ZORRILLA y MORAL, José
Poeta spagnolo, nato il 21 febbraio 1817 a Valladolid da don José Zorrilla che vi rivestiva l'elevata carica di relatore della cancelleria e da doña Nicomedes Moral; morto a Madrid il 25 gennaio 1893. A dieci anni fu messo a studiare dai gesuiti nel reale seminario dei nobili a Madrid, dove il padre era stato nominato "alcalde de casa y corte". Ne uscì nel 1832 per seguire i corsi di diritto nell'università di Toledo, ma di contraggenio, obbedendo alla volontà di suo padre, uomo quanto mai rigido e autoritario, tagliato all'antica. Della falsa educazione culturale che ricevette nel seminario poco si avvantaggiò il futuro grande poeta. Trasportato dalle sue tendenze letterarie, lesse avidamente W. Scott, F. Looper, Chateaubriand, A. Dumas, V. Hugo, oltre al Romancero, a Juan de Mena, a Jorge Manrique, avvivando così sempre più le sue inclinazioni di sognatore romantico. Ben presto abbandonò gli studî legali e la ruppe col padre. Si fissò a Madrid, libero e indipendente, ma costretto a vivere di stenti. Venne il giorno in cui si rivelò al mondo letterario e fu in occasione del seppellimento di Mariano José de Larra ("Figaro") sulla tomba del quale lesse il 15 febbraio 1837 un'ispirata poesia che commosse e fece presagire il grande poeta. Disgusti familiari lo decisero a partire dalla Spagna. Prima fu in Francia, poi più a lungo nel Messico dove godé la protezione e l'amicizia dell'imperatore Massimiliano che lo nominò direttore del teatro nazionale. Nel 1866 tornò in Spagna. Fu dal 1871 al '74 anche a Roma con l'incarico ufficiale di fare ricerche negli archivî e biblioteche di Roma e di altre città italiane per accertare le proprietà e i diritti di Spagna sulle varie fondazioni spagnole in Italia. La sua fama, sempre maggiore, gli procurò, sì, onori e festeggiamenti fino a quello solennissimo dell'incoronazione dell'alloro poetico nell'Alcázar di Granata il 21 giugno 1889, ma non gli fruttò mai tanto da vivere meno disagiatamente.
L'immensa popolarità di cui godette lo Z. gli derivò dall'essere stato il cantore immaginoso e sentimentale delle leggende, delle belle tradizioni poetiche della vecchia Spagna, sempre care al cuore del popolo. Straordinariamente feconda, la sua produzione letteraria comprende liriche, composizioni narrative e composizioni drammatiche. Nel 1837 pubblicò le Poesías con un prologo di N. Pastor Díaz: l'amore, la religione, il passato glorioso della patria ne sono le più copiose e vive fonti d'ispirazione. Il poeta stesso riconobbe che, impaziente della lima, vibrante tutto sotto l'impeto della fantasia, nel molto che scrisse è non poca parte caduca; certo avvertiamo oggi più che non si avvertissero un tempo molte ridondanze, certa fiacchezza e prolissità in cui si stempera talvolta il dolce canto. Pure, così com'è, la poesia dello Z. attrae per il sentimento sincero, per la ricchezza dei colori, per le fluenti armonie. È il poeta schietto che canta per il diletto suo e di chi lo ascolta, senza inquietudini spirituali, ma tocco da qualunque pur lieve impressione esteriore.
Lo Z. toccò il suo vertice nelle leggende nazionali, per le quali egli è il poeta per eccellenza nel sec. XIX spagnolo, ché in lui sia la poesia lirica intesa nel significato più ampio, sia la narrativa e la drammatica si compenetrano e fondono artisticamente. Come ben si definì da sé, egli è un "trovador errante", un trovatore che ha sempre il pensiero e il cuore rivolto al passato romantico. Le sue Leyendas che in buon numero compongono anche i Cantos del trovador (1840-41) e le Vigilias del estío (1842) prendono le mosse e lo spunto dalla storia e dalla tradizione patria, ma ben presto non riflettono se non la sbrigliata, sognatrice immaginazione del poeta, guadagnando tuttavia in bellezza poetica, in smagliante colorito, in potente rilievo. Queste leggende, fu detto, sono la cima più alta cui giunse il romanticismo spagnolo. Bene spesso, sopra un fondo storico, o figurato tale, si riallaccia un elemento, una credenza religiosa; ciò avviene particolarmente in A buen juez mejor testigo e in Margarita la tornera, le due più note.
