ascoltare. Finestra di approfondimento
Percepire con l’udito - A. è talora intercambiabile con sentire, di cui spesso rappresenta un sinon. di grado più intenso («prestare attenzione a ciò che si percepisce con l’udito») ed è da taluni, spec. al Sud dove è poco frequente, ritenuto termine più formale. E dunque si può a., o sentire, la radio, una canzone, una discussione, ecc.: ho sentito una notizia interessante al telegiornale; ho ascoltato il testo di quella canzone. In genere a. implica un maggior coinvolgimento del soggetto rispetto a sentire e pertanto, a differenza di quest’ultimo verbo, non si presta a costruzioni passivanti quali: si sentono strani rumori; si sentiva un suono melodioso provenire da fuori. In questi casi udire (più formale) può sostituirsi a sentire. Un analogo uso com. di sentire (ma non di a.) è quello di «aver avuto una notizia più o meno vaga» e anche in questo caso il coinvolgimento del sogg. è minimo: ho sentito che stai per partire. In quest’ultimo caso, oltre a udire, è possibile anche apprendere, sentire dire (o meno spesso udire dire), venire a sapere. Meno com., e talora region., è intendere (dire): ho inteso (dire) che l’hanno licenziato.
Per molti aspetti, il rapporto tra a. e sentire è parallelo a quello tra guardare e vedere. Proprio in virtù del minor coinvolgimento del sogg., la sfera dei sign. di sentire (così come di vedere) è molto più ampia di quella di a.: si può infatti sentire anche con l’olfatto, con il gusto o con il tatto (sento un buon profumo; senti quant’è salato?; senti com’è soffice questa lana), con l’intuito (sento che sta per succedere qualcosa), con il cuore o con i sensi (per te sento un forte amore, una forte attrazione) e altro, laddove a. è limitato alla sfera acustica. Per non parlare degli usi pron. (sentirsi), estesissimi, rispetto al limitato uso riflessivo di ascoltarsi (è talmente egocentrico che quando parla gli piace ascoltarsi). Un’ulteriore conseguenza della minore specificità (e della minore preponderanza del soggetto) di sentire rispetto ad a. è la mancanza, per il primo verbo, di un sost. der. che indichi «l’atto del sentire», laddove per a. si dispone di ascolto, successivamente specializzatosi anche nell’ambito di alcuni mezzi di comunicazione di massa: programmi radiofonici di massimo ascolto; fasce d’ascolto. I sost. senso, sentimento, sentore, ecc. rimandano ovviamente agli altri sign. di sentire. Ancora più specifico è ascoltazione, che si riferisce all’ascolto concentrato da parte di un professionista: l’ascoltazione di un brano musicale da parte di un musicista o di un fonico; l’ascoltazione del torace da parte del medico. In quest’ultimo caso è disponibile anche il latinismo auscultazione.
Segnali discorsivi - Un ambito in cui a. e sentire sono quasi del tutto sinon. è quello dei segnali discorsivi, vale a dire in quei contesti, prevalentemente orali e informali, in cui si voglia mantenere viva la coesione del discorso e soprattutto l’attenzione dell’interlocutore; ma talora si tratta anche di semplici riempitivi: ascolta (o senti), ci vediamo alle dieci, va bene?; dopo quello che è successo, ecco, senti (o ascolta), forse è meglio che non ci vediamo più per un po’. In questi casi, senti è decisamente più frequente di ascolta, fuorché nell’ital. settentr., dove ascolta è molto comune.
Prestare attenzione - A. ha un largo impiego anche nel sign. di «prestare attenzione a un ordine, a una supplica e sim.». In questi casi è frequente l’uso dell’imperat.: ascolta intanto una estrema, unica, sacrosanta raccomandazione (U. Foscolo); ascoltate bene quello che vi chiedo. I sinon. più com. sono dare ascolto (a) e dare retta (a). In senso intens. a. può valere anche «obbedire» ed esaudire: possibile che tu non ascolti mai quello che ti si ordina?; forse Dio in quel dì avrebbe avuto pietà di lei, avrebbe ascoltato i suoi voti (E. De Marchi). Benché meno com., in entrambi questi usi è possibile anche sentire: senti quello che dice la mamma! Anche sentire, tuttavia, implica talvolta un elevato grado di attenzione, soprattutto nella locuz. stare a sentire: stammi bene a sentire: non ho intenzione di aspettare un minuto di più!; senti da che pulpito viene la predica! In alcune espressioni, sinon. di sentire non è a. bensì intendere (non intende ragioni: vuole fare sempre di testa sua) o sapere (hai saputo l’ultima?). Altre volte, invece, a. e sentire sono intercambiabili: vorremmo sentire anche un altro medico (sinon.: a., consultare, interpellare); posso sentire il suo parere? (sinon.: a., conoscere, sapere); vuole sentire che cosa ne pensi (sinon.: a., sapere); senti che ti racconto (sinon.: a.). Quest’ultimo es. è uno dei rari casi in cui a. può reggere una prop. oggettiva, costrutto invece frequentemente retto da sentire (non hai sentito che non vuole più vederti?); l’oggettiva può essere anche implicita: sento sbattere una porta (o sento una porta sbattere o una porta che sbatte).
Contrari - Come per tutti i verbi di percezione, è molto difficile individuare i contr. di a. e sentire, senza ricorrere a perifrasi, spesso d’uso fam.: fare orecchie da mercante («far finta di non sentire»), tapparsi le orecchie. Analogam. non fare una grinza («non scomporsi affatto quando si sente qualcosa di spiacevole»: ai miei rimproveri non ha fatto una grinza) e non darsi per inteso («agire come se nulla fosse stato detto o fatto»: questo le diede coraggio fino a minacciare qualcuno di espulsione perpetua; ma la sua voce gentile e tremola dava così poca forza a quelle minacce, che nessuno se ne diede per inteso [E. De Amicis]). D’altro canto, saranno ovviamente numerosi i contr. di a. nei sign. trasl. o intens. di «obbedire» o «esaudire»: deludere, disattendere, disobbedire, ecc.