barbaro
bàrbaro agg. e s. m. (f. -a) [dal lat. barbărus, gr. βάρβαρος]. – 1. Straniero, nel senso in cui i Greci e i Romani dicevano barbaro chiunque non fosse greco o romano, e nel senso in cui il Rinascimento opponeva il concetto di barbaro a quello della romanità e della classicità (ma anche talora in accezione più ristretta, di non italiano, come nella frase fuori i b!, attribuita, senza peraltro testimonianze contemporanee, al pontefice Giulio II, contro gli invasori francesi): un b. che non era privo d’ingegno (cioè W. Shakespeare, in una definizione ironicamente polemica del Manzoni). Quindi, appartenente a una civiltà primitiva, arretrata, e per estens. persona ignorante, rozza, oppure feroce, crudele: portare la civiltà fra i b.; sei un b.; l’idea che il mondo dei libri sia attualmente sotto assedio da parte dei b. è oggi tanto diffusa da essere diventata quasi un luogo comune (Alessandro Baricco). 2. Barbarico, di barbari o proprio dei barbari: a ognuno puzza questo b. dominio (Machiavelli); costumi, usi b.; moda b.; per estens., rozzo, incolto, oppure inumano, crudele: arte b.; musica b.; un b. spettacolo. Di linguaggio, stile e sim., pieno di barbarismi: la b. latinità del medioevo; o sgrammaticato, scorretto: parlare, scrivere in modo barbaro. Con accezione partic., poesia b., metrica b., nome dato da G. Carducci a una forma metrica (da lui realizzata nelle Odi barbare) che intendeva riprodurre approssimativamente il suono e la misura dei versi latini nella poesia italiana, ma che sarebbe risultata «barbara», cioè straniera, estranea, all’orecchio dei Greci e dei Latini, perché priva dei ritmi prosodici quantitativi, per essi essenziali. ◆ Avv. barbaraménte, in modo barbaro, solo nei sign. estens. dell’aggettivo: barbaramente ucciso, con crudeltà, con ferocia inumana; scrivere, parlare barbaramente, in modo gravemente scorretto.