cardo
s. m. [lat. carduus, lat. tardo cardus]. – 1. Nome comune di varie piante con foglie e brattee spinose al margine o all’apice, appartenenti in maggioranza a generi diversi delle composite e a qualche genere delle ombrellifere e delle dipsacacee, che hanno spesso un appellativo diverso a seconda delle regioni: così in Toscana il c. dei campi (Cardus pycnocephalus), in Piemonte il c. delle vigne (Cirsium arvense), ecc. Particolarmente noti il c. dei lanaioli o degli scardassatori (Dipsacus sativus), ormai scomparso, e lo scardaccione selvatico (Dipsacus fullonum), comune in tutta Italia, esclusi i monti elevati e la pianura padana, i cui capolini secchi, irti di punte, venivano impiegati per garzare tessuti e cardare la lana; il c. mariano o della Madonna o di santa Maria (Silybum marianum), i cui capolini si possono mangiare come i carciofi e la cui erba intera si usa contro le malattie del fegato; il c. santo o c. benedetto (Cnicus benedictus), del quale si usano i fiori e le foglie per le loro proprietà toniche, stomachiche e febbrifughe. 2. Pianta, detta anche cardone (lat. scient. Cynara cardunculus), derivata dalla coltura del carciofo selvatico e diffusa nei paesi mediterranei come ortaggio; si distingue dal carciofo coltivato per le foglie che hanno picciolo e costola ingrossati e carnosi, pieni o cavi, e sono lunghe fino a mezzo metro; ha sapore gustoso, amarognolo. 3. tosc. Il riccio delle castagne: la quercia deve dar ghiande, E il fico i fichi, ed il castagno i c. (Pascoli); si mise a tirar sassate a un c. di marroni (Fucini). 4. Strumento per cardare, sinon. di scardasso, così chiamato per analogia col c. dei lanaioli, i cui capolini, come si è detto, venivano impiegati per l’operazione di garzatura talora impropriam. detta anche cardatura. ◆ Dim. cardùccio (v. la voce).