capo
s. m. [lat. caput]. – 1. a. La parte più elevata del corpo umano, unita al torace per mezzo del collo. È sinon. di testa (per i riferimenti anatomici, v. questa voce), che è termine più com. (non però in Toscana) anche per il capo degli animali. Negli insetti, crostacei e altri artropodi, nonché nei molluschi e in varî altri invertebrati, è il termine anatomico che designa la regione anteriore del corpo, in cui si apre la bocca e si trovano i più importanti organi di senso. Nell’uso com. indica spesso la parte del cranio normalmente coperta di capelli: c. canuto, ricciuto, pelato; mettersi, tenere il cappello in c. (anche assol.: tieni pure in c., sottint. il cappello, il berretto); scoprirsi il c., in segno di rispetto, di ossequio; essere, andare a c. scoperto; dolore di c., mal di c., cefalea, emicrania; avere giramenti di c. (v. lipotimia; vertigine). In altri casi indica tutta la testa: andare, stare a c. basso, a c. chino; precipitare, cadere a c. all’ingiù, a capo fitto (o, in grafia unita, a capofitto); rompersi il c., fig., lambiccarsi il cervello; restare o rimanere col c. rotto, fig., avere la peggio: a chi, messosi a sostener le sue ragioni contro un potente rimaneva col c. rotto, don Abbondio sapeva trovar sempre qualche torto (Manzoni); battere il c., o dar di c., dar del c. nel muro (anche come gesto di disperazione; fig., fare opera vana, mettersi in un’impresa disperata); non com., battere il c. o dar di c. in un luogo, in una persona, capitare, imbattersi: alle ripe omicide A dar venne di c. un giovinetto (Ariosto); da c. a piedi (o da capo a piè; ma più com. dalla testa ai piedi), per tutta la persona: essere squadrati da c. a piedi (Manzoni); era fradicio da c. a piè. b. Alcune frasi accennano a movimenti del capo che sono espressione di un sentimento, e possono perciò essere intese anche in senso fig.: alzare, rizzare il c., prendere ardire, risentirsi, porsi in atteggiamento di ribellione; al contr., chinare, abbassare, piegare il c., cedere alla volontà altrui, rassegnarsi, fare atto di sottomissione o di umiltà; andare col c. alto, tenere o portare il c. alto, mostrare orgoglio o sicurezza di sé (più com. andare a testa alta); grattarsi il c., segno di grande incertezza o imbarazzo; crollare, scuotere, tentennare il c., per mostrare disapprovazione, scontentezza. c. Altri usi fig.: non sapere o non avere dove posare il c., non avere dove ricoverarsi, dove dormire; dare al c. (più com. alla testa), di bevanda alcolica che confonde le idee, che inebria; fig., far montare in superbia: le troppe adulazioni gli hanno dato al c.; venire, cadere, piombare tra c. e collo, di cosa spiacevole che capiti inaspettatamente; mangiare la pappa (o la torta) in c. a uno, superarlo in statura, fig. sopraffarlo: è un tipo che non si fa mangiar la pappa in c. da nessuno. d. Con riferimento al capo in quanto considerato sede del pensiero (quindi quasi sinon. di mente, cervello): mettersi in c. una cosa, formarsi una convinzione, anche errata, o tendere ostinatamente a uno scopo; levare, togliere dal c. una cosa a qualcuno, convincerlo del contrario, dissuaderlo dal suo proposito; cose che non gli entrano in c., che non riesce a capire; saltare, frullare, passare per il c., di idee bizzarre che vengono in mente; mettere il c. a partito, ridursi alla ragione, mettere giudizio; c. scarico, persona spensierata (v. caposcarico); c. ameno (v. capameno). In altre frasi, con sign. analogo, è assai più raro di testa; così: non sa dove abbia il c., di persona smemorata, disordinata, distratta; far le cose col c. nel sacco, senza riflettere, alla cieca. e. estens. La vita stessa di una persona: giurare sul c. di uno; condannare alla pena del c. (che riecheggia il lat. capitis damnare), condannare a morte: un monitorio dell’ambasciatore Lallement spalancava ai rei di Stato quelle porte che non si riaprivano di solito che ai condannati del c. o ai cadaveri (I. Nievo). 