bene2
bène2 s. m. [dall’avv. bene1]. – 1. a. Ciò che è buono in sé, cioè perfetto nella compiutezza del suo essere o nel suo valore morale, e quindi oggetto di desiderio, causa e fine dell’azione umana: tendere, aspirare al b.; il sommo b., in partic., nel cristianesimo, Dio; il ben dell’intelletto, Dio o la visione di Dio (secondo l’interpretazione prevalente dei versi di Dante: vedrai le genti dolorose C’hanno perduto il ben de l’intelletto, Inf. III, 17-18), ma nell’uso com., il senno, la ragione: perdere il ben dell’intelletto, diventare matto. Con più diretto riferimento al bene come norma dell’attività morale: la scienza del b. e del male; capire, distinguere il b. e il male; Al di là del b. e del male (ted. Jenseits von Gut und Böse), titolo di un’opera di F. Nietzsche. b. Con valore neutro, cosa buona, quindi anche giusta, utile, opportuna; spec. in unione col verbo essere e con altri verbi copulativi, col verbo credere e sim.: è b. che sia così; sarà b. avvertirlo; sarebbe b. che fossi presente anche tu; mi parve b. rinunziare; credo b. che tu faccia valere le tue ragioni. Contrapposto ad altri agg. sostantivati, si usa, con lo stesso senso, il buono: il vero, il bello, il buono; in ognuno di noi c’è il buono e il cattivo. 2. estens. a. Ciò che è di utilità, di vantaggio: la sua venuta è stata un b. per tutti; spesso da un male nasce un b.; da lui non ho avuto che b.; fare, agire, parlare a fin di b., con lo scopo di giovare, di essere utile, e in genere con buone intenzioni. b. Più determinatamente, benessere, felicità: ti auguro ogni b.; per il b. comune, per il b. della patria, della società; noi tutti vogliamo il tuo b.; è solo per il vostro b. che agisco così; nessuno può farti star bene se il b. non è già in te (Sandro Veronesi); il b. eterno, la beatitudine celeste. In senso concr., ciò da cui ci viene gioia, felicità; tu sei il mio unico b.; non ha altro b. che quel figlio; quindi, la persona che è oggetto di amore: l’amato b., scherz., la persona amata; spec. come vocativo affettuoso: mio b.; mio caro b.; dolce mio bene. c. Fortuna, buona sorte, soprattutto nella locuz. portare b. (contrapp. a portare male), portare o promettere buona fortuna, essere di buon augurio, essere fonte di benessere, di felicità; e nella frase non avere il b. di ..., equivalente, oggi poco com., di «non avere la fortuna, la sorte di» (per es., non ho il b. di conoscerlo), in passato anche in forma positiva (per es., ho il b. di essere suo amico). 3. Amore, affetto: per il b. che io ti porto. Molto comune la locuz. voler b., amare, nutrire affetto (propr., desiderare il bene, cioè il benessere, della persona amata): gli vuol b. come a un figlio; si fa voler b. da tutti; volere un gran b., un b. dell’anima, un ben di vita, amare molto; voglimi b., come chiusa epistolare, ormai in disuso; reciproco, volersi b., amarsi, nutrire affetto scambievole. 4. In qualche caso, pace, quiete, tranquillità: ho un mal di testa che non mi dà b. un momento; non ha avuto un po’ di b. da quando le è successa quella disgrazia (v. anche benavere), con senso sim., mettere b. fra due persone, rappacificarle, farle andare d’accordo. 5. Locuz. particolari: dire b. di qualcuno, lodarlo, esprimere giudizî favorevoli su di lui; fare il b., agire rettamente, secondo le norme di una sana morale (con altra accezione: andate a aspettare in chiesa, che intanto potrete fare un po’ di b. [Manzoni], acquistare dei meriti con la recitazione di preghiere, con devozioni e sim.); fare del b. a qualcuno, beneficarlo, aiutarlo (rispettivam., ricevere del b., esser beneficato, aiutato); più genericamente, far b., giovare: la pioggia fa b. alle piante; una buona parola fa b. all’animo; bevi un sorso di vino, ti farà b. (usato assol., far b., s’intende alla salute: il moto fa b.); opere di b., di beneficenza; pensare a b., supporre buone intenzioni, non fare giudizî temerarî. Per le locuz. da bene e per bene, oggi scritte soltanto in grafia unita, v. dabbene e perbene. 