anzi
prep. e avv. [lat. ante o antea, in posizione prevocalica]. – 1. prep. a. letter. Avanti, prima di: s’adopra Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba (Leopardi); si conserva nell’uso, ma non com., nelle locuz. anzi sera, anzi notte, anzi tempo (v. anzitempo), nell’avv. anzitutto (v.), nell’agg. anzidetto (v.). Seguito da che, forma cong. temporale: non so s’io mi speri Vederla anzi ch’io mora (Petrarca); più comunem. unito, nella cong. anziché, prima che, invece di, piuttosto di: preferisce giocare anziché studiare; le tue parole, anziché rabbonirlo, l’hanno inasprito. Rimane staccato nella locuz. pedantesca o scherz. anzi che no (raro anzichenò, anzichennò), piuttosto, alquanto: è testardo anzi che no. b. ant. Davanti: Pirro, Che i padri uccide anzi gli altari (Caro); e fig., in confronto a, al paragone di: Né tanto scoglio in mar ... s’inalza ... Ch’anzi lui non paresse un picciol colle (T. Tasso). 2. avv. a. Prima; quasi esclusivam. nella locuz. poc’anzi, poco prima, poco fa. b. Invece, all’opposto, al contrario; si usa per correggere un’affermazione già precedentemente negata: non è sciocco, anzi la sa molto lunga; non mi disturbi affatto, anzi mi fai piacere. Anche da solo, in espressioni ellittiche: non è avaro, anzi! c. O meglio, o piuttosto, per modificare quanto s’è già detto: ti manderò a dire qualcosa, anzi ti telefonerò in serata. E con lo stesso sign., ma per introdurre un’espressione rafforzativa: hai agito male, anzi malissimo.