antonomasia
antonomàṡia s. f. [dal lat. antonomasia, gr. ἀντονομασία propr. «il chiamare con nome diverso», der. di ἀντονομάζω «cambiar nome»]. – 1. Traslato che consiste nell’indicare una persona o una cosa, anziché col suo proprio nome, con uno più generico e comune, con una locuzione che ne indichi una qualità caratteristica, o con l’appellativo derivato dal luogo di nascita, per es.: il Poeta (Dante), l’Apostolo (s. Paolo), l’Astigiano (Alfieri), il Maligno (il demonio), il Poverello d’Assisi (s. Francesco), il Segretario fiorentino (Machiavelli). Come locuz. avv., per a., per figura d’antonomasia: Gertrude, appena entrata nel monastero, fu chiamata per a. la signorina (Manzoni); anche in usi estens. del linguaggio com. o pubblicitario (dove però la locuz. il più delle volte è sottintesa, implicita nella frase), con riferimento a persona, o a cosa, a cui si riconosca o si attribuisca una qualità, una dote, una condizione in misura eccellente e perciò distintiva: non era soltanto un campione, era «il campione» per a.; un caffè di gran marca, anzi «il caffè» per antonomasia. 2. Traslato inverso del precedente, che consiste nell’attribuire a una persona, come nome comune, il nome proprio di un personaggio che possedette le stesse qualità in modo eminente; per es.: un Ercole (una persona di gran forza), un Creso (un uomo assai ricco), un Mecenate (un protettore delle arti o delle lettere o delle scienze), la Perpetua (la domestica di un prete); e così una babilonia o una babele (grande confusione), ecc.