carattere
caràttere s. m. [dal lat. character -ĕris, gr. χαρακτήρ -ῆρος, propr. «impronta»]. – 1. a. Segno tracciato, impresso o inciso, a cui si dia un significato: c. magici, cabalistici. b. Più com., la forma delle lettere d’un alfabeto o dei segni d’una scrittura: c. greci, arabi, gotici; c. cuneiformi, geroglifici, demotici; decifrare, interpretare i c. di una scrittura. Anche, il modo particolare con cui una persona traccia le lettere nella scrittura: scrivere con c. chiari, nitidi, regolari, contorti, malfermi (e al sing., con valore collettivo: aveva un c. illeggibile, indecifrabile); ho riconosciuto subito i suoi c.; è molto tempo che non vedo i tuoi c., che non ricevo un tuo scritto. Fig., nome (o avvenimento) scritto a caratteri d’oro nella storia, o nel libro della storia, di cui si prevede gloriosa e imperitura memoria. c. In tipografia, ciascuno dei blocchetti parallelepipedi (detti anche tipi, c. mobili) in lega di stagno, piombo e antimonio, o, più raram., in legno o materiali plastici, che recano sulla parte superiore il segno grafico (lettera, numero, interpunzione o altro segno) inciso a rovescio; si distinguono in essi la base o piano orizzontale inferiore (piede), la faccia orizzontale superiore (testa) da cui emerge il segno grafico in rilievo (occhio), la tacca, scanalatura ricavata nella faccia anteriore parallelamente alla base per servire di guida nell’orientamento dei caratteri sul compositoio, un piccolo canale di alleggerimento, trasversale alla base, e la spalla, cioè la parte della testa non occupata dal rilievo dell’occhio. In senso collettivo, il complesso dei caratteri necessarî per la composizione di un testo a stampa, disegnati e fusi secondo una particolare conformazione e uno stile ben riconoscibile, distinti tra l’altro dalla presenza (o assenza) e dalla forma dei tratti terminali, dal tracciato lineare o variamente modificato e aggraziato dell’asta, e diversamente qualificati secondo una tipologia che tiene conto dell’impiego (c. comuni o di testo e c. per titoli), dello stile (c. tipici o classici, c. di fantasia; c. latini o romani, gotici, ecc.), ma più comunem. indicati con denominazioni specifiche, derivate per es. dal cognome di chi li ha disegnati e introdotti nell’uso (così il Garamond, dall’incisore e fonditore francese Claude Garamond, 1480-1561; il Baskerville, dal tipografo e fonditore inglese John Baskerville, 1706-1775; il Bodoni, dall’incisore e tipografo piemontese Giambattista Bodoni, 1740-1813), dal nome di un editore (l’aldino, l’elzeviro), dal nome di un autore la cui opera sia stata stampata con quel carattere (per es. il Bembo), di una pubblicazione periodica (Times), di una illustre tipografia (Oxford, Clarendon, dalla Oxford University Press, chiamata anche Clarendon Press, la tipografia dell’Università di Oxford), oppure allusive a caratteristiche di espressione formale (per es. il carattere Semplicità), ecc. Ciascuno di questi tipi comprende più serie di caratteri, le quali si differenziano o per la pendenza dei singoli segni (così il tondo, in cui le aste dell’occhio sono perfettamente verticali, e il corsivo, in cui l’occhio è inclinato da sinistra a destra) o per il «tono», cioè per la grossezza del tratto, tecnicamente detta forza d’asta (si ottiene così il chiaro, il nero, il neretto o grassetto, per cui si hanno le serie tondo chiaro, tondo nero, tondo neretto, corsivo chiaro, corsivo neretto, ecc.); limitatamente alle lettere alfabetiche, ogni serie dispone dei segni minuscoli e maiuscoli, mentre il maiuscoletto è in genere previsto soltanto nella serie tondo chiaro. Per ogni stile, infine, le diverse serie sono fuse in grandezze diverse, tecnicamente dette corpo del c., e misurate in punti tipografici: c. di corpo 9, di corpo 12, ecc. (v. corpo, n. 9). Nel linguaggio com., stampato a c. cubitali o di scatola, molto grandi (come sono quelli usati per manifesti, per titoli di notizie sensazionali, ecc.). d. In informatica, ciascuno dei simboli generalmente usati nei sistemi di elaborazione dati (e cioè le cifre da 0 a 9 e le lettere dell’alfabeto, che costituiscono i c. alfanumerici, e altri segni utili quali quelli di comando per l’esecuzione di certe operazioni, detti c. di comando, c. di controllo), rappresentato da una diversa configurazione di bit adiacenti (tracce magnetiche su nastro, fori su banda o su scheda, ecc.). 