ZONE DEPRESSE e arretrate
Si considerano economicamente depresse o arretrate le zone o regioni interne di uno stato, o singoli stati (o un insieme di stati o anche un intero continente) caratterizzate, quali che siano le cause, dalla persistenza di un reddito medio per abitante sensibilmente più basso, rispettivamente, di quello dello stato cui appartengono le zone o regioni suddette, o di quello di stati o continenti economicamente più progrediti. Si escludono, peraltro, le depressioni di breve durata (di qualche anno) costituenti la fase finale dei cicli economici (vedi crisi economiche, XI, p. 913) che investono simultaneamente tutta la economia di un paese e, talora, l'intera economia internazionale. Non si prendono in considerazione, inoltre, né i territorî sterili (per natura o per destinazione) o inadatti all'insediamento umano, né le zone a basso reddito perché naturalmente povere o derelitte per condizioni permanentemente avverse dell'ambiente (suolo e clima) e non suscettibili di uno sfruttamento più redditizio, sia pure a lunga scadenza, anche ricorrendo alle risorse più progredite della tecnica e della scienza moderna.
Se il basso reddito pro-capite costituisce la caratteristica comune, molteplici (e interdipendenti) sono, per origine, natura e portata, le cause che possono determinare lo stato di depressione o di arretratezza di dette aree che presentano strutture e dinamiche demografiche, economiche e sociali, fortemente differenziate. Diversi, quindi, anche i mezzi proposti o attuati, per eliminare o migliorare tale stato di cose. Sebbene si tratti di concetti relativi, non sempre chiaramente definibili in senso assoluto, la distinzione fra zona "depressa" e zona "arretrata" è abbastanza netta. Quest'ultima designazione fa riferimento alle fasi storiche di evoluzione economica e sociale e sussiste indipendentemente dalla presenza, in seno ad essa, di territorî economicamente poveri o potenzialmente ricchi (ma a basso reddito perché non razionalmente sfruttati) o depressi. La depressione economica deriva, invece, da una notevole e duratura diminuzione del reddito per testa verificatasi, per la stessa area, nel corso del tempo, e può manifestarsi tanto in regioni o stati o continenti economicamente arretrati quanto in quelli di notevole sviluppo economico. Nel linguaggio corrente si tende, tuttavia, a derivare il concetto di depressione economica anche dal semplice confronto con altre zone (altre regioni interne dello stato o altri stati o continenti) a più alto reddito, con il rischio, peraltro, di confonderlo con quello di arretratezza economica nel senso sopraindicato. D'altronde regioni soggette ad una depressione economica permanente - anche se appartenenti a economie nazionali prospere e progredite - possono subire un processo di involuzione economica e trasformarsi, a lungo andare, in aree economicamente arretrate rispetto alle restanti regioni nel frattempo assurte ad un più alto grado di sviluppo.
Zone depresse. - Il concetto di zone o aree economicamente "depresse" (ingl. depressed areas), in senso proprio, ha come presupposto, la precedente esistenza - anche a distanza di una o due generazioni, ma senza risalire nel corso dei secoli - di condizioni economiche normali o di prosperità, che cause sfavorevoli di ordine economico, interno o internazionale, hanno sconvolto. Queste aree sono quindi caratterizzate oltre che da un basso reddito attuale da una diminuzione, più o meno drastica, del reddito preesistente.
Le moderne indagini sulle aree depresse hanno messo in evidenza che una regione, rimasta, per qualsiasi motivo, economicamente in arretrato rispetto alle altre dello stesso stato, non può più risollevarsi al loro livello e tende, anzi, lasciata a sé stessa, a rimanerne sempre più lontana. Ciò per effetto della crescente attrazione preferenziale di capitali e di iniziative verso le zone più prospere a detrimento di quelle depresse, determinata da molteplici fattori. Tra questi predominano - a parità di altre circostanze - i.fattori ambientali: reti e mezzi di trasporto (ferroviarî, stradali, marittimi, fluviali, aerei), servizî portuali, stradali, postali, telegrafici, telefonici, bancarî, abitazioni, acquedotti, fognature, scuole, assistenza sanitaria e sociale, condizioni igieniche e simili. Seguono immediatamente per importanza i cosiddetti fattori agglomerativi; insiti nell'esistenza, nelle zone più progredite, di un equilibrato assortimento di settori economici (agricoli, minerarî, industriali, commerciali) e, soprattutto, di un'ampia gamma di industrie (pesanti e leggere, di beni strumentali e di beni di consumo) e di molteplici servizî e attività collaterali e sussidiarie; dai quali deriva una più facile e pronta acquisizione di materie prime, di prodotti intermedî e ausiliarî, di materiali di manutenzione, comodità di riparazioni, efficiente organizzazione del mercato di approvvigionamento e di sbocco, disponibilità di maestranze specializzate e di tecnici e, in genere, facilità di rapporti economici, finanziarî e sociali. Si determinano così quei fenomeni di inerzia del capitale e delle iniziative che fanno preferire agli imprenditori la localizzazione delle nuove attività o l'ampliamento di quelle esistenti accanto a quelle più progredite. L'effetto combinato e cumulativo delle forze di attrazione verso le aree più prospere e, per contro, delle forze di repulsione per le aree depresse, determina appunto il dislivello, crescente nel corso del tempo, fra le prime e le seconde.