2. a. Persona che dirige, che è posta al comando di altre persone (in quanto il capo, cioè la testa, è la parte principale e più nobile del corpo; in questo sign., la parola può essere invariabilmente riferita, come titolo, anche a donna che eserciti tale funzione): c. dello stato, il più alto organo dello stato (in Italia, il presidente della Repubblica); c. del governo, il presidente del Consiglio dei ministri, spec. durante il regime fascista (oggi comunem. denominato presidente del consiglio); c. d’istituto, chi soprintende all’andamento didattico, educativo e amministrativo di una scuola o istituto d’istruzione (è detto anche dirigente scolastico); c. di un partito, di un ente; il c. dei briganti; anche come primo elemento di parole composte: capobanda, capomastro, ecc. (v. capo-, e le singole voci al loro luogo alfabetico); in alcuni casi, capo è posposto: ingegnere c., ispettore c., redattore c., segretario capo. Locuzioni: grande c., epiteto (che traduce l’ingl. great chief) riferito in origine dagli indiani d’America al presidente degli Stati Uniti, generalizzatosi poi per indicare, in tono iron. o scherz., l’autorevole o autoritario dirigente di un ufficio o istituto; essere a c., dirigere, guidare: essere a c. di un’azienda, di un’impresa, di un istituto, ecc.; sono calchi del fr. en chef le forme comandante in c., aiutante in c., ecc., per indicare il comandante più alto in grado, il primo aiutante, ecc. b. Designazione generica del personale dirigente, di vario grado, nella gerarchia degli equipaggi della marina militare e mercantile. Nella marina mercantile: c. barca o padrone, comandante delle navicelle fino a 25 t di stazza lorda e di barche da pesca locale a vela o a motore; c. stiva, il dirigente delle manovre di imbarco, sbarco e stivaggio delle merci in una stiva. Sulle navi a vela, c. coffa, c. gabbiere, c. manovra, i gabbieri più esperti che dirigono il maneggio dei cavi per la manovra delle vele rispettivamente sulle coffe, sulle crocette e sul ponte, a piede dell’albero. Nella marina militare, capo (di 1a, 2a e 3a classe) e secondo capo delle diverse specialità (cannoniere, silurista, nocchiere, segnalatore, meccanico, elettricista, ecc.) sono i sottufficiali rispettivamente dei gradi corrispondenti a maresciallo (nelle tre classi) e a sergente maggiore. 3. a. La parte più alta di alcune cose (così come il capo rispetto al resto del corpo), per lo più in contrapp. a ciò che è chiamato fondo: in c. alla scala, in c. o a c. della pagina (v. anche capopagina); ma, in c. al letto o a c. del letto (in contrapp. alla parte indicata come piedi del letto), dalla parte della testa (v. anche capoletto); sedere in c. di tavola (più com. a capotavola), al posto d’onore. Letter. e raro, la vetta di un monte, la cima di un albero e sim. Più spesso, ciascuna delle due parti terminali (o anche una sola) di oggetti che si estendono in larghezza, quindi estremità in genere, e fig. principio o fine: Come d’un stizzo verde ch’arso sia Da l’un de’ c., che da l’altro geme (Dante); il c. d’una fune; funicella, lana a tre c., formata di tre fili attorti insieme; andare, seguire in c. al mondo, in luoghi lontanissimi; discorso, ragionamento senza c. né coda, senza principio né fine, privo di logica; anche origine, luogo d’inizio, nell’espressione c. di fonte, il luogo dal quale ha origine una sorgente d’acqua. b. A capo (come s. m., più com. accapo: fare un accapo, far capoverso), locuz. avv. con cui si indica, nella