2. In teologia cattolica, c. sacramentale, il segno spirituale e indelebile impresso nell’anima dai tre sacramenti del battesimo, cresima e ordine, per cui questi non possono essere ricevuti una seconda volta. 3. a. Segno distintivo, qualità propria che contraddistingue una persona, un organismo, un fenomeno collettivo, una cosa, da altri: i c. di un genere di piante; i c. comuni di un gruppo di lingue; i c. della letteratura contemporanea. Per estens., qualità, natura, in quanto si manifesta con determinati aspetti: tendenze di c. non ancora ben definito; la malattia si presenta con c. benigno; e in senso anche più generico: un discorso di c. politico; una festa, una riunione a c. familiare. b. In matematica, l’insieme delle proprietà di un ente, espresse talvolta da uno o più numeri, detti essi stessi caratteri, invarianti rispetto a un certo gruppo di trasformazioni. c. In biologia, ogni particolarità di forma, colore, struttura, composizione chimica, funzione, comportamento, che sia tipico di alcune categorie di organismi: c. specifici e c. generici, quelli che servono a distinguere, rispettivamente, una specie dalle altre di un medesimo genere e i diversi generi di una stessa famiglia; c. acquisiti, quelli, non ereditarî, che vengono acquistati da un individuo nel corso della vita, per effetto di cause esterne; c. ereditarî, quelli che vengono trasmessi con la generazione, dai padri ai figli; c. qualitativi, relativi cioè a qualità (forma, colore, ecc.); c. quantitativi, quelli esprimibili con numeri (peso, altezza, ecc., oppure numero di figli, di fiori, di uova, ecc.); c. sessuali primarî e secondarî, v. sessuale, n. 1; c. associati al sesso o legati al sesso, caratteri ereditarî i cui geni sono localizzati nei cromosomi sessuali o eterocromosomi. d. Il complesso delle doti individuali e delle disposizioni psichiche che distinguono una personalità umana dall’altra, e che si manifesta soprattutto nel comportamento sociale, nella disposizione affettiva dominante, nell’umore abituale: c. mite, scontroso, riservato, irascibile, violento; avere un buon c.; un c. d’oro; un brutto o cattivo c.; è di un c. impossibile; persone di diverso c., di c. opposto; correggere, migliorare il proprio c.; una coppia male assortita per incompatibilità di carattere; rappresentare, descrivere un c.; attore che rende bene il c. d’un personaggio. Nella storia del teatro, commedia di c., quella in cui è soprattutto approfondita l’analisi psicologica; nel teatro drammatico dell’800, primo c., ruolo dell’attore che interpretava parti di uomo maturo, di vecchio o di tiranno, detto anche caratterista; mezzo c. (o secondo c.), ruolo dell’attore che impersonava figure non di primo piano ma tuttavia a tratti più marcati di quelle assegnate ai generici. Anche come indice delle qualità morali d’una persona: c. fermo, instabile, debole; fermezza di c.; assol., costanza, serietà nel volere e nell’agire: uomo di c.; senza carattere. e. Locuz., essere in c. con, essere intonato: l’arredamento era in c. con lo stile del salone. ◆ Dim. caratterino (anche, carattere difficile, poco malleabile, d’una persona, e la persona stessa: ha, o è, un caratterino!); accr. caratteróne (solo di caratteri tipografici o di lettere grandi); pegg. caratteràccio (brutto carattere, spec. riferito alle qualità di una persona e alla persona stessa: ha un caratteraccio; è davvero un caratteraccio).