antipartitocratico
(anti-partitocratico), agg. Contrario alla partitocrazia. ◆ Si può dire quindi che negli anni Novanta la politica era fisiologicamente in una fase di raffreddamento. I momenti caldi sono stati segnati dall’apparizione di istanze fortemente emotive (come la secessione per la Lega), dall’intento anti-partitocratico realizzato dal movimento referendario con l’attacco alla democrazia proporzionale, ma soprattutto dallo scontro fra gli schieramenti: Polo contro Ulivo, Centro-sinistra contro Centro-destra, [Romano] Prodi contro [Silvio] Berlusconi. (Sole 24 Ore, 23 ottobre 2000, p. 5, Italia - Politica) • Forza Italia vuole essere il partito del «fare» e quindi vuol far pesare innanzi tutto «i fatti»: le scelte di governo, legislative e amministrative. Il «partito» dovrebbe, dunque, tornare a essere «leggero» cioè più movimento che struttura organizzata. Mentre gli «uomini di governo» dovrebbero continuare a essere il punto di riferimento fondamentale in un’organizzazione sostanzialmente antipartitocratica. (Foglio, 12 luglio 2001, p. 3) • Perché Milano del berlusconismo politico, così come di altri importanti fenomeni politici del Novecento, è stata la culla ed è tuttora, per moltissimi aspetti, la capitale. Sulle rovine della Prima Repubblica, e sull’onda di una rivolta antipartitocratica, gli ha dato, dieci anni fa, spinta propulsiva, e poi consenso, identità, ceti e gruppi sociali di riferimento, immagine, cultura: (Paolo Franchi, Corriere della sera, 26 giugno 2004, p. 1, Prima pagina).
Derivato dall’agg. partitocratico con l’aggiunta del prefisso anti-.
Già attestato nella Repubblica del 21 febbraio 1986, p. 1, Prima pagina (Alberto Cavallari).