anaforico
anafòrico agg. [dal lat. tardo anaphorĭcus, gr. ἀναϕορικός, der. di ἀναϕορά «anafora»] (pl. m. -ci). – 1. Di anafora, come termine della retorica: costrutto a., quello in cui le proposizioni o i versi incominciano con una o più parole uguali (per gli esempî, v. anafora, nel sign. 2); termine a., elemento lessicale (pronome dimostrativo, avverbio, sostantivo, ecc.), che richiama la nozione di una persona o cosa nominata precedentemente, o riassume un concetto precedentemente espresso, per lo più con lo scopo di ottenere maggiore chiarezza ed efficacia; per es.: «due buoni scapaccioni: questo è ciò che si merita»; «Quando giungon davanti a la ruina, Quivi le strida, il compianto, il lamento» (Dante, Inf. V, 34-35); era frequente in latino l’uso anaforico del pronome is, per es.: quam quisque norit artem in ea se exerceat (propr.: «quell’arte che ognuno conosce, in essa si eserciti»). 2. Nel linguaggio medico, sinon., poco com., di emetico.