Molto simili alle leggende, per il carattere dell'ispirazione e per lo stile, sono i suoi lavori teatrali. Alcuni, imitati dal teatro classico, sono vere commedie di cappa e spada. I più celebrati sono drammi storici, attinti anch'essi e rimaneggiati, come le leggende, da svariate fonti nazionali e straniere, pur serbando un carattere prettamente spagnolo. Possiamo citare: El zapatero y el rey intorno a don Pedro il Giustiziere, La copa de marfil sulla leggenda storica di Rosmunda, El puñal del godo circa la leggenda di don Rodrigo, Traidor confieso y mártir circa il re don Sebastiano di Portogallo e il Pastelero del Madrigal. Su tutti però primeggia il dramma fantastico-religioso Don Juan Tenorio. Scritto in meno di un mese nel 1844 quando il poeta contava appena ventisette anni, nonostante i difetti che la critica vi ha rilevato, esso è rimasto famoso e popolare sempre più nel tempo come nessun altro, tanto che ogni anno, nel novembre, è rappresentato nei teatri di Spagna con sempre vivo entusiasmo degli spettatori. Le fonti sono: El burlador de Sevilla o convitado de piedra di Tirso de Molina, No hay plazo que no se cumpla ni deuda que no se pague di don Antonio de Zamora, Les âmes du purgatoire di P. Mérimée, La cène chez le Commendeur di Blaze de Bury, e il Don Juan de Manara di A. Dumas. Non conobbe lo Z., a sua confessione, Le Festin de Pierre di Molière. Il protagonista del dramma, don Giovanni, rappresenta il tipo più caratteristico della nazionalità spagnola, e ciò spiega l'immenso, sempre crescente favore che ebbe il dramma. Libertino sacrilego, credente e scettico secondo la passione che lo agita, beffardo e cavalleresco, sprezzante d'ogni costrizione religiosa e sociale, è però animoso e bello nella sua dissolutezza, vuole e ama il male non per il male ma come mezzo e strumento di umana, insaziabile bramosia del piacere. Soltanto la Spagna, la terra dei vivi e stridenti contrasti, dei grandi eroi, di grandi santi, ma anche di grandi peccatori, di Santa Teresa ma anche di Juan de Mañara, d'Ignazio e della sua Compagnia ma anche di avventurieri e banditi che popolano e caratterizzano tanta parte della sua letteratura, poteva esprimere dal suo seno don Giovanni Tenorio. Nel dramma del frate mercedario Tirso de Molina il magnifico ribelle si danna, in Z. si salva per l'amore di doña Inés.
Un'opera incompiuta è il poema orientale Granada. di cui abbiamo nove libri, preceduti da una Leyenda de Al-Hamar (Parigi 1852). Lo Z. si era proposto con esso di rappresentare un vasto quadro d'insieme della dominazione e della civiltà araba in Spagna. Vi si preparò con pazienti studî, tra cui quello della lingua araba. Argomento è la conquista che di Granata fecero i Re Cattolici nel fatidico anno 1492. Esuberanza di luci, sfarzosa profusione di colori, calda immaginazione descrittiva è ciò che più spicca nel poema insieme con vive sculture di caratteri umani sia del campo cristiano sia del campo moresco. Fonte principale, dall'autore stesso indicata con altre, è la Historia de Granada del granadino don Miguel de la Fuente Alcántara.
Ediz. e bibl.: Obras dramáticas y líricas de J. Z., ed. M. P. Delgado, Madrid 1895, voll. 4; Galería dramática: Obras completas, ivi 1905, voll. 4; Obras de don J. Z. Nueva edición corregida y la sola reconocida por el Autor, Parigi 1852, voll. 3. Da consultare: A. de Valbuena, J. Z.: estudio crítico biográfico, Madrid 1889; E. Ramírez Ángel, Biografía anecdótica de J. Z., ivi 1917; N. Alonso Cortés, Z. Su vida y sus obras, Valladolid 1916-20, voll. 3; id., En torno a Z., in Anotaciones literarias, ivi 1921; Amigos de J. Z., ivi 1933.