abaya
s. f. inv. Sopravveste tradizionale islamica, di lana pesante perlopiù di colore nero o scuro, lunga fino ai piedi. ◆ gli occhi di Barakat non sorridono mai. Sono sempre impauriti. Più neri dell’abaya che riveste da capo a piedi la madre premurosa seduta al suo fianco. Quel pomeriggio Barakat e i suoi fratelli stavano lavorando. Aprire i proiettili, separare la polvere da sparo dal metallo, nella Bagdad del dopoguerra è una raccolta differenziata che si insegna ai bambini. Perché hanno le mani piccole. Perché sono tanti. Ma non sono artificieri, anche loro perdono la pazienza. (Michele Farina, Corriere della sera, 26 settembre 2003, p. 17, Esteri) • due gerarchi del deposto regime: l’ex governatore del Kuwait sotto occupazione, Ali Hussein al-Majid («Ali il chimico»), e l’ex ministro della Difesa Sultan Hashim Ahmed […] giungono nell’aula ammanettati e affiancati da poliziotti iracheni, con indosso un vestito all’occidentale - sopra il quale però Hashim porta una tradizionale sopraveste scura, l’abaya -, con camicie bianche e senza cravatta. (Giornale di Brescia, 19 dicembre 2004, p. 1, Prima pagina) • Nell’ultimo anno in Medio Oriente dagli scaffali dei negozi di giocattoli le bambole Barbie sono scomparse. Al loro posto è comparsa Fulla, una bambola dagli occhi scuri e, per dirla con le parole del suo creatore, con «principi musulmani». Fulla in comune con la Barbie ha vagamente dimensioni e proporzioni, ma dalla sua scatola rosa fiammante esce avvolta in una nera abaya e con un velo sulla testa dello stesso colore. (Katherine Zoepf, trad. di Anna Bissanti, Repubblica, 23 settembre 2005, p. 22).
Dall’arabo abaya.
Già attestato nella Repubblica del 23 agosto 1990, p. 6 (Vladimiro Odinzov), usato come s. m.