6. concr. a. Ogni mezzo atto alla soddisfazione dei bisogni dell’uomo (nel linguaggio econ., quasi sempre sinon. di merce). In partic.: b. economico, qualsiasi mezzo, come sopra definito, di cui vi sia disponibilità relativamente limitata e sia quindi suscettibile di avere un prezzo, contrapposto a b. libero, cioè non scarso rispetto alla domanda, e che non ha valore di scambio pur potendo avere utilità (aria e acqua non sono, per es., beni economici dove siano abbondanti o disponibili, ma lo sono, rispettivamente, in una miniera profonda e in un deserto); b. mobili, immobili, produttivi, improduttivi; b. patrimoniali, quelli costituenti un patrimonio; b. durevoli, quelli che, immessi al consumo, non si esauriscono se non con un uso prolungato nel tempo; b. indiretti o strumentali, quelli utilizzati per produrre altri beni (per es., le materie prime, i macchinarî, ecc.), e con senso analogo b. capitale; b. diretti, quelli che senza ulteriori trasformazioni sono già in grado di soddisfare bisogni; b. di consumo, beni diretti destinati al soddisfacimento di bisogni individuali e familiari e che si distruggono con l’uso che se ne fa avendo comunque durata limitata; b. complementari (o ad offerta congiunta), quelli che per soddisfare un bisogno debbono essere usati congiuntamente (automobili e benzina, elettrodomestici ed elettricità, ecc.); b. supplementari (o succedanei o concorrenti), quelli che, entro certi limiti, possono sostituirsi gli uni agli altri (burro e margarina, penna e macchina per scrivere, ecc.); b. di prestigio, quelli (come le automobili e le imbarcazioni di lusso, i vini pregiati, le pellicce, ecc.) la cui domanda non si riduce o addirittura aumenta all’aumentare del loro prezzo, rappresentando quest’ultimo l’indice della ricchezza e della posizione sociale di chi li acquista; b. rifugio, beni che soprattutto in periodo d’inflazione sono ritenuti dai risparmiatori in grado di preservare il valore reale (cioè il potere d’acquisto) della moneta spesa per acquistarli: per es., quadri d’autore, monete antiche o di metallo prezioso, gioielli, case e altri immobili, il cui prezzo dovrebbe crescere almeno nella ragione della svalutazione della moneta; b. inferiori, quelli acquistati dalle classi a reddito più basso e la cui domanda si contrae non appena il reddito sale. In senso più ampio, b. artistici, b. archeologici, b. ambientali, ecc., il patrimonio nazionale sia naturale sia storico, inteso come insieme di ricchezze inalienabili che debbono essere valorizzate e tramandate come bene pubblico, perché soddisfano essenzialmente bisogni collettivi, tutelate quindi secondo le leggi dello stato e non secondo l’arbitrio di privati: ministero per i B. culturali e ambientali, istituito in Italia nel 1975 al fine di tutelare e valorizzare il patrimonio culturale italiano (per una più precisa definizione, anche in sede giur., della locuz. b. culturali, v. culturale). Appartengono al linguaggio generico, non tecnico, altre espressioni, come b. necessarî, b. indispensabili, b. superflui, secondo che siano ritenuti tali per la vita dell’uomo e per la soddisfazione dei suoi vitali bisogni. b. Nel linguaggio eccles., b. terreni, le proprietà, le ricchezze, e in genere ciò che l’uomo possiede o desidera di possedere unicamente per il suo benessere fisico, detti anche b. fallaci, mondani, materiali, effimeri, in contrapp. ai b. spirituali o veraci, ritenuti il vero oggetto a cui devono essere volte le aspirazioni dell’uomo. c. Nel linguaggio com., beni di fortuna, o assol. beni, possedimenti, averi, ricchezze: b. personali, beni di famiglia; ha perduto tutti i suoi b.; ha molti b. in Sicilia; sequestrare, confiscare i beni. In partic., ben di Dio (anche in grafia unita, bendidìo), ciò che serve alla vita (soprattutto viveri, e s’intende di solito che ve ne sia abbondanza): ha la casa piena d’ogni ben di Dio; con altro senso: ha speso il ben di Dio, una ricchezza, un capitale.