scrittura e nella composizione tipografica, passaggio al rigo successivo: andare a capo; anche avvertimento, a chi scrive sotto dettatura o trascrive un manoscritto, di far capoverso: in tipografia, si abbrevia in «a c.» o si indica con il segno [ di parentesi quadra aperta. Per la locuz. da capo (scrivere, ricominciare da c.), v. daccapo. c. In anatomia: c. osseo, l’estremo di un osso lungo, lo stesso che epifisi (per es., c. osseo articolare, c. sternale della clavicola, ecc.); c. tendineo, l’estremo tendineo di un muscolo o capo d’inserzione (sull’osso); sutura capo a capo, la sintesi di formazioni anatomiche per lo più nastriformi o tubolari ottenuta con l’affrontamento dei due estremi. d. In arboricoltura, il ramo, più comunem. il tralcio della vite, destinato a una determinata produzione in seguito alla potatura; si distinguono capi a frutto, c. a legno e c. misti. e. Principio, inizio d’un periodo di tempo o di un fatto che si estende nel tempo: c. d’anno (v. capodanno); c. del digiuno (lat. caput ieiunii), nome dato nel linguaggio liturgico, dal sec. 7°, al mercoledì delle ceneri, perché con quel giorno si faceva cominciare il digiuno quaresimale. f. Locuzioni e usi fig.: fare capo, andare a finire, sboccare: è una strada che fa c. alla piazza del Municipio; non capivo dove andasse a far c. il suo discorso; far c. a qualcuno, rivolgersi o ricorrere a lui, spec. per aiuto o consiglio; venire a c. di una cosa, finirla, risolverla, giungere al risultato desiderato: si è logorato il cervello senza venire a c. di nulla; in c. a un mese, in c. a un anno, alla fine di questi termini di tempo; prov., cosa fatta c. ha, ciò ch’è fatto è fatto e non c’è più rimedio (propriam.: cosa fatta è bell’e finita). 4. In araldica, il terzo superiore dello scudo, e più propriam. la parte centrale tra i due cantoni destro e sinistro; come figura araldica, la pezza onorevole che occupa la parte superiore dello scudo per due moduli dell’altezza. 5. a. Parte sporgente e grossa di un oggetto, soprattutto in quanto sia tonda: il c. di uno spillo, di un chiodo; quindi anche bulbo, testa: c. d’aglio, di cipolla, ecc. b. In geografia, pronunciata sporgenza della terraferma nel mare, spesso dovuta a una maggiore resistenza delle formazioni rocciose all’azione abrasiva marina: C. Miseno, C. delle Penne. In altri casi, estremità di penisole: C. di S. Maria di Leuca; o di continenti: C. Horn, il C. di Buona Speranza (con riferimento a questo, spesso assol. Capo, anche in denominazioni ufficiali: Città del Capo, Provincia del Capo, ecc.). 6. a. Ciascuna unità che faccia parte di un complesso, di un numero collettivo di persone, e più comunem. di animali o di cose: dividere per capi e non per famiglie; cento c. di bestiame; un bel c. di selvaggina; capi di vestiario, del corredo; un completo a tre c. (spec. di biancheria femminile); contare gli oggetti capo per capo. b. Ciascuna delle divisioni di un libro (più com. capitolo); in partic., nel testo delle leggi indica una suddivisione principale (al di sopra delle eventuali sezioni e dei singoli articoli, ma al di sotto degli eventuali titoli). Per estens., punto di una discussione, di un ragionamento: intorno a ciascuno di questi c. partitamente ragionerò (T. Tasso); capi d’accusa, i singoli fatti che costituiscono violazioni di norme penali, in relazione ai quali viene promosso il procedimento penale; per sommi c., locuz. avv., per argomenti principali, quindi in breve, succintamente: esporre per sommi c., narrazione fatta per sommi capi. ◆ Dim. capino (si dice spec. del capo di un uccellino), e con accezioni partic. capolino (v.), capétto (v.); pegg. capàccio, testa grossa o d’ingegno ottuso; accr. capóne (v.).