avaro
agg. e s. m. (f. -a) [lat. avarus, dallo stesso tema di avĭdus «avido»]. – 1. a. Che o chi, per un eccessivo attaccamento al denaro o un esagerato senso del risparmio, è estremamente restio a spendere, non solo per altri ma anche per sé (contrapp. a prodigo, liberale): padre a., negoziante a.; è così a. che non mangerebbe per non spendere; chi è a. del suo, è per lo più prodigo dell’altrui; non sperare nulla da quell’a.; è un sordido a.; l’a. ha venale fin l’anima (Tommaseo). Per estens., di ciò che è fatto con avarizia: un dono a.; vitto a.; ha dovuto consumare tutti i suoi a. risparmi. b. fig. Restio a fare, a dare, a concedere: è a. del suo tempo; uomo a. di parole, di lodi, di riconoscimenti; a. di sé, della propria persona, di chi si fa vedere raramente; Non fur di sangue a la lor patria avari (Caro). Anche non di persone: la sorte gli è stata a. di gioie; la fortuna è stata a. con me; terra a., che rende poco. 2. ant. e letter. Avido di ricchezze, di possedere: la miseria de l’a. Mida (Dante); a. in nostra lingua è ancora colui che per rapina desidera di avere, misero chiamiamo noi quello che si astiene troppo di usare il suo (Machiavelli). Anche, bramoso in genere: E vidi Ciro più di sangue avaro, Che Crasso d’oro (Petrarca); riferito a cose, avido, vorace: E tu, lenta ginestra, ... Anche tu presto alla crudel possanza Soccomberai del sotterraneo foco, Che ritornando al loco Già noto, stenderà l’a. lembo Su tue molli foreste (Leopardi). ◆ Dim. avarétto, avarùccio; accr. avaróne (f. -a); pegg. avaràccio (gli ultimi due sost.). ◆ Avv. avaraménte, con avarizia, con eccessivo e gretto attaccamento a ciò che si possiede: vivere avaramente; nello spendere si comporta molto avaramente; in modo non generoso: la natura lo ha trattato avaramente.