ausiliare
auṡiliare agg. e s. m. e f. [dal lat. auxiliaris, der. di auxilium «aiuto»]. – 1. agg. Che è di aiuto: rifornimenti a.; milizie, reparti a.; vescovo a., lo stesso che vescovo coadiutore; verbo a. (o semplicem. ausiliare s. m.), verbo sussidiario, privo in questa funzione di autonomia semantica, che serve per esprimere modalità di tempo, di diatesi o di aspetto di un altro verbo con le cui forme nominali (participio, infinito, gerundio) viene accoppiato (v. anche oltre, Grammatica); in musica, nota a., quella che s’accosta per abbellimento o per altro scopo a una delle note reali costitutive d’un accordo o d’una melodia. 2. s. m. e f. Chi è d’aiuto, chi coadiuva qualcuno nelle sue funzioni: a. dell’imprenditore. In partic., ausiliari del giudice, persone estranee all’organo giudicante e alla parte (per es., il consulente tecnico, l’interprete, il curatore fallimentare, ecc.), che compiono nel processo singole operazioni, richieste dalle parti o dal giudice per gli scopi del processo e necessarie allo svolgimento regolare della funzione giurisdizionale.
Grammatica. – Nelle lingue moderne l’uso del verbo ausiliare, probabilmente ignoto all’indoeuropeo, si va sempre più diffondendo, concordemente alla tendenza al passaggio dal tipo di lingua sintetico a quello analitico: in tedesco ich werde loben, in inglese I shall o will love, in francese je vais venir. In italiano, sono ausiliari i verbi essere e avere, i quali si uniscono al part. pass. degli altri verbi per formare i tempi composti (sono andato, ho voluto); è adoperato come ausiliare anche il verbo venire, che, nelle forme semplici, può sostituire essere per la formazione dei tempi del passivo. Per quanto riguarda l’uso, i verbi transitivi si coniugano nell’attivo sempre con avere (ho amato, ho tenuto, ho finito), nel passivo sempre con essere (o venire: sono lodato, viene costruito). Dei verbi intransitivi, alcuni richiedono essere, come per es. i verbi copulativi (parere, sembrare, rimanere, diventare), i verbi che indicano moto (andare, venire, giungere, arrivare, partire, entrare, uscire) e alcuni altri (nascere, morire, crescere, ecc.); in qualche caso è possibile l’uso di entrambi gli ausiliari, con sensibili differenze di significato (per es.: sono corso e ho corso; sono volato e ho volato). I verbi riflessivi o con coniugazione pronominale, hanno sempre l’ausiliare essere (mi sono lavato; si era pentito; mi sono comprato un vestito; ci siamo sempre amati); e con essere si coniugano quasi sempre i verbi impersonali (è nevicato, è piovuto, era accaduto). I verbi servili (cioè volere, potere, dovere, ecc.), quando sono adoperati come tali, prendono l’ausiliare richiesto dal verbo a cui si legano (perciò: ho voluto scrivere, ma sono dovuto andare; la regola non è tuttavia così assoluta da non ammettere eccezioni in casi particolari); se si uniscono con un verbo riflessivo, l’uso di essere o avere dipende dalla posizione della particella pronominale (per es.: non mi sono potuto sedere o non ho potuto sedermi; si sarebbe dovuto pentire o avrebbe dovuto pentirsi). In senso ampio, possono considerarsi ausiliari anche altri verbi che compiono funzioni simili a quelle degli ausiliari veri e proprî; per es., andare, in forme come andare perduto, andare smarrito, e sim., e restare, in forme come restare preso, restare ingannato.