cameriera, cameriere. Finestra di approfondimento
Usi non dispregiativi - Collaboratrice familiare (o collaboratrice domestica), in sigla colf, è l’espressione meno marcata per designare una donna che svolge lavori domestici a pagamento in una casa diversa dalla propria. Sono possibili, benché meno com., anche i masch. collaboratore familiare o domestico. I numerosi sinon. sono ritenuti ora eufem., ora spreg., ora disus. Oggi meno com. di un tempo è domestica: noi abbiamo una domestica per poche ore al giorno (A. Fogazzaro).
Frequenti (ma politicamente meno corretti di colf) sono oggi donna (o, più eufem., signora) delle pulizie, donna a ore o, semplicemente, donna: quante volte a settimana viene la donna? Comunissimo è anche donna di servizio. C., ancorché possibile, è tuttavia oggi limitato per lo più a colei che serve in un ristorante (come femm. di cameriere). Raro è oggi governante, termine che designava un tempo sia chi si occupava di accudire i bambini (sinon. dunque di baby-sitter, bambinaia, nurse o tata), sia chi si occupava dell’andamento della casa.
Usi arcaici o dispregiativi - Camerista era anticamente colei che prestava servizio presso una casa di nobili. Analogam. damigella, talora con funzioni di dama di compagnia: rimasto vedovo ... disgraziatamente sposò una damigella di lei (L. Pirandello). Fantesca o fante sono oggi possibili soltanto come scherz., mentre erano un tempo abbastanza com.: la fantesca mi fece entrare in uno stanzino che doveva essere lo studio di Ada (I. Svevo).
Tra gli usi spreg., i termini talora usati sono serva e schiava, anche se il primo termine non ha sempre avuto accezione spreg.: era Perpetua, come ognun se n’avvede, la serva di don Abbondio (A. Manzoni). Chi è addetto ai lavori più umili e pesanti, per lo più in cucina, è detto, anche come insulto, sguattero o sguattera.
Usi generici e al maschile - In senso collettivo, i termini per indicare l’insieme delle persone che prestano servizio in una casa (o in un locale) sono personale e, a volte più marcato in senso spreg., servitù o servitori: lasciare una mancia per il personale; lamentarsi della servitù.
Al masch., per cameriere, (collaboratore) domestico e servo valgono le stesse osservazioni fatte per il femminile. Disus. è oggi famiglio: a poco a poco di famiglio io divenni bracciante e da bracciante bifolco come sono ora (I. Nievo). Meno spreg. di servo, ma comunque avvertito oggi come non politicamente corretto, è servitore o inserviente: pare che abbiano scommesso, padrone e servitore, a chi le spara più grosse (L. Pirandello).
Fino ancora al 19° secolo, i termini designanti chi prestava servizio presso qualcuno erano molto più numerosi, a seconda dell’attività: donzello o paggio o valletto (giovane nobile al servizio di un re o giovane servitore d’un uomo d’arme), maggiordomo (chi sovraintende alla servitù in una casa signorile), scudiero (giovane nobile che, in attesa di diventare cavaliere, presta servizio presso un altro cavaliere), staffiere o palafreniere (umile servitore che regge la staffa al padrone e si prende cura del suo cavallo), ecc. Si tratta di termini tutti caduti in disuso e possibili oggi soltanto con uso scherz., a eccezione del femm. valletta, rivitalizzato (ma già oggi meno com. di qualche decennio fa) dalla televisione come «assistente di un presentatore»: le vallette di Mike Bongiorno.