anestesia
anesteṡìa s. f. [dal gr. ἀναισϑησία «insensibilità», comp. di ἀν- priv. e αἴσϑησις «sensazione»]. – 1. In medicina, assenza della sensibilità per cause organiche (più propriam. detta perciò a. organica), provocata cioè da lesione o distruzione delle vie o dei centri della sensibilità nelle sue varie forme; a seconda del livello e delle sedi in cui è intervenuta la lesione, si distingue in corticale, sottocorticale, talamica, capsulare, spinale, radicale e periferica. 2. a. Abolizione della sensibilità, indotta dall’interruzione operatoria delle vie sensitive (a. chirurgica), o mediante l’uso di particolari farmaci (anestetici) che sopprimono temporaneamente la sensibilità dolorifica rendendo possibili gli interventi chirurgici, ostetrici, ecc. b. La pratica mediante cui si induce con mezzi farmacologici l’anestesia, che può essere generale o locale, secondo che si agisca su tutto il corpo o su una parte soltanto di esso, e si distingue, a seconda dei metodi usati, in: a. per inalazione, eseguita mediante applicazione di una maschera al viso del paziente, attraverso la quale egli aspira l’anestetico; a. per iniezione; a. rettale, con immissione cioè nel retto di un clisma contenente barbiturici; a. spinale, eseguita iniettando il liquido anestetico nel canale vertebrale per ottenere un’anestesia periferica a vasto raggio; a. epidurale (v. epidurale). Per estens., l’operazione medica con cui a un paziente, spec. in vista di un’operazione chirurgica, viene sospesa, con opportune procedure, la sensibilità dolorifica: avere paura dell’a.; gli hanno fatto l’anestesia.