allitterazione
allitterazióne s. f. [dal lat. uman. allitteratio -onis, der. di littĕra «lettera»]. – 1. Ripetizione, spontanea o ricercata (per finalità stilistiche o come aiuto mnemonico), di un suono o di una serie di suoni, acusticamente uguali o simili, all’inizio (più raram. all’interno) di due o più vocaboli successivi; è un fenomeno che non interessa soltanto l’arte retorica ma appartiene anche alla lingua comune, in cui ha dato origine a varie locuzioni di uso corrente (bello e buono, tosto o tardi, senza capo né coda). Come artificio retorico, è frequente presso gli autori latini (famoso è rimasto l’esametro degli Annali di Ennio: «O Tite tute Tati tibi tanta tyranne tulisti»); nell’antica poesia germanica è elemento fondamentale del verso. Numerosi esempî si possono trovare nella poesia italiana di ogni tempo; basterà citare, di Dante: «tra l’altre luci mota e mista, Mostrommi l’alma che m’avea parlato» (Par. XVIII, 49-50), e più ancora la terzina Par. III, 121-123 già citata alla v. armonia come esempio di onomatopea; in Pulci, Morgante XXIII, 47, l’allitterazione dà luogo a un’intera ottava di bisticci: «La casa cosa parea bretta e brutta, Vinta dal vento, e la natta e la notte Stilla le stelle, ch’a tetto era tutta; Del pane appena ne détte ta’ dotte; Pere avea pure e qualche fratta frutta, E svina, e svena di botto una botte; Poscia per pesci lasche prese all’esca; Ma il letto allotta alla frasca fu fresca». 2. Per analogia, si parla talvolta di a. musicale, per indicare la ripetizione di suoni o di accordi, particelle ritmiche, intervalli accentati metricamente o pateticamente (a. forti), o la ripetizione, nel tema, degli elementi melodici, ritmici o armonici in tempi deboli (a. deboli).