bambinitudine
s. f. La condizione tipica dell’essere bambino. ♦ La divulgazione, che pure si dovrebbe basare su una chiarezza essenziale, ha spesso questo difetto: troppi esempi, troppe ripetizioni. Succede anche che le parole prendano il sopravvento sul ragionamento e lo trascinino oltre la realtà. Nel libro di Erika Kaufmann, Il post-Adamo, c' è anche questo. Siamo mitragliati da parole come bambinitudine o deruolizzazione, da termini sfiniti come il post del titolo, oltre ad essere sballottati fra errori di sintassi e povertà stilistica. (Pico Floridi, Repubblica, 13 gennaio 1990, p. 17. Mercurio) • Pagina dopo pagina tutto si dilata, tutto sembra fondersi di colori e pensieri che non hanno fine, tutto si esaurisce, in fondo, in un bagliore accecante. Quello del sole d'estate, dei ricordi che affiorano, dei rumori dell'acqua che ti culla e ti rigenera, e tutto dà allucinazioni di libertà. «Io entro in mare e sto bene, ci parlo perfino - confessa la Palombi [Silvia, ndr] - nella vita precedente forse ero una creatura marina. Ho ancora quella che chiamo la bambinitudine, quell'attrazione inevitabile verso l'acqua che mi rende felice quando ci sono dentro». (Barbara Silbe, Giornale.it, 5 settembre 2005, Milano) • La bambinitudine non è lamento rivendicativo o fuga dalle responsabilità, ma una scintilla di purezza che gli adulti si rassegnano a imprigionare tra le sbarre dei pensieri. (Massimo Gramellini, Corriere della sera, 16 giugno 2018, p. 1, Il caffè).
Derivato dal s. m. bambino con l’aggiunta del suffisso -itudine.