Zolfo
Lo zolfo (latino sulphur) è un elemento chimico di simbolo S, numero atomico 16, peso atomico 32,064, molto diffuso in natura, sia allo stato libero sia combinato con altri elementi a formare vari composti; allo stato puro e limpido è di colore giallo citrino e ha odore caratteristico. È un elemento essenziale degli organismi ed è largamente impiegato a scopo industriale.
Lo zolfo si trova in natura allo stato nativo o, più spesso, accompagnato da calcare, gesso, anidride e anche da bitume, in depositi più o meno abbondanti (Sicilia, Romagna, Stati Uniti ecc.) e alla bocca dei vulcani, dove si forma dai gas e vapori solforosi uscenti. Sotto forma di combinazione si trova nei solfuri (di ferro, di zinco, di piombo ecc.), nei solfati (di calcio ecc.), nei gas solforosi, nelle acque solfuree, nei gas di combustione e di distillazione dei combustibili, in molti composti organici (proteine, oli ecc.). Lo zolfo si presenta in diverse fasi cristalline, delle quali le più stabili sono quella rombica (zolfo α), costituita da catene cicliche, a zig-zag, a 8 atomi, stabile fino a 95,5 °C a pressione normale, e quella monoclina (zolfo β), nella quale si trasforma a temperature superiori, stabile fino alla temperatura di fusione (115 °C); le altre forme tendono a trasformarsi nelle prime due. Lo si trova anche sotto forma amorfa, in due varietà, l'una solubile e l'altra insolubile in solfuro di carbonio. Lo zolfo è presente in forma colloidale nel cosiddetto latte di zolfo, dispersione di zolfo ottenuta scomponendo soluzioni di polisolfuri con acidi: da esso precipita il magistero di zolfo, formato in massima parte da zolfo amorfo solubile in solfuro di carbonio (CS₂). Frequenti gli aggregati di grossi individui cristallini. Allo stato puro e limpido lo zolfo, di colore giallo citrino, è trasparente e traslucido, ma spesso è bruniccio per impurità bituminose o grigio chiaro se misto a sostanze calcaree o argillose. L'origine dello zolfo è varia: vulcanica, per reazione tra idrogeno solforato e anidride solforosa, come nelle solfatare, o per parziale ossidazione dell'idrogeno solforato contenuto in alcune sorgenti termali; sedimentaria, per processi di riduzione del solfato di calcio (gesso) o per alterazione atmosferica dei solfuri metallici. Appartengono al primo tipo i depositi della solfatara di Pozzuoli (Napoli), dell'isola di Vulcano (Eolie), dell'isola di Melo (Grecia), di talune zone vulcaniche del Giappone. Al secondo tipo appartengono i giacimenti della Sicilia (province di Agrigento, Caltanissetta, Catania, Palermo), ove il minerale è associato a rocce sedimentarie (formazione gessoso-solfifera), della Romagna e Marche (province di Forlì-Cesena, Pesaro e Urbino, Ancona), in passato importanti dal punto di vista industriale, della Spagna, della Luisiana ecc. Allo stato fuso lo zolfo è un liquido mobile, di colore giallo chiaro, che ispessisce gradualmente al crescere della temperatura; a 160 °C diviene denso e di colore arancio, a 220 °C più scuro e viscoso (la viscosità raggiunge il massimo a circa 260 °C per poi decrescere nuovamente); a 444 °C bolle, dando vapori rosso-bruni che divengono sempre più chiari al crescere della temperatura. Lo zolfo liquido è una miscela di due forme, λ e μ, la prima scorrevole e solubile in solfuro di carbonio (CS₂), la seconda viscosa e insolubile in CS₂; versando lo zolfo fuso in sottile getto in acqua si ottiene lo zolfo plastico (detto così perché si lascia tirare in fili sottili). Dal punto di vista chimico lo zolfo presenta valenza 2, 4, 6; si combina con gran parte degli elementi, brucia all'aria formando anidride solforosa (SO₂) e tracce di anidride solforica (SO₃). Si combina direttamente con l'idrogeno solforato (H₂S), reagisce con molti metalli formando i corrispondenti solfuri; per ebollizione con soluzioni alcaline si ottengono soluzioni di iposolfito e polisolfuri.
Lo zolfo è un elemento essenziale degli organismi, nei quali è presente principalmente come acido solforico e come gruppo solfidrilico. L'acido solforico, allo stato di sale o di estere, si rinviene nei solfati, nei solfatidi, negli acidi mucoidinsolforico e condroitinsolforico, nonché nei prodotti delle cosiddette sintesi protettive. Nello zolfo solfidrilico (al quale, funzionando da donatore-accettore d'idrogeno nei processi di ossidoriduzione cellulare, spetta la massima importanza biologica) si distinguono una quota proteica e una quota non proteica. La prima, a eccezione delle protamine e della fibroina (scleroproteina della seta), si rinviene in tutte le proteine (le albumine e le cheratine ne sono particolarmente ricche), alle quali viene fornito dagli aminoacidi metionina e cisteina. La formazione dei ponti disolfuro (-S-S-) tra questi aminoacidi, presenti sia nella stessa catena polipeptidica (intramolecolari) sia in catene diverse in contatto tra loro (intermolecolari), ha un ruolo particolarmente importante nella costituzione della struttura secondaria e terziaria delle proteine, in quanto ne determina la funzionalità. Ne è un chiaro esempio l'insulina, che, se denaturata, perde del tutto la sua attività biologica. Lo zolfo è di fondamentale importanza anche perché costituisce il centro reattivo di molti enzimi, ai quali permette di svolgere la loro funzione catalizzatrice. La quota non proteica è rappresentata dalle sostanze in rapporto con gli aminoacidi (glutatione, taurina, omocisteina, cistationina, cistina), dall'ergotioneina, dall'acido tioctico, dalle vitamine B₁ (tiamina) e H (biotina), dall'uratione. Il glutatione è sicuramente il più importante tra questi, in quanto è capace di reagire direttamente con numerosi radicali dell'ossigeno dotati di elevata tossicità, evitando in questo modo che tali molecole altamente reattive danneggino sia le macromolecole biologiche (proteine, acidi nucleici) sia le strutture cellulari.