Dimostrativo è, a questo riguardo, il caso del Mezzogiorno d'Italia, per il quale si è anche tentato di determinare la misura statistica della depressione, calcolata nel 1938, rispetto al livello medio nazionale, del 33% (22% per l'agricoltura, 62% per l'industria, 19% per il commercio, 44% per i trasporti e comunicazioni), mentre agli albori della unità d'Italia il Mezzogiorno era ad un livello non molto discosto da quello del resto del paese. si ritiene che la depressione abbia superato nel 1947, il 40%. In queste condizioni la depressione si può risalire soltanto con massicci, organici e sistematici interventi di forze esterne, tanto più efficaci quanto più tempestivi.
Tipica è la legislazione inglese sulle aree depresse (denominate originariamente special areas e recentemente development areas), che risale all'anteguerra ma è stata notevolmente rafforzata e sviluppata nel dopoguerra dal governo laburista, sempre allo scopo essenziale, non di costringere, ma di guidare l'installazione di nuove industrie nelle zone depresse, favorendole in modo razionale. Le aree di depressione vennero delimitate da apposite leggi del 1934 e del 1937, intese a modificare la struttura industriale delle zone stesse, mediante l'opera di commissarî del Board of Trade che promossero e favorirono la costituzione di speciali "trading estates companies", società che, senza fini di lucro, provvedevano a scegliere, acquistare e sistemare aree adatte nelle zone destinate all'industria e a costruirvi stabilimenti, prendendo accordi con le autorità locali ed altri enti per dotarle di tutti i servizî necessarî (strade, ferrovie, forniture di energia, acqua, ecc.). Tali stabilimenti venivano affittati agli industriali a condizioni di favore. A queste speciali società (amministrate da privati, salvo un rappresentante del Tesoro) veniva concesso un largo finanziamento a mezzo di prestiti governativi. Con legge del 15 giugno 1945 (Distribution of industry act) la precedente legislazione venne ampliata e rafforzata, pur continuando in sostanza il Board of Trade ad avvalersi delle "trading estates companies" alle quali furono anche ceduti stabilimenti di guerra di proprietà della stato (ordnance factories). Prestiti e sussidî possono essere concessi oltre che a imprese industriali, anche a società o imprese private o enti locali per l'installazione e sistemazione dei servizî essenziali (basic services): strade, ferrovie, canali, aeroporti, produzione di energia, luce, calore, costruzione di case, assistenza sanitaria e simili. Gli affitti sono concessi per tre o cinque anni, ai prezzi del 1938, la differenza rispetto al 1948 restando a carico del Tesoro. I nuovi impianti industriali fuori delle aree depresse sono soggetti ad autorizzazione e controllo del Board of Trade.
Zone arretrate. - Le zone o aree economicamente arretrate o scarsamente sviluppate (backward o under-developed areas) abbracciano stati e interi continenti che debbono ancora superare le diverse fasi del moderno sviluppo economico e civile che gli stati all'avanguardia del progresso hanno già percorso. Il concetto di arretratezza si concreta attraverso il confronto con i paesi più progrediti, intensamente industrializzati, ad alto livello di vita civile e di reddito per testa. Si hanno pertanto graduatorie molto sfumate che si muovono entro estremi molto discosti: dalle regioni sovraffollate dell'India, della Cina, dell'Europa orientale e meridionale e del Medio Oriente alle zone scarsamente popolate dell'URSS, dell'America meridionale e centrale. Esistono fra zona e zona, differenze cospicue di suolo, di clima, di risorse naturali, di condizioni demografiche, di struttura economica e sociale, di tradizione, di religione, di concezioni di vita.
Difficile è misurare sinteticamente il diverso grado di sviluppo economico di un paese. In linea generale si può dire che le tappe del progresso economico si concretano nel passaggio dalle attività cosiddette primarie (agricolo-minerarie ed artigiane), alla fase secondaria di sviluppo industriale e meccanico, alla fase terziaria dello sviluppo delle altre forme di attività economiche (trasporti, commercio internazionale, banca e finanza). Altri economisti e statistici hanno chiamato queste fasi con altri nomi - stadî non capitalistici, neocapitalistici, di medio, di alto capitalismo - ma tutto si riduce in sostanza, alla constatazione di una legge economica generale, largamente documentata, che mostra come passando da una fase all'altra si accresca sensibilmente il reddito nazionale totale e per testa. Il reddito è tanto più elevato quanto più elevate sono le dosi o proporzioni delle attività secondarie o terziarie, sia pure entro certi ragionevoli limiti di equilibrio fra le diverse attività.
A questa legge non si sottrae nessuno stato, qualunque sia il tipo di organizzazione economica: capitalistica o socialista. Paesi ad agricoltura ricca con redditi per testa relativamente elevati, come la Nuova Zelanda, l'Australia o l'Argentina, non costituiscono una eccezione in quanto la proporzione di addetti all'agricoltura, rispetto alla popolazione attiva, è al disotto della media mondiale (forse circa il 60%) e la proporzione tende a decrescere con l'espandersi delle attività industriali e commerciali e dei servizî.
