carrambata
s. f. (iron.) Situazione che ricorda momenti tipici del programma televisivo «Carràmba! che sorpresa», condotto da Raffaella Carrà dal 1995. ◆ alla «Milingo story» è mancato l’ultimo suggello: un passaggio in una qualsiasi carrambata, un pellegrinaggio mediatico (Mina, Stampa, 23 novembre 2002, p. 1, Prima pagina) • Alcuni amici che di tv ne masticano in abbondanza vogliono convincermi che Maria De Filippi è brava. Ne convengo. Dopo aver visto due settimane fa Raoul Bova con una ragazza Down e, sabato, Massimo Ranieri con un’orfana, bisogna ammettere che pochi altri sanno padroneggiare la scena come lei. La sua trasmissione è piena di carrambate, agnizioni, disconoscimenti, pianti, crudeltà, presenze e soprattutto assenze ma, a differenza di altri programmi analoghi, la Signora sa mettere in scena, in maniera drammaturgica, il silenzio. (Aldo Grasso, Corriere della sera, 9 novembre 2004, p. 41, Spettacoli & Tv) • dove arriva il precariato non arriva la rivalsa di genere. […] delle mogli si parla solamente (e come di casalinghe disperate) e l’unica, spassosa, interferenza è quella di un’Oprah Winphrey che si produce in carrambate kitsch. Ma ci si diverte, nonostante tutto. (Boris Sollazzo, Liberazione, 25 maggio 2007, p. 14, Cinema).
Derivato dall’esclamazione Carramba, contenuta nel titolo della trasmissione, con l’aggiunta del suffisso -ata1.
Già attestato nella Repubblica del 20 febbraio 1998, Roma, p. VIII (Cecilia Cirinei).