antibuonista
(anti-buonista), s. m. e f. e agg. Chi o che non si conforma all’esibizione di buoni sentimenti. ◆ L’Italia è all’avanguardia di questo ritorno militante alla naturalezza della disuguaglianza di fronte alla legge, del disprezzo dell’altro, della cattiveria anti-buonista, della militarizzazione linguistica. Il nostro lessico politico sembra essersi completamente liberato da inibizioni, da convenzioni ritenute ormai artificiali, e da quel freno civilizzatore chiamato pudore. (Barbara Spinelli, Stampa, 22 giugno 2003, p. 1, Prima pagina) • Per gli altri, quelli che dovranno ripetere l’anno, la dizione eufemistica è: «non ammesso». «È un’evoluzione generale della lingua burocratica» commenta cinico un professore antibuonista: «Una volta si diceva bocciato. Poi respinto. Poco tempo fa, non promosso. Adesso si dice non ammesso. Ma si fa largo, vedrai, un nuovo uso: diversamente ammesso». (Maurizio Barbato, Repubblica, 16 giugno 2004, Palermo, p. XIV) • Walter Veltroni ha tirato fuori anche un volto antibuonista che sorprenderà qualcuno. La sua proposta è di «raddoppiare la pena a chi vende la droga davanti alle scuole». (Fra. Gri., Stampa, 2 ottobre 2007, p. 11, Interno).
Derivato dal s. m. e f. e agg. buonista con l’aggiunta del prefisso anti-.
Già attestato nella Stampa del 10 luglio 1995, p. 16, Società e Cultura (Pierluigi Battista).