appaltopoli
(Appaltopoli), s. f. inv. Scandalo legato a una presunta concessione di appalti pubblici. ◆ Lui [Sergio Chiamparino] ringrazia «il procuratore per aver subito ritenuto di sentirmi». Chiarendo che «non c’è nessuno che dice di aver dato soldi a me, ma un imprenditore che dice di aver contribuito ad una raccolta di fondi che sarebbero poi dovuti andare nella mia campagna elettorale». E ancora che «emerge in modo molto chiaro non esserci alcuna connessione fra la vicenda “Appaltopoli” e questa ipotesi di illecito amministrativo». (Enrico Caiano, Corriere della sera, 17 ottobre 2002, p. 11, Politica) • Tangentopoli, appaltopoli, mafiopoli: il suffissoide -poli non ha più, come alla lettera dovrebbe, il significato di «città» (quello di metropoli, baraccopoli, megalopoli, tendopoli ecc.). Ma da «città» partì: Tangentopoli difatti era scritto all’origine con lettera maiuscola, quando per la prima volta si usò (1991) riferito a una città, a Milano, ai tempi dell’inchiesta chiamata Duomo Connection. Poi tangentopoli smise di designare la capitale lombarda, e cominciò (1992) a indicare corruzione e scandali: qualsiasi scandalo riguardante il pagamento di tangenti. (Gian Luigi Beccaria, Stampa, 27 maggio 2006, Tuttolibri, p. 11) • «Appaltopoli»: dopo «Tangentopoli», «Affittopoli» e «Vallettopoli» un altro neologismo che descrive situazioni di malaffare e palesa l’esigenza, anche e soprattutto nelle vicende economiche, non di moralizzare (verbo dal contenuto sovente assai ambiguo), ma di rendere semplici le regole e quindi trasparenti le procedure. (Luigi Fadalti, Gazzettino, 27 maggio 2007, Treviso, p. I).
Composto dal s. m. appalto con l’aggiunta del confisso -poli2.
Già attestato nella Stampa del 3 febbraio 1993, p. 5, Interno (Massimo Gramellini).