In natura, la mutua conversione ciclica dello zolfo e di diversi suoi composti si svolge in acque marine, salmastre o dolci (lacustri o paludose), con fondi limacciosi e ricchi di sostanze organiche, per via biologica e con processi non biologici. L'importanza biologica dello zolfo è rilevante per la notevole quantità di solfati presenti sulla Terra. I numerosi microrganismi (Beggiatoacee, Tiorodacee, Clorobatteriacee ecc.) nonché altri organismi non specializzati (Batteri, Attinomiceti, Funghi) che partecipano al ciclo possono operare in ambiente aerobico o anaerobico e, a seconda dell'una o dell'altra condizione, alcune reazioni risultano a essi alternativamente precluse. Il ciclo dello zolfo si può così riassumere: i solfati vengono ridotti a H₂S da Batteri della specie Desulfovibrio desulfuricans, in anaerobiosi e in presenza di sostanze organiche o di idrogeno. Questo genere ha forme marine e di acqua dolce ed è assai diffuso in ambienti saturi di acqua, come le torbiere. La riduzione anaerobica si compie in particolare sui solfati ma anche sui solfiti, tiosolfati, zolfo colloidale e su materiali organici, utilizzando le riserve di ossigeno dei solfati. L'idrogeno solforato in aerobiosi viene ossidato nelle acque sulfuree a zolfo elementare dai Batteri del genere Beggiatoa, e si accumula in granuli nelle cellule di questi ultimi, ove costituisce una sostanza di riserva. Se, peraltro, viene a mancare l'H₂S, cessa il deposito di zolfo intracellulare e quello già presente viene riossidato ed escreto come solfato. La presenza di H₂S in acque sulfuree determina un abbondante pullulare di microrganismi che lo utilizzano. Per es., le Tiorodacee causano la comparsa di estese masse rosse in acque marine intorno a Copenaghen e Odessa; altri germi formano grandi concrezioni di zolfo nelle acque che sgorgano da sorgenti sulfuree; all'attività di microrganismi si devono le reazioni riduttive che hanno provocato la formazione di grandi depositi sedimentari di zolfo. In ambiente anaerobico, le Beggiatoacee, mancando l'ossigeno, non accumulano zolfo e possono riossidare quello presente. Thiobacillus thiooxidans, autotrofo aerobio, può produrre notevoli quantità di acido solforico, partendo da zolfo elementare; Thiobacillus thioparus, anch'esso diffuso nel terreno, esige un pH prossimo alla neutralità, e ciò richiede la presenza di CaCO₃ come neutralizzante. Alcuni Batteri del ciclo dello zolfo sono pigmentati (Chromatius è rosso, Chlorobium è verde) e atti a compiere fotochemiosintesi ossidando H₂S o H₂ o sostanze organiche in reazioni che forniscono energia per la riduzione della CO₂. Il ciclo principale presenta diverse vie secondarie di circolazione dello zolfo, tra cui alcuni percorsi di autossidazione.
Lo zolfo può provocare stati di avvelenamento, soprattutto in connessione con malattie professionali. Si chiama solfocarbonismo l'intossicazione da solfuro di carbonio, cui sono esposti i lavoratori addetti alla produzione del solfuro e del tetracloruro di carbonio, del raion alla viscosa, della gomma ecc., o ad altre attività in cui si adopera solfuro di carbonio. L'intossicazione avviene prevalentemente per via respiratoria: in forma acuta, caratterizzata da cefalea, eccitazione e confusione mentale, torpore, coma, possibili alterazioni viscerali (epatite, nefrite), talvolta morte per blocco del centro respiratorio; in forma cronica, con alterazioni di vari organi e apparati (deficit neurologici sensitivo-motori, psicosi di diverso tipo, vasculopatie ipertensive, disturbi gastroenterici, renali ecc.). Il solfidrismo è invece l'intossicazione da idrogeno solforato, che può manifestarsi con gravi fenomeni respiratori (dispnea, cianosi, edema polmonare) e neurologici (midriasi, perdita della conoscenza), frequentemente mortali, e in forma cronica con sintomi respiratori (bronchite cronica), neurologici (cefalea), astenia, colorazione giallastra della cute. Altre intossicazioni sono dovute ad anidride solforosa (che può agire per via inalatoria, provocando irritazioni delle vie respiratorie o, quando sia in forma liquida, per contatto, agendo come congelante dei tessuti) e ad acido solforico (che può agire come vapore, sulle vie respiratorie, o per contatto, in forma liquida, o con altre modalità).
bibl.: j.r.r. frausto da silva, r.j.p. williams, The biological chemistry of the elements, Oxford, Oxford University Press, 1991; d. voet, j.g. voet, Biochemistry, New York, Wiley, 1990 (trad. it. Bologna, Zanichelli, 1993).