probabilmente da escludersi. Ma ultimamente (1935) lo specialista più competente in materia, G. Scholem, che aveva prima aderito al suaccennato nuovo atteggiamento della critica, ha esposto il suo convincimento finale che vi siano nello Zōhar strati antichi, che gli anzidetti tesii c) e d) siano stati composti fra il 1290 e il 1300, e che la parte principale, con i testi a) e b) e con i più dei testi minori, sia stata composta fra il 1260 e il 1280 da un solo autore, probabilmente Mōsheh de León, il quale avrebbe dato ai suoi scritti carattere pseudo-epigrafico, attribuendoli a Shim‛ōn ben Yōḥay non per altro scopo che per quello di fare scomparire la sua personalità di fronte alle dottrine che a lui premeva di diffondere.
Bibl.: G. Scholem, Bibliographia Kabbalistica, 2ª ed,. Berlino 1933; id., Die Geheimnisse der Schöpfung: ein Kapitel aus dem Sohar, ivi 1935.