acuto
(ant. aguto) agg. [lat. acūtus, part. pass. di acuĕre «acuire»]. – 1. a. Che termina in punta sottile, aguzzo: Con una spada lucida e aguta (Dante); d’acuti strali Ambe carche le mani (Caro); l’ombra lunga ed a. del campanile (Manzoni); monte A., toponimo diffuso in varie parti d’Italia. b. In geometria, angolo a., angolo minore di un angolo retto, cioè inferiore a 90°. Per estens., di tutto ciò che ha forma d’angolo acuto: arco a. o a sesto a. (v. arco); in botanica, dell’apice di un organo se i suoi due margini convergenti formano un angolo acuto. 2. fig. a. Fine, penetrante: vista a., occhio a. (meno com. riferito all’udito); mente a., ingegno a.; persona a., di sottile ingegno, perspicace; per estens., discorso a., critica a., osservazione a., che rivela acutezza di mente. b. Di tutto ciò che dà l’impressione di penetrare o pungere i sensi: odore a.; freddo a.; un dolore a.; un a. grido; un fischio acutissimo. In acustica, suoni a., in contrapp. a gravi, quelli ai quali corrispondono le frequenze più elevate; in partic., in musica, suoni a., note a., le note alte (anche s. m.: attaccare, intonare, fare un a., prender bene gli a.); spesso muta corda, e varia suono, Ricercando ora il grave, ora l’a. (Ariosto). c. In medicina, di malattia o quadro morboso che tende a compiere rapidamente il suo ciclo (comparsa, decorso, esito); con sign. più generico, febbre a., febbre alta (ma talora ha indicato anche qualche malattia particolare): Per febbre aguta gittan tanto leppo (Dante). Analogam., fase a. di una questione, il momento saliente, quando questa è prossima alla sua soluzione; con senso più generico (più vicino all’accezione seg.), riferito a contrasto, dissidio e sim., di particolare intensità e violenza: la tensione tra le due opposte fazioni si faceva di giorno in giorno più acuta. d. Vivo, intenso (riferito agli affetti, ai sentimenti): desiderio a., voglia a.; anche della persona che sente intensamente il desiderio: Li miei compagni fec’io sì aguti, Con questa orazion picciola, al cammino, Che a pena poscia li avrei ritenuti (Dante). 3. In grammatica, accento a., segno grafico (´) che in italiano è adoperato per indicare il timbro chiuso delle vocali e e o toniche, come nelle voci védovo, córrere (analogamente in francese, per indicare il timbro chiuso della e; per es. été); da alcuni è usato anche, invece del grave, per segnare la posizione dell’accento tonico, quando questo cade sopra una i o una u (balía, circúito). Non ha attecchito nell’ortografia italiana l’uso del solo accento acuto (escludendo quindi il grave) per indicare la posizione dell’accento tonico, su qualunque vocale questo cada; uso che è, invece, di norma nella lingua spagnola, ed è anche per lo più seguito dai glottologi nelle trascrizioni fonetiche. In greco l’accento acuto indica l’elevamento del tono di voce su una sillaba (v. accento). ◆ Avv. acutaménte, in modo acuto, limitatamente agli usi fig. dell’agg., cioè in modo vivo, sottile, penetrante, intenso, e sim.: pungere acutamente; gridare acutamente; scorgere, osservare acutamente; soffrire acutamente.