Sulla base del reddito per testa e della percentuale di popolazione agricola non è tuttavia possibile stabilire a quali delle tre suddette "fasi" possa assegnarsi un determinato paese - molti paesi trovandosi a cavallo tra l'una e l'altra fase - né, tanto meno, fissare graduatorie razionali di sviluppo economico. Numerosi altri fattori, non sempre misurabili quantitativamente, entrano infatti in gioco, specialmente fra paesi che si trovano nella stessa fase di sviluppo ma con diverso grado di redditività dei varî fattori economici produttivi, con strutture e dinamiche demografiche, economiche e sociali fortemente differenziate.
Fra i molti elementi indicativi da prendere in considerazione per contraddistinguere e, se possibile, graduare i paesi secondo il grado di sviluppo economico, statistici ed economisti sono, per lo più, d'accordo nel ritenere che le economie arretrate sono caratterizzate, oltre che da un basso reddito per testa e da un'alta percentuale di popolazione agricola da un eccesso di popolazione, da una bassa produttività agricola ed industriale, da una notevole proporzione di lavorazioni artigiane e casalinghe - con bassi investimenti, quindi, di capitale per addetto - e da scarsa disponibilità di capitali. In molti casi, peraltro, i dati medî nazionali, mascherando importanti situazioni regionali (in Italia, il Nord fortemente industrializzato è controbilanciato dal Sud agricolo; in Cecoslovacchia, alla Slovacchia agricola si contrappone il resto del paese con alto grado di industrializzazione) si rendono inadatti a determinare l'effettivo grado di sviluppo economico.
Zone di bonifica. - Un posto a sé stante, fra le zone a basso reddito medio per testa, occorre fare alle cosiddette aree di bonifica, esistenti anche nei paesi economicamente progrediti e prosperi, che sono suscettibili, a scadenza più o meno lunga, di incrementi sensibili di reddito, con l'esecuzione di grandi lavori di bonifica idraulica e di trasformazione fondiaria, di sistemazione e sfruttamento dei corsi d'acqua per usi agricoli e industriali, di sistemazioni montane, di industrializzazione e simili. Di queste zone economicamente bonificabili costituiscono un esempio tipico molte regioni d'Italia (vedi bonifica, in questa App.) e dell'Olanda. Per la originalità di concezione e di organizzazione e per la importanza di opere, è divenuta famosa la bonifica integrale della vallata del Tennessee negli Stati Uniti (v. tva, in questa App.).
La distinzione fra economie depresse, arretrate, di bonifica - sopra esemplificata per casi tipici - non è sempre netta né sempre chiaramente definibile, specialmente quando dall'esame analitico di singole regioni o zone interne di uno stato si passa a confronti internazionali fra stati e continenti. Zone appartenenti ai tre tipi suddetti, possono coesistere, in misura più o meno accentuata, anche nell'ambito di uno stesso stato economicamente e civilmente progredito. Tipico è il caso del Mezzogiorno d'Italia, nel quale il 26%, della superficie produttiva è soggetta a bonifica agraria (contro il 20% del resto d'Italia).
I seguenti dati statistici dànno una idea del grave squilibrio esistente fra le due parti d'Italia, sotto qualunque aspetto economico e sociale si voglia considerare la questione. Il reddito netto per abitante è, nel Mezzogiorno, poco più della metà di quello del Nord. I consumimedî per abitante sono, in complesso, inferiori al 50% di quelli del resto d'Italia. Mentre la popolazione complessiva costituisce il 37,4% della popolazione totale dell'Italia, l'incremento naturale annuo della popolazione del Mezzogiorno raggiunge il 56%. Il Mezzogiorno, prevalentemente agricolo e sovraffollato, è posto a fianco di regioni altamente industrializzate (del Nord e del Centro) nelle quali si sono accentrati, e in misura crescente, gli sviluppi industriali - che hanno quasi saturato i bisogni del mercato interno nazionale - nonché quelli economici e sociali. Il grado di industrializzazione è estremamente ridotto. Il Mezzogiorno contribuisce infatti soltanto con il 19% al valore lordo della produzione industriale dell'Italia. L'artigianato rappresenta circa il 43% degli addetti all'industria (contro il 22% al Nord). Le persone addette ad esercisî senza forza motrice costituiscono quasi il 60% degli addetti alle industrie del Mezzogiorno.
Nel corso del tempo il divario industriale fra il Mezzogiomo e il resto d'Italia si è accresciuto sensibilmente. Nel 1861 gli addetti all'industria e ai trasporti, su 100 abitanti di 10 anni e più, costituivano il 23%, mentre nel 1936 la percentuale si contraeva al 13,7%. Nel resto d'Italia invece le percentuali subivano un incremento sensibile. Considerando gli addetti e i cavalli-vapore installati, si è rilevato che nel Mezzogiorno essi costituivano, nel 1903 (all'epoca del primo censimento industriale), il 22,6% e soltanto il 15,8% nell'ultimo censimento industriale